| Prima della riforma, la revocazione delle decisioni delle Commissioni
Tributarie era disciplinata dall' art. 44 r.d. 8 luglio 1937, n.
1516, che prevedeva tale istituto solo per le pronuncie emesse dalle
Commissioni Provinciali e nei soli casi individuati dall' art. 494
c.p.c. allora vigente; nonostante pero' il dettato della citata
legge, dottrina e giurisprudenza avevano esteso il suddetto rimedio
alle decisioni della Commissione Centrale. Oggi l' art. 41 del d.p.r.
26 ottobre 1972, n. 636, ha recepito e canonizzato tale processo di
generalizzazione, presentando, rispetto alla precedente norma, un
contenuto piu' ampio e piu' idoneo a meglio determinare la disciplina
dell' istituto. L' A. lamenta, pero', che sia la dottrina che la
giurisprudenza non hanno saputo fino ad oggi cogliere la portata
innovativa della nuova normativa. La giurisprudenza tende ad
escludere la portata innovatrice della nuova disciplina rispetto alla
precedente: la Cassazione nella sentenza 9 luglio 1976 n. 2654 ha
ritenuto, infatti, che il d.p.r. 636 del 1972 ha volutamente reso
esplicito un principio che era insito nella precedente normativa del
contenzioso tributario, avallando in tal modo quella giurisprudenza
che riconosceva, anche sotto la vigenza dell' art. 44 r.d. 1516/1937,
la revocabilita' delle decisioni della Commissione Centrale. La
dottrina, da parte sua, in parte assimila la disciplina della
revocazione tributaria a quella del processo civile; altri autori,
invece, ritengono che il rimedio della revocazione previsto dal
citato art. 41 sia formulato in termini tali da far ritenere che l'
istituto operi in termini molto piu' ristretti dello stesso istituto
previsto per la procedura civile. A giudizio del notista tali
incertezze dottrinarie derivano da un' analisi insufficiente dei
nuovi dati e dalla mancanza di un inquadramento sistematico degli
stessi. Scopo quindi del suo scritto e' appunto quello di colmare
tali lacune e di stimolare negli studiosi il superamento di questa
"enpasse".
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