| Costituisce strumento concorrenziale per eccellenza la riduzione del
prezzo di vendita del prodotto, considerata lecita quando deriva
dalla maggiore competitivita' raggiunta dall' impresa attraverso
miglioramenti nel processo produttivo o dalla riduzione del profitto.
La vendita a prezzo inferiore a quello di mercato, per opinione
generale, costituisce atto di concorrenza sleale se finalizzata all'
estromissione del concorrente: questo finalismo della condotta
specifica il contenuto dell' art. 259 n. 3 c.c.. Non commette,
invece, concorrenza sleale l' imprenditore pubblico, inquadrato nel
sistema delle partecipazioni statali, che pratica un prezzo inferiore
a quello di produzione, ma non obiettivamente vile, avvalendosi del
ripianamento delle perdite da parte della societa' controllante,
anche se cio' potrebbe comportare, per altro operatore economico,
perdite di quote di mercato. Non c' e', infatti, violazione dei
"principi della correttezza professionale" ne' costituisce ex se
danno il permanere sul mercato dell' imprenditore che non osserva una
corretta politica aziendale. La normativa sulla concorrenza sleale si
applica anche alla p.a. allorche' agisca jure privatorum, ma tale
disciplina opera laddove l' attivita' economica non sia limitata da
norme pubblicistiche, dettate ex art. 41 Cost.. L' attivita'
economica pubblica persegue, infatti, obiettivi (considerati) utili
per la collettivita'. La stessa regolamentazione della concorrenza,
secondo moderna dottrina, esplica un' attivita' difensiva degli
interessi collettivi. Ne consegue che la societa' operante e quella,
potrebbe dirsi, ripianante, svolgendo entrambe la propria attivita'
istituzionale, agiscono nell' ambito del legislativamente consentito.
Difettano, inoltre, nella condotta della controllante, i presupposti
dell' atto di concorrenza sleale quale terzo complice.
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