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Documento


167574
IDG861200304
86.12.00304 - Ist. Doc. Giur. / CNR - Firenze
Pizzetti Franco
Riforme istituzionali e costituzionalisti
relazione al Convegno "La scienza politica: bilancio e prospettive" organizzato dalla Fondazione Feltrinelli, Milano, maggio 1984
Riv. trim. sc. amm., an. 32 (1985), fasc. 3, pag. 33-45
D17; F421
Il tema di questa relazione riguarda la discussione sul cambiamento del rapporto tra "cultura giuridica" (come e' stato sviluppato e conservato dai giuristi) e le riforme istituzionali nel contesto del sistema politico italiano durante gli ultimi quarant'anni. All' inizio, l' A. puntualizza che questa discussione puo' essere condotta con efficacia solamente abbandonando il presupposto tradizionale di formalismo giuridico, dove i giuristi, quando si trovano di fronte a problemi di ingegneria costituzionale o istituzionale, possono operare e lo fanno veramente in una maniera libera da valori. Al contrario, nonostante il modo con cui i problemi individuali e di riforma istituzionale vengono affrontati dai giuristi, non si possono evitare scelte cariche di valore. L' A. identifica tre tipi di riforme istituzionali: a) Riforme di attuazione che sono il risultato di attivita' di adeguamento dell' ordinamento allo schema normativo costituzionale come, nel caso italiano, l' istituto della Corte Costituzionale e della Corte Suprema. Questo tipo di riforma istituzionale ha caratterizzato il periodo quando una coalizione centrista era al governo, dalla fine degli anni '40 all' inizio degli anni '60. Questo tipo di riforma costituisce la provincia naturale del giurista che procede in maniera autosufficiente, usando la propria metodologia, per determinare se nuove proposte di istituzioni sono congruenti con la costituzione. b) Riforme di modernizzazione come quelle che trattano il problema della p.a. e il sistema fiscale cercando di renderli ambedue piu' efficaci e coerenti con le richieste socio-economiche. Questi sono i tipi di attivita' di riforma che prevalevano durante la coalizione del Centro-Sinistra, dai primi degli anni '60 alla meta' degli anni '70. Qui il problema centrale e' quello di trasformare le istituzioni pubbliche per renderle congruenti con una societa' cambiata. In questo contesto il giurista impiegato come politologo lavora con dati e materiali a lui estranei e dovrebbe percio' utilizzare i metodi e contributi sostanziali delle scienze sociali e in particolare quelli delle scienze amministrative. c) Riforme di innovazione radicale che vengono discusse oggi, e coinvolgono problemi come la ristrutturazione di base del sistema elettorale e la proposta di cambiare il sistema politico da parlamentare a presidenziale o quasi-presidenziale (questo ultimo esempio coinvolgendo emendamento costituzionali). Lo scopo qui e' quello di trasformare le istituzioni politiche per creare condizioni migliori di esecuzione all' interno di una cultura politica statica e frammentata. Con riforme di questo genere i giuristi si trovano fuori dal loro ambiente: loro lavorano bene con la politica, nonostante cerchino di nascondere questo fatto. Se vogliono evitare una posizione semplicemente partigiana, devono capire e usare i dati, i metodi, e le strutture concettuali della scienza e la sociologia politica. Comunque quando lo fanno, tendono ad usare contributi della scienza politica per sostenere le proprie argomentazioni politiche - preformulate - o quelle dei partiti con le quali si identificano (che non aiuta un sistema politico statico a rompere il proprio circolo vizioso). Purtroppo la situazione e' resa ancor piu' difficile dal fatto che la scienza politica italiana e' frammentata secondo il disegno del sistema politico. Per concludere, un ruolo costruttivo dei giuristi - soprattutto nel contesto del terzo tipo di riforma descritto precedentemente - dipende dalla loro capacita' e volonta' ad adottare i metodi di scienza politica e i concetti che sono ancora seriamente carenti in Italia.
Centro diretto da E. D'Elia - IDG Firenze



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