| L' annotata sentenza serve di spunto all' A., per effettuare una
rassegna della giurisprudenza della Cassazione penale in tema di
furto di pesce (art. 33, comma 2 , r.d. 8 ottobre 1931, n. 1604) e
della Cassazione civile in tema di demanialita' o no di lagune
costiere (artt. 622 c.c. e 28 c. nav.). Secondo l' A., la sentenza s'
inserisce nel solco di quella giurisprudenza della Suprema Corte .,
che ritiene, in contrasto con altro indirizzo, la fattispecie
prevista dall' art. 33, c. 2, decreto cit. non coincidente con quella
dell' art. 624 c.p., giacche' in essa manca il requisito -tipico del
furto- della detenzione della cosa sottratta. Sempre secondo l' A.,
poi, la sentenza, per stabilire se le acque dello Stagno di Mistras
fossero o no demaniali, ha seguito il principio tradizionale, per il
quale la demanialita' di un bene marittimo e' qualita' che deriva
originariamente ad esso dalla corrispondenza con uno dei tipi
normativamente definiti dagli artt. 822 c.c. e 28 c. nav. La
sentenza, dunque, si sarebbe (anche se in parte) discostata dall'
indirizzo prevalente nella piu' recente giurisprudenza della
Cassazione civile, secondo cui, nella class 1ificazione dei beni
pubblici, deve prevalere sul criterio rigidamente tassonomico un piu'
moderno criterio sostanziale. Tuttavia, l' A. condivide la soluzione
adottata nel caso di specie, non mancando -per altro verso- di
rilevare come il richiamo alla sussistenza della "detenzione" del
pesce da parte dei presunti soggetti passivi del reato (a seguito
della riconosciuta demanialita' dello stagno e dell' inesistenza di
diritti esclusivi di pesca sulle sue acque) stoni, in una sentenza
che si era consapevolmente posta nell' ottica di chi ritiene che
proprio nel "furto di pesce" dalla detenzione della cosa sottratta
prescinde.
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