| L' articolo analizza lo sviluppo in Italia della nuova criminologia
e, in particolare, l' approccio indicato da Alessandro Baratta
attraverso la "Criminologia critica". Il salto epistemologico dalle
vecchie alle nuove criminologie sembra identificarsi nel passaggio
dal paradigma eziologico del controllo, rappresentato dal pensiero
positivistico, al paradigma del controllo come espressione dell'
approccio classificante. La "Criminologia critica" cerca di trovare,
dentro una teoria materialistica di devianza ispirata dal marxismo,
un momento piu' alto di sintesi fra i due paradigmi. Tale prospettiva
incontra certe difficolta' sia epistemologiche sia politiche, che
sembrano minare la possibilita' di conseguire la sintesi in una
maniera sistematica. Il paradigma eziologico e il paradigma del
controllo appaiono strumenti di analisi dei problemi sociologici
assai diversi, e aspetti diversi della societa'. In particolare, il
paradigma del controllo non sembra appropriato ad affrontare il
problema dell' origine del potere dominante e le prospettive per una
trasformazione sociale. Sotto l' aspetto politico, poi, la
"Criminologia critica" appare come protagonista di valori essenziali
attribuibili alle classi subordinate. Come risutato sorgono
immediatamente numerose questioni, da un lato riguardanti la natura
assoluta o relativa assegnata da Baratta a tali valori, e dall' altro
riguardanti la possibilita' di una base comune fra gli interessi
sociali dei criminali e del proletariato. Se la sconfitta del
fenomeno di devianza e' percepito dalla "Criminologia critica" in
temini di trasformazione sociale, e' essenziale identificare quale
potrebbe essere il soggetto storico per conseguire tale
trasformazione. Esistono molti dubbi profondi sulla possibilita' di
identificare questo svolgimento con un gruppo cosi' eterogeneo di
devianti.
| |