| Premesso un quadro allarmante della situazione dell' edilizia
penitenziaria in Sicilia ed in particolare a Palermo, dovuta alla
mancanza di strutture adeguate, all' inverosimile sovraffollamento,
alla presenza negli istituti di numerosissimi detenuti che sono capi,
gregari e fiancheggiatori della mafia, l' A., sottolinea che la mafia
stessa trova nel carcere - che diventa spesso "sede legale" delle
proprie cosche - il serbatoio in cui e' facile reclutare manovalanza
criminale, in cui si pongono in atto crimini anche gravi (quali l'
omicidio), intimidazioni, e tutta una serie di azioni tendenti ad
occultare, inquinare, distruggere le prove. Auspica che i mafiosi
arrestati siano assegnati a stabilimenti lontani dal luogo di
residenza o in cui hanno operato e pone in evidenza il fatto che il
mafioso non e' un emarginato, cerca di dare di se' una immagine di
rispettabilita' e di ordine, e' ossequiente alla custodia, protegge i
detenuti piu' deboli. Non e' certo il carcere a dare al detenuto lo
"status" di mafioso: se mai nel carcere si misura lo spessore della
mafiosita' di certi soggetti. Sottolinea peraltro che l' osservanza
da parte del mafioso delle regole del carcere e' soltanto apparente e
che il problema dominante e' quello della salute, fisica e psichica,
attraverso il quale il detenuto cerca spazi di liberta', ricoveri in
ospedale, maggiori contatti con l' esterno, liberta' provvisoria,
arresti domiciliari, ecc.. La tendenza alla esasperazione della
malattia e la simulazione dominano incontrastate e il Magistrato e'
costretto a svolgere numerose, complesse e delicate indagini allo
scopo di accertare se i motivi addotti siano effettivamente gravi e
sussistenti. A tale scopo auspica che venga istituita in sede
regionale una apposita sezione carceraria, sia pure nell' ambito di
un ospedale pubblico, in cui poter procedere - mediante personale
specializzato - a tutti gli accertamenti. Sottolinea la pericolosita'
dei colloqui concessi con estranei allo scopo di compiere atti
giuridici che potrebbero attuare la dispersione del patrimonio del
detenuto mafioso e sottrarlo al sequestro. Pone anche il problema del
trattamento da riservare ai mafiosi "pentiti" che si siano dissociati
in modo sicuro e concretamente e che abbiano concorso a far scoprire
e condannare gli autori di reati di mafia, nonche' quello delle
misure alternative alla detenzione (affidamento e semiliberta') che,
nei confronti del mafioso, dovrebbero, anche nel caso di pene per
reati non compresi nella elencazione di cui all' art. 47, comma 2
della legge penitenziaria imporre - se concesse - particolari
prescrizioni intese ad evitare in ogni caso che il mafioso ritorni
nei luoghi in cui ha operato o nei quali ha - per provvedimento di
prevenzione - divieto di ritornare e di operare. Sottolinea che vi
sono detenuti mafiosi "irrecuperabili", autori di reati gravissimi,
di alta pericolosita', nei cui confronti non puo' che attuarsi un
sistema di differenziazione pur temporanea con il rispetto di regole
precise, cosi' come suggerito da alcuni disegni di legge gia'
presentati al Parlamento in tema di modifica dell' art. 90 della
legge penitenziaria. Infine affronta la questione della malattia
mentale e dell' Ospedale Psichiatrico Giudiziario, della
pericolosita' sociale dell' infermo di mente prosciolto da gravi
imputazioni, della sentenza n. 139 dell' 8 luglio 1982 della Corte
Costituzionale e suggerisce che - almeno - si faccia luogo al
giudizio di guarigione del mafioso prosciolto dopo un periodo di
esperimento, piu' a lungo di quello dell' attuale "licenza finale"
(che e' di soli sei mesi), attuato a mezzo di liberta' vigilata per
anni e con possibilita' di rientro in O.P.G. in caso di violazione
delle prescrizioni o di riacutizzazione della malattia.
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