| Quello del consenso e' un principio cardine dello statuto normativo
del riformato matrimonio civile. Esso non e', pero', indice di
"privatizzazione" e neppure di "contrattualizzazione" dell' istituto
matrimoniale, in quanto il maggior rilievo accordato al consenso dal
novellato diritto di famiglia non e' in funzione di una esigenza
perfezionativa e strutturale del matrimonio-atto, bensi' in funzione
di garanzia di reale funzionamento del matrimonio-rapporto, poiche'
diretto a far si' che l' unione coniugale abbia sin dall' inizio l'
idoneita' necessaria e l' impulso sufficiente per potersi
positivamente sviluppare lungo il cammino della vita familiare. Il
campo elettivo, piu' appropriato, di studio dell' istituto del
matrimonio civile appare percio' quello della teoria del rapporto,
anziche' del contratto. La riprova e' nella disciplina positiva e
soprattutto nel correlativo principio di tutela della stabilita'
delle situazioni costituite e consolidate, indice emblematico e
significativo del definitivo riassorbimento operato dal sistema del
matrimonio-atto nel matrimon io-rapporto. Su tali premesse si e'
ritenuto di accogliere una concezione del matrimonio civile diversa
da quella tradizionalmente ricevuta, e cioe' basata su una
considerazione dei protagonisti dell' unione coniugale non piu' quali
soggetti neutri e indifferenziati ma nella loro dimensione
storico-reale, ossia nella realta' e storicita' della loro esistenza,
vale a dire: nel "vissuto" della loro esperienza individuale e
personale, oltre che nella ineliminabile varieta' e diversita' di
esigenze e bisogno propri di ciascuno di essi. Cio' dovrebbe
consentire di recuperare anche l' istituto del matrimonio civile a un
disegno pluralista e a un metodo di studio, appunto, storico-reale,
in grado di assicurare anche in questo campo -attraverso il
necessario risalto accordato ai valori della persona- una maggiore e
piu' sincera "umanizzazione" della "regula iuris". E' questo d' altra
parte il solo modo per tirar fuori il matrimonio civile dalle secche
di una sterile quanto dannosa contrapposizione tra una concezione
istituzionalistica e una concezione contrattualistica che ha troppo a
lungo condizionato e continua a condizionare l' analisi di quest'
area dei rapporti di famiglia. E' nel quadro di una siffatta
prospettiva di metodo che vanno impostati e risolti i problemi
pratici e teorici posti dalla disciplina della incapacita' naturale
come pure della interdizione per infermita' di mente, dei singoli
vizi del consenso (errore, violenza, dolo) come anche delle ipotesi
di divergenza tra celebrazione e consenso, e della stessa
simulazione. Il riferimento al rapporto puo' risultare utile altresi'
sul piano della soluzione di una duplice questione che proprio in
questi ultimi tempi e' tornata a dividere profondamente dottrina e
giurisprudenza: quella attinente ai principi di ordine pubblico nella
delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullita' -principi che
sarebbe errato continuare a individuare in astratto o con riferimento
soltanto al profilo genetico della costituzione del vincolo, senza
tener conto anzitutto e soprattutto del momento dinamico del
rapporto, del suo complessivo svolgimento come pure del suo concreto
funzionamento; e l' altra riguardante la disciplina delle conseguenze
patrimoniali connesse sia alle pronunce civili sia a quelle
ecclesiastiche di nullita' da delibare- disciplina che, nell' ottica
funzionalistica del matrimonio-rapporto, non e' piu' ammissibile
perpetuare nei termini di una radicale e profonda diversita', se non
addirittura disparita', di trattamento rispetto alle pronunce di
divorzio.
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