| Le due sentenze annotate, rispettivamente della Corte di Cassazione e
della Commissione tributaria centrale, affrontano e risolvono tre
questioni. La prima ha per oggetto l' impulso processuale nel caso
della riassunzione del processo anvanti alla Commissione centrale:
essa viene risolta nel senso della necessita' dell' iniziativa di
parte. La seconda questione si riferisce alle forme, individuate in
quelle del ricorso, perche' in sede di rinvio si osservano le norme
stabilite per il procedimento davanti al giudice a cui e' rinviata la
causa. Il terzo punto attiene al termine, indicato in quello annuale
a decorrere dalla pubblicazione della sentenza di rinvio. Fin qui l'
A. condivide le decisioni e le motivazioni addotte, sulla base della
normativa vigente. La divergenza si manifesta, invece, intorno al
problema degli effetti derivanti dalla mancata o intempestiva o
irrituale riassunzione del processo, sul quale soprattutto la
Commissione Centrale esprime un pilatesco silenzio, dichiarando - nel
caso di specie di riassunzione attuata d' ufficio - il non luogo a
provvedere allo stato degli atti. In realta', sostiene l' A., se si
ritiene di applicare - come e' stato fatto per i punti precedenti -
le norme del codice di procedura civile, l' effetto ivi previsto e'
l' estinzione dell' intero processo e l' estinzione, a sua volta, e'
rilevabile d' ufficio. Forse, arguisce l' A., il non conseguente
atteggiamento della Commissione deriva dalle incertezze e gravita'
conseguenti ad un' applicazione delle norme sull' estinzione del
processo, in quanto nel gioco di decadenze e di prescrizioni cui e'
improntato il procedimento tributario di riscossione dell' imposta,
paradossalmente potrebbe esserne avvantaggiata proprio la parte cui
e' imputabile l' inerzia. Per questo sarebbe opportuno, de juro
condendo, che talune deroghe al principio dell' impulso d' ufficio
fossero abolite e che la rimessione o rinvio da un giudice all' altro
fossero sempre accompagnati dalla trasmissione d' ufficio dei
relativi atti.
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