| L' A., esaminato, dapprima, il concetto stesso di trattamento
medico-chirurgico, ne approfondisce poi il fondamento di liceita',
non individuabile, avuto riguardo alla "insufficienza" della
scriminante rispetto alle situazioni che concretamente si pongono nel
settore, nel consenso del paziente. Quest' ultimo viene comunque
riconociuto, di regola, come necessario presupposto dell' intervento
medico e viene ritenuto afferire alla liberta' morale del
soggetto-paziente ed alla sua autodeterminazione. Definiti, quindi, i
requisiti che il consenso del paziente deve presentare per integrare
un valido presupposto dell' intervento medico, l' A. affronta il
problema del trattamento medico rispetto al paziente incapace, anche
per causa transitoria, di prestare valido consenso, ritenendo detto
trattamento possibile, in quanto giustificato dallo stato di
necessita', nei limiti in cui esso e' necessario per salvare il
paziente stesso dal pericolo di morte o di un danno grave alla
persona. Allo stesso modo giustificato dalla medesima esimente dell'
art. 54 c.p., ritiene l' A. il trattamento del paziente che rifiuti
il proprio consenso, sempre che si tratti di un intervento medico di
emergenza, ovvero giustificato dalla necessita' urgente, per la
salute del malato, dell' intervento stesso. L' A. espone quindi la
sua opinione circa il delicato problema del dovere giuridico del
medico di intervenire, anche contro il consenso del paziente, quando
questi si trovi in situazione di grave pericolo per la propria
salute, opinando per l' esistenza di un vero e proprio obbligo
giuridico di intervento. Di tale obbligo l' A. ritrova il fondamento
nella norma che punisce l' omissione di soccorso (art. 593 c.p.), ed
inoltre nella legge professionale e nella stessa consuetudine, dalle
quali scaturisce per il medico l' obbligo giuridico, sanzionato ex
art. 40 comma 2 c.p., di curare e di evitare danni alla integrita'
fisica del paziente, il quale peraltro non e' titolare di un diritto
di disporre del proprio corpo sino a cagionare volontariamente una
situazione di pericolo per la sua vita, o la stessa sua morte, dal
momento che l' ordinamento gli riconosce una "funzione sociale" cui
deve assolvere.
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