| Negli "Stati socialisti" europei, come e' ben noto, non e' accolto il
tradizionale principio della divisione dei poteri, bensi' quello,
all' opposto, della "unita' del potere dello Stato". Cio' significa
che in quegli Stati fino ad ora sprovvisti, per postulato, di
qualsiasi contraddizione interna di classe, di solito tutti i poteri
vengono conferiti, ad ogni livello di governo, alle rispettive
assemblee rappresentative, poi, al vertice, all' assemblea
parlamentare. Percio' e' inconcepibile, in base al suddetto
presupposto, che gli atti legislativi della suprema assemblea possano
essere esposti a un quasiasi controllo da parte di altri organismi
dello Stato (magistratura ordinaria o Corti costituzionali). Di
conseguenza, il controllo puo' essere effettuato soltanto dalla
assemblea stessa, quando redige la legge o, in certi casi, come in
URSS e in Polonia, da un organismo rappresentativo permanente creato
dalla stessa assemblea (il Presidente del Soviet Supremo, il
Consiglio di Stato, ecc.). Come soluzione di compromesso, al limite,
e' stata resa obbligatoria l' opinione di speciali Commissioni
parlamentari permanenti: tipico e' il caso della Romania, dove alla
suddetta Commissione prendono parte anche degli esperti che non sono
membri del Parlamento. L' unica effettiva eccezione a questo riguardo
e' la Jugoslavia, dove l' accoglimento del particolare "principio di
autogestione" ha portato all' introduzione fin dal 1963, di
particolari Corti Costituzionali, a livello federale, nelle
Repubbliche e nelle Province autonome, atte ad assicurare protezione
ai diritti peculiari dei numerosi "centri di autogestione". La norma
generale sopra menzionata e' stata confermata, per esempio, da cio'
che e' accaduto in Cecoslovacchia dove la Corte Costituzionale
federale istituita per legge nel 1968, dopo la "primavera di Praga",
non e' mai stata realizzata.
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