| La decisione in rassegna solleva un importante problema di natura
processuale: se, ed in quali eventuali limiti, sia revocabile, dal
tribunale che lo ha emesso, il decreto con il quale e' stata ordinata
l' iscrizione delle societa' nel registro delle imprese. La norma
base in materia va individuata nell' art. 742 c.p.c. il quale emette,
senza limitazioni temporali, la revoca dei provvedimenti pronunciati
in camera di consiglio da parte del giudice che li ha emessi, facendo
comunque salvi i diritti acquistati dai terzi in buona fede nel tempo
intercorrente tra la primaria pronuncia e la revoca della stessa. L'
espressione estremamente lata ed onnicomprensiva usata dal
legislatore ha dato luogo a molte ed articolate discussioni,
soprattutto in dottrina, circa gli esatti limiti e contenuti della
disposizione stessa. Dopo una breve disamina dei problemi connessi
alla revocabilita' dei decreti omologativi di societa', l' A.
sostiene che le tesi avanzate da chi tende a dimostrare la
revocabilita' sono essenzialmente ancorate ad una rigorosa
interpretazione letterale dell' art. 742 c.p.c. portante alla
conclusione che la revocabilita' e' carattere "naturale" ed
"imprenscindibile" dei provvedimenti de quibus e che, come tale, non
puo' essere disconosciuto se non attraverso esplicite disposizioni
normative. L' aderenza eccessiva alla lettera della norma puo' pero'
far perdere d' occhio l' importante problema della certezza dei
rapporti giuridici. Prova ne e' che, con il decreto in commento, il
Tribunale di Lucca ha revocato un proprio provvedimento omologativo
emanato ben cinque anni primaé Va bene che l' art. 742 c.p.c. fa
salvi i diritti acquistati dai terzi in buona fede, ma ammettere il
ripensamento del giudice onorario dopo un intervallo temporale cosi'
enormemente lungo, significa togliere certezza a tutte quelle
situazioni patrimoniali e personali, di cosi' varia ed articolata
configurazione, facenti capo al soggetto giuridico-societa'.
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