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171227
IDG870900475
87.09.00475 - Ist. Doc. Giur. / CNR - Firenze
Cesari Nello
Il lavoro all' esterno. Un' intuizione o una svista del legislatore?
Rass. penit. crim., an. 6 (1984), fasc. 1-3, pag. 259-271
(Bibliografia: a pie' di pagina o nel corpo del testo)
D5035; D644
L' interrogativo del sottotitolo e' meramente retorico. L' istituto del lavoro all' esterno non solo non e' nuovo nel penitenziario, ma anzi sorge con lo stesso penitenziario moderno: l' esigenza della manodopera per lavori piu' gravi e pesanti spinse la societa' a ricorrere a quella dei detenuti, per opere di bonifica e di strutture pubbliche nei secoli scorsi; la nascente industria, con il suo basso grado di tecnologia, richiedeva stabili braccia a buon mercato, che le carceri potevano offrire in abbondanza. Questi settori (l' agricolo e l' industriale) sono stati considerati sempre poco qualificanti rispetto al terziario (servizi e professioni liberali). Il legislatore nella riforma del 1975 ha ripreso l' istituto del lavoro all' esterno con i suoi limiti e con il suo retaggio storico, che oggi non e' piu' rispondente, ne' applicabile ad una societa' piu' complessa e dinamica. L' A. , compiuta un' analisi storica e giuridica dell' istituto, afferma che il provvedimento di ammissione e' un atto meramente amministrativo, che si inserisce nel programma di trattamento, approvato dal magistrato di sorveglianza. Questa ammissione non e' assolutamente modificativa dello "staus" di detenzione, come invece avviene nel regime di semiliberta'. In considerazione della grande importanza che ha nel programma di trattamento e per il reinserimento sociale del detenuto, L' A. ne auspica una maggiore applicazione e un ampliamento dello stesso art. 21, anche ad altri settori, come i servizi e le professioni liberali, per rendere la stessa riforma penitenziaria piu' rispondente al dettato costituzionale.
art. 21 comma 2 l. 26 luglio 1975, n. 354 art. 8 l. 12 gennaio 1977, n. 1
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