| La regolarizzazione delle societa' di fatto e' stata disciplinata una
prima volta dal d.l. 31 ottobre 1980, n. 691 e successivamente dalla
l. 23 dicembre 1982, n. 947. Le norme hanno fini prevalentemente
fiscali ma tuttavia pongono problemi al civilista, il quale deve
cercare di inquadrarle nel sistema delineato dal codice civile e che
ricomprende, sia pure marginalmente, tanto le societa' irregolari
quanto le societa' di fatto. Ai problemi gia' emergenti nel codice
civile del 1942, spesso lacunoso in materia di societa' di persone,
si aggiungono quelli suscitati dall' ultima legge. Chi potra' esigere
la regolarizzazione della societa' di fatto? Se per la societa'
irregolare - per tale intendesi quella costituita con atto scritto ma
non ancora iscritta nel Registro delle imprese - e' abbastanza
agevole riconoscere la legittimazione a ciascun socio, piu' delicato
e' il problema quando i soci (di fatto) nulla abbiano previsto.
Probabilmente occorre il consenso unanime anche perche' gli effetti
della regolarizzazione sono assai incisivi. Il legislatore pare
ricollegare alla regolarizzazione l' acquisto da parte della societa'
della proprieta' dei beni dei soci, strumentali nell' esercizio dell'
impresa. Del pari la regolarizzazione comporterebbe acquisto a favore
delle societa' delle autorizzazioni, licenze, ecc. gia' intestate ad
uno o piu' soci, cosi' potenzialmente confliggendo con norme di
diritto amministrativo sulla incedibilita', ad esempio, delle
concessioni, o con norme del codice civile quali, ad esempio, il
divieto di cessione del contratto senza il consenso del contraente
ceduto (art. 1406) o il divieto convenzionale di alienazione (art.
1379). La durata limitata nel tempo rendera' forse meno acuti i
problemi interpretativi della legge: rimane tuttavia innegabile una
realta' metodologica contrastante con l' esigenza imprenscindibile di
mantenere unitario e coerente il nostro ordinamento positivo.
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