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Documento


162224
IDG850910040
85.09.10040 - Ist. Doc. Giur. / CNR - Firenze
Pavarini Massimo
La pena "utile", la sua crisi e il disincanto: verso una pena senza scopo
Rass. penit. crim., an. 5 (1983), fasc. 1, pag. 1-45
(Bibliografia: a fine articolo o capitolo)
D503; D505; F4251; D6440
In base ad un attento esame della dottrina internazionale e dell' esperienza prevalentemente americana, l' A. sviluppa un' acuta critica al sistema penale, con particolare riguardo alla funzione della pena e ai principi che la giustificano. Dopo un excursus sulle varie posizioni ideologiche che hanno cercato di dare un significato all' applicazione del sistema penale sia in astratto che in concreto, ed aver constatato che il fine vero della pena e' spesso "mascherato" da altri fini fittizzi che nascondono implicazioni di tipo politico ed economico, approda alla conclusione che il passaggio dal "modello retribuzionistico" al "modello correzionale" si e' risolto in una incontrollabile crisi della c.d. prevenzione speciale. E' ormai consapevolezza generale che la pena carceraria non e' certo un mezzo per reintegrare l' individuo nella societa', ma, nei vari paesi, emergono perplessita', se non addirittura totale sfiducia, verso il "trattamento risocializzante". L' A. manifesta il suo dissenso, anche motivato da una personale impostazione politica, per ogni tipo di rieducazione: la rieducazione alla moralita'; la rieducazione alla legalita'; la rieducazione all' autodeterminazione ed esprime riserve sulle c.d. misure alternative, che vengono interpretate come una piu' pericolosa e penetrante forma di controllo sociale della devianza. Non concorda neppure con le nuove teorie che mirano ad una rivalutazione della funzione general-preventiva della pena, ne' con le tendenze della scuola del "Justice Model" (in contrapposizione col "Social Model") che spostano l' attenzione dall' attore criminale all' azione criminale ed esprimono favore per il potere giudiziario invece che per il potere amministrativo in ordine all' azione di controllo sociale. L' A. conclude auspicando lo "smascheramento" della pena. Ritiene cioe' che sia da evitare l' attribuzione di finalita' fittizie (e in quanto tali accettabili e condivisibili) alla pena che va invece accettata nella sua dura realta' quale espressione concreta della natura conflittuale del diritto penale, in nessun modo modificabile. Poiche' in tal modo il diritto penale si manifesta come diritto bruto alla repressione, l' A. avverte che si debbono attentamente considerare i costi sociali e umani che la pena comporta. Un' ampia bibliografia ragionata correda l' articolo.
Centro diretto da M. Fameli - IDG Firenze



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