| L' A. compie un' analisi delle piu' recenti interpretazioni
giurisprudenziali dell' art. 578 c.p., cosi' come riformulato dall'
art. 2 l. 442/1981. Secondo una prima opinione, il delitto di
infanticidio in condizioni di abbandono morale e materiale sarebbe
configurabile soltanto quando la madre si trovi, al momento del
parto, nella impossibilita' oggettiva di ricorrere all' assistenza
medica o all' aiuto di chicchessia. Secondo l' interpretazione
dominante, la previsione di cui all' art. 578 si caratterizzerebbe,
oltre che per le predette condizioni di abbandono materiale, per lo
stato di profondo turbamento emotivo conseguente al parto, che
spingono la madre a sopprimere la propria creatura. Secondo l' A.
tale interpretazione rischia, tramite l' eccessiva esaltazione del
momento psicologico, compiuta oltretutto in assenza di parametri
legislativi che delineino con esattezza i contorni di tale stato di
diminuzione della capacita' d' intendere e di volere, di stravolgere
gli intendimenti del riformatore, che intendeva limitare l'
applicazione della norma a casi eccezio 1nali di emarginazione
sociale e di derelizione. Conclude quindi per la dannosita' della
scelta di conservare dell' infanticidio quale fattispecie distinta
dall' omicidio, poiche' a ben vedere, se l' intento del legislatore
era quello di riservare un trattamento piu' mite nei casi in cui il
delitto fosse stato determinato dalle condizioni di alterazione
psichica post-parto, a tale soluzione poteva ugualmente accedersi
attraverso strumenti di piu' agevole applicazione, come per esempio
la previsione di una circostanza attenuante speciale. Che se poi tale
alterazione e' tale da menomare totalmente la capacita' di intendere
e di volere dell' agente, non occorre una previsione apposita che ne
escluda la punibilita' in quanto verrebbe meno la stessa "suitas"
della condotta.
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