| L' A. avvalendosi principalmente dell' ausilio degli studi di
Garbagnati e del Lanfranchi, si ripromette di confutare la teorica
redentiniana della preclusione-presunzione "pro judicato", tendente
esplicitamente a differenziare la "stabilita'" del decreto non
opposto dalla immutabilita' dell' accertamento, di cui fa parola l'
art. 2909 c.c. Ed a tal fine non disdegna un primo approccio di mera
esegesi della normativa vigente, che non appare ostativa ad una
"lettura" in chiave cognitoria-decisoria del processo ingiuntivo.
Infatti sia l' art. 633 e seguenti in materia di prova del credito
del ricorrente, sia in particolar modo l' art. 640 c.p.c. lasciano
sottintendere, per l' A., il doveroso esercizio da parte del giudice
del suo libero apprezzamento in merito ai documenti prodotti in
giudizio. Si' che l' emissione del decreto ingiuntivo appare come
giudizio sulla fondatezza della pretesa del ricorrente, non
diversamente che per un' ordinaria sentenza di condanna. E sempre
secondo l' A. non sembra di rilievo decisivo, al fine della
ricognizione dell' autorita' del decreto non opposto, il fatto che
esso (decreto) sia pronunciato "inaudita altera parte". Cosi' come
non sembra conducente ogni ipotetica "quantificazione" dell'
accertamento espresso dal decreto. Quel che rileva e', unitamente
alla predetta natura cognitoria-decisoria del processo in esame, la
previsione normativa del diritto di opposizione, con la conseguente
applicazione delle norme vigenti in un ordinario giudizio di primo
grado. Essa (previsione) e', per l' A., "misura" idonea ad integrare
le garanzie ordinate alla produzione del giudicato, si' da non poter
revocare in dubbio l' autorita' di cosa giudicata espressa dal
decreto ingiuntivo in difetto di opposizione.
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