| Annotando la sentenza in rassegna che nega, da un lato, il
risarcimento del danno biologico "iure hereditario" ed afferma, dall'
altro, il diritto dei parenti della vittima al risarcimento di tale
danno "iure proprio", l' A. passa in rassegna le contrapposte
posizioni dottrinali e giurisprudenziali in materia di danno
biologico da uccisione. Ricordando come la dottrina civilistica dell'
ultimo trentennio abbia sottoposto a ferrea critica la concezione
"classica" dell' istituto della responsabilita' civile,
tradizionalmente ancorato al binomio atto illecito-sanzione (alla
quale si ricollega la teoria del danno biologico da uccisione), per
approdare ad una piu' moderna e corretta "lettura" dell'istituto
stesso, sulla scorta della quale la nozione di "danno" assurge ad
elemento autonomo della fattispecie di responsabilita', quale
conseguenza immediata e diretta del fatto dannoso (concepito come
condotta piu' evento), l' A. osserva come il danno biologico,
estrinsecandosi nelle conseguenze funzionali della lesione anatomica
e nelle relative ripercussioni sulle attivita' del soggetto leso,
presupponga, necessariamente l' esistenza in vita di quest' ultimo.
Poiche', inoltre, il "fatto dannoso", in caso di uccisione, si
completa con la morte, l' estinzione della capacita' giuridica dell'
offeso precede sempre il momento in cui si completa la fattispecie di
responsabilita', escludendo la configurabilita' di un risarcimento
del diritto alla salute trasmissibile agli eredi della vittima. Del
resto, il danno biologico da morte, per quanto teoricamente
configurabile in capo ai famigliari della vittima, non puo'
ritenersi, contrariamente a quanto afferma il Tribunale di Milano, un
imprescindibile effetto dell' evento letale, ne' puo' identificarsi
con la sola lesione di una situazione giuridica soggettiva tutelata
dall' ordinamento, ma va concretamente dimostrato come reale
conseguenza, sul piano funzionale, del trauma psichico patito dai
prossimi congiunti del defunto.
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