| L' A. ricostruisce le tappe attraverso le quali si e' venuta formando
e consolidando il Italia la versione giurisprudenziale dell'
istituto, che diverge dal concetto normativo. Pur essendo intervenute
alcune significative e corrette statuizioni, la Corte di Cassazione
ha finito col ritenere che il negozio sostitutivo debba essere
"ricompreso" in quello invalido, e "voluto almeno implicitamente"
dalle parti. Ma in base ad una tale impostazione il principio di
conversione risulta inutile o inapplicabile. Ma anche pretendere che
il negozio succedaneo sia ricompreso in quello invalido significa
ricorrere ad un criterio non appropriato e quindi di impiego spesso
infruttuoso perche' tale da presupporre che l' atto sia parzialmente
e non totalmente invalido. E del resto la norma di cui all' art. 1424
c.c. richiede la presenza nella fattispecie inefficiente dei soli
"requisiti" del negozio subentrante. La discordia che divide la
dottrina ha determinato, piu' in generale, un atteggiamento
giurisprudenziale di eccessiva cautela, se non addirittura di
diffidenza nei riguardi del principio in questione. La Corte di
Cassazione ha anzitutto negato "tout court" che il negozio illecito
sia convertibile. E cio' senza avvertire che, stante la necessaria
"diversita'" della soluzione sostitutiva, non puo' escludersi a
priori che questa possa avere un contenuto lecito ed accettabile per
le parti, cosicche' il recupero si renda ammissibile. Di recente la
Corte Suprema sembra inoltre aver implicitamente sottratto alla sfera
di applicabilita' della norma quei negozi la cui nullita' dipenda
dall' elusione della tipicita' o di un "numerus clausus"
legislativamente imposti: situazioni che in Germania vengono invece
considerate emblematiche per raffigurare la funzione tipica dell'
istituto. Ma anche al legislatore e' in parte addebitabile la
disapplicazione della norma: anzitutto per aver inopportunamente
inserito nel testo di essa l' espressione "avrebbero voluto" (che e'
tale da poter ingenerare equivoci circa l' elemento volitivo
richiesto), anziche' quella di "avrebbero concluso", come e' avvenuto
nell' art. 1419 c.c. Certo e' che un' adeguata considerazione dell'
esperienza tedesca avrebbe potuto suggerire, per una norma innovativa
di cosi' rilevante significato, una formula piu' comprensibile e
corretta, quale la seguente: "Il contratto nullo produce gli effetti
di un atto diverso, del quale contenga i requisiti di sostanza e di
forma, se questo consenta il raggiungimento in misura idonea del
risultato perseguito dalle parti".
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