| Premesso che poche e frammentarie norme sono presenti nel nostro
ordinamento in tema di ricorsi in materia d' anagrafe, e che la legge
anagrafica n. 1228 del 1958 si limita all' art. 5 ad
istituzionalizzare il ricorso al Prefetto avverso il provvedimento
dell' ufficiale d' anagrafe, mentre l' art. 31 del relativo
regolamento di esecuzione ha chiaro riferimento ai ricorsi in tema di
"certificazioni anagrafiche", l' A. rileva che il ricorso regolato
dal citato art. 31 e' chiaramente un ricorso di mero carattere
amministrativo al Prefetto e, poscia, al Ministro dell' Interno, che
si conclude ancora con un provvedimento amministrativo impugnabile
con ricorso al Consiglio di Stato o, alternativamente, con ricorso
straordinario al Capo dello Stato. Pone pero' in evidenza che la
suddetta normativa afferisce soltanto a gravami avverso provvedimenti
conseguenti all' iscrizione, cioe' provvedimenti amministrativi di
mera certificazione, e, quindi, ricorsi avverso atti amministrativi
vincolati e certificatori; nulla pero' dice per il caso di rifiuto
dell' iscrizione della residenza. Osserva che la residenza e' un vero
e proprio diritto della persona (art. 43 c.c.), per cui la tutela di
tale diritto e' di competenza dell' autorita' giudiziaria ordinaria.
Pertanto vi e' legitimatio ad causam nel soggetto che vede rigettata
la sua istanza di iscrizione anagrafica da un Comune, e il relativo
gravame e' di competenza dell' autorita' giudiziaria ordinaria e non
dell' autorita' amministrativa, trattandosi del diritto all'
iscrizione e non di una controversia circa il modo di rilasciare un
certificato o circa il contenuto di esso.
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