| L' A., trae spunto dall' annotata decisione per esprimere
innanzitutto il disagio che l' interprete delle norme giuridiche
prova di fronte al problema della configurabilita' del c.d. furto
venatorio: in presenza delle differenti e spesso contrastanti
opinioni, giurisprudenziali e dottrinali, espresse sul tema, auspica
un decisivo -e d' altro canto annunciato- invervento del legislatore,
che ponga fine alle attuali controversie interpretative. Passa quindi
ad un esame piu' dettagliato della sentenza, e ne critica l'
impostazione, che gli pare astratta, poco aderente alla fattispecie
da decidere. Egli non e' d' accordo sulla ritenuta dal Tribunale
configurabilita' astratta del furto venatorio, perche' non riconosce
in capo allo Stato ed alle Regioni un generale possesso della fauna
selvatica italiana; tuttavia, non nega che nella fattispecie
-riguardante l' abbattimento e l' apprensione illegittima di un
cervo, che viveva in una c.d. riserva biogenetica demaniale- poteva
concretamente configurarsi il possesso, da parte dello Stato, dell'
animale ucciso. Analogamente, pur negando che, in generale, la fauna
selvatica sia, ai sensi dell' art. 625 n. 7 c.p., destinata a
pubblica utilita', riconosce che, una volta configurato il furto, ben
poteva il reato, nella specie, esser ritenuto aggravato ex art. 625
n. 7 c.p.
| |