| Dopo la sentenza della Corte Costituzionale 23 giugno 1988 -che ha
dichiarato inammissibile la questione di legittimita' costituzionale
delle norme in materia di cassa integrazione guadagni in quanto non
prevedono, nei casi di intervento straordinario, l' obbligo per le
imprese di adottare nelle sospensioni dei lavoratori criteri di
rotazione o di ripartizione in misura uguale per tutti della
riduzione di orario- si e' venuto ormai consolidando nella
giurisprudenza, quasi alla stregua di "diritto vivente", l' indirizzo
secondo il quale il potere di scelta del datore di lavoro e'
vincolato da limiti interni, insiti nella congruenza o coerenza del
provvedimento sospensivo con le finalita' specifiche cui e'
preordinato l' istituto dell' integrazione salariale, e da limiti
esterni, dettati dalla normativa legale di tutela, nonche' dai
generali obblighi di correttezza e buona fede. Tuttavia il sindacato
giudiziale in ordine all' osservanza dei limiti interni, pur
esercitandosi sugli stessi elementi probatori, giunge non di rado a
risultati diametralmente divergenti, fondando il timore di una
gestione delle crisi aziendali non esente da compiacenze ideologiche,
con grave sacrificio del valore della certezza del diritto. Tale
conseguenza e' da ricondursi alla fragile consistenza dogmatica del
citato indirizzo giurisprudenziale, che ha oscillato tra l' impiego
privatistico dalla nozione di interesse legittimo (seguendo la linea
inaugurata da Cass. sez. un. 2 novembre 1979, n. 5688) e il ricorso
alla concezione causale del negozio giuridico. Se la prima tendenza
ha finito per ridursi al generico richiamo ai doveri di correttezza e
buona fede, la seconda sembra essere quella che maggiormente si e'
imposta, benche', a rigore, non abbia senso parlare di causa riguardo
all' atto unilaterale di scelta del lavoratore da porre in cassa
integrazione, posto che la verifica del requisito causale (intesa la
causa come ragione giustificativa di uno spostamento patrimoniale)
puo' ammettersi solo per i contratti e per i negozi unilaterali tra
vivi aventi contenuto patrimoniale. Di diversa consistenza appaiono
invece i limiti esterni al potere datoriale di scelta, per i quali
soltanto puo' parlarsi di un idoneo supporto normativo (art. 15 l. 20
maggio 1970, n. 300 e art. 4 l. 15 luglio 1966, n. 604). Al riguardo,
pero', i problemi piu' scottanti si pongono sul terreno processuale,
attenendo all' onere della prova e alle conseguenze sanzionatorie
delle scelte datoriali di sospensioni riscontrate illegittime alla
stregua dell' osservanza dei limiti esterni. Non puo' negarsi una
certa disinvolta prassi di deroga al principio scolpito dall' art.
2697 c.p.c., generalmente giustificata con un' inammissibile
applicazione analogica dell' art. 5 l. 604 del 1966. Quanto alle
conseguenze sanzionatorie, e' da approvare l' indirizzo costantemente
seguito dalla Cassazione, che sostiene che la violazione degli
obblighi di correttezza e buona fede comporta l' annullabilita' dell'
atto, con effetti soltanto risarcitori, mentre la discriminazione per
motivi illeciti determina la nullita' dell' atto, con effetti
ripristinatori.
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