| Con la sentenza 11 novembre 1981 in c. Casati n. 203/80, la Corte di
Giustizia della CEE si e' pronunciata per la prima volta
"organicamente" sulla complessa e controversa materia del diritto
europeo dei capitali; la Corte era stata richiesta di valutare se vi
sia incompatibilita' tra il suddetto diritto (del quale essa e' unico
legittimo interprete) e la legge italiana di penalizzazione degli
illeciti valutari (l. 159/1976 e succive modifiche). Sostiene l' A.
che, la' dove si voglia verificare se esista contrasto tra i due
suddetti complessi di norme, il confronto deve essere operato
esclusivamente su base concreta, rifiutando macchinose elaborazioni
teoriche, in quanto sono oggettivamente determinabili le specifiche
operazioni in capitali che hanno beneficiato del processo di
liberalizzazione comunitaria (cioe' le operazioni contenute nelle due
direttive del Consiglio dell' 11 maggio 1960 e del 18 dicembre 1960),
nonce' ogni eventuale contrasto con l' art 16 . 67 del Tr. CEE
diviene strumentale e mediato ed e', comunque, verificabile se si
individua l' esistenza di contrasto tra la norma valutaria nazionale
e le disposizioni contenute nelle menzionate direttive. Non assume
pertanto alcun rilievo pratico discutere, per teorizzazioni
successive, se l' art. 67 contenga o non una disposizione "self
executing". Non essendo l' esportazione di valuta al seguito da parte
di non residenti un' operazione comunitariamente liberalizzata, la
stessa puo' trovare regolamentazione autonoma da parte dello Stato
italiano; avendo questo disposto (art. 7 del d.l. 476/1956) l'
obbligo dell' offerta in cessione della valuta con gli organi
valutari, rilevante su base oggettiva (cioe' nei confronti di
chiunque si trovi sul territorio della Repubblica), il non residente,
che all' atto dell' uscita dall' Italia sia trovato in possesso di
valuta della quale non e' in grado di dimostrare la precedente
importazione al seguito dall' estero (mod. V 2) o la legittima
acquisizione in Italia, rimane percio' stesso esposto alla
presunzione di averla quivi acquisita illegalmente. Sicche' viene ad
innescarsi quel comportamento violativo delle vigenti norme valutarie
nazionali che e' assunto a presupposto di una delle ipotesi di reato
previste dall' art. 1 della l. 159/1976. Il ragionamento, spostato su
un piano generale, esclude inequivocabilmente che il sistema
sanzionatorio penale delle infrazioni valutarie individui in se' una
qualsiasi "nuova restrizione" alla liberta' comunitaria dei movimenti
di capitali; anzi, se un' opportuna indagine dimostrasse che la
disciplina valutaria precettiva, previgente alla disciplina
sanzionatoria penale, era conforme al diritto europeo dei capitali,
il deterrente penale potrebbe risultare, se dosato non
indiscriminatamente, diretto a tutelare, in modo piu' efficace del
sistema sanzionatorio amministrativo, anche il rispetto degli
obblighi comunitariamente rilevanti.
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