| Il tema affrontato e' quello relativo alla reale scomparsa nel nuovo
codice di procedura penale, tra le formule di assoluzione
dibattimentale, di quella per "insufficienza di prove"; la struttura
dell' art. 530 c.p.p. potrebbe infatti creare al giudice il dilemma
se dover indicare o meno, nel dispositivo della sentenza di
assoluzione, che la stessa e' intervenuta ai sensi del comma 1 o del
comma 2 del medesimo articolo. La distinzione e' rilevante proprio
perche', qualora vi sia una tale indicazione, vi sarebbe nel secondo
caso la concreta reintroduzione della formula assolutoria dubitativa,
in quanto il comma 2 dell' art. 530 c.p.p. si riferisce proprio,
oltre che ai casi di mancanza, anche a quelli di insufficienza e
contraddittorieta' della prova. Qualora poi debba procedersi a quella
indicazione, vi sarebbe l' ulteriore problema dell' illegittimita'
costituzionale dell' art. 593 comma 2 c.p.p., che vieta l' appello
anche a colui il quale s ia stato assolto per non aver commesso il
fatto o perche' il fatto non sussiste ai sensi del comma 2 dell' art.
530 c.p.p., poiche' gli e' preclusa la facolta' di un secondo
giudizio di merito che gli consenta di opporsi al pregiudizio
derivantegli da una assoluzione che, in concreto, e' un' assoluzione
per insufficienza di prove. In conclusione puo' affermarsi che il
giudice non dovra' mai indicare nel dispositivo, che e' l' essenza
della decisione giurisprudenziale, se l' assoluzione sia avvenuta ai
sensi del comma 1 o 2 art. 530 c.p.p. Il nuovo codice di procedura
penale, infatti, all' art. 530, ha prescritto una regola di giudizio
cui deve far riferimento il giudice nel pronunciare la sentenza di
assoluzione; egli cioe', anche in caso di contraddittorieta' o
insufficienza di prova a carico, dovra' assolvere l' imputato con
ampia formula senza che sul dispositivo vi siano delle indicazioni
dalle quali possa trasparire che l' assoluzione e' avvenuta per
insufficienza di prove.
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