| La ragion d' essere del delitto di cui all' art. 361 c.p. e' data non
solo dal normale ed efficace funzionamento dell' attivita'
giudiziaria, per impedire che l' inazione dolosa dei pubblici
ufficiali nuoccia al suo funzionamento, ma anche dalla legalita'
dell' azione amministrativa, all' unisono con i principi enunciati
negli artt. 97 e 98 Cost.. Il presupposto del delitto in esame e'
caratterizzato, dunque, da un fatto che sia tale da giustificare un
sospetto di punibilita': il fatto deve presentare i caratteri di un
reato, non spettando al pubblico ufficiale un giudizio di merito
circa la sussistenza dei suoi elementi costitutivi ed essendo tale
compito demandato in via esclusiva all' autorita' giudiziaria. Il
legislatore, con il termine "reato" usato nell' art. 361 c.p. e nell'
art. 3 c.p.p., ha voluto far riferimento ad una accezione diversa da
quella di "illecito penale". Se e' vero, infatti, che l'
interpretazione del termine "reato nel senso di fatto conforme al
modello legale e lesivo dell' interesse tutelato" costituisce la
regola generale nei confronti delle norme incriminatrici, e',
altresi', inconfutabile che la ratio e l' oggettivita' giuridica di
una sola fattispecie di parte speciale possono suggerire di
attribuire al predetto termine un significato piu' comprensivo. In
applicazione dei suesposti principi deve essere riconosciuta la
colpevolezza, in ordine al delitto di cui all' art. 361 c.p., dei
componenti del comitato di gestione di una USL che abbiano omesso,
quali pubblici ufficiali, di denunciare all' autorita' giudiziaria o,
comunque, all' autorita' di polizia giudiziaria, la condotta di un
primario del laboratorio analisi di un presidio ospedaliero pubblico
che non si sia presentato, per alcuni giorni, presso il reparto,
senza alcuna plausibile giustificazione, integrando tale condotta
assenteistica il delitto di cui all' art. 340 c.p. - Si richiede,
tuttavia, che tale condotta antigiuridica sia "sorretta" dal dolo,
costituito dalla volonta' di omettere o ritardare la presentazione
del rapporto; e' necessario che siano conosciute le condizioni
materiali e giuridiche che rendono concreto ed attuale il dovere
dell' ufficio: tutto quello che sul piano oggettivo rappresenta il
concreto dovere dell' ufficio deve essere conosciuto dal soggetto che
ha il compito della realizzazione materiale dell' atto. Da cio'
discende che se il soggetto non riconosce in un fatto gli estremi
tipici di un reato, non puo' comprendere l' attualita' del suo dovere
di ufficio; in tal caso l' errore sulla norma penale si traduce
sostanzialmente in un errore sul fatto oggettivo del reato e,
pertanto, scusa ai sensi dell' art. 47, comma 3 c.p. - Cio' risponde
all' esigenza, universalmente sentita, di non punire se non chi si
sia reso pienamente ragione del comportamento tenuto in tutti gli
elementi che ne caratterizzano il significato e il disvalore
giuridico.
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