| Dopo essersi soffermato sul concetto di "osceno", inteso
riduttivamente dal giurista italiano, come attinente alla sessualita'
ed in particolare a quella genitale, viene preso in considerazione il
rapporto dialettico esistente tra pudore e "comune sentimento".
Delineati i due indirizzi contrapposti (in dottrina e in
giurisprudenza), distinguendo la concezione storico-relativistica
della nozione di comune sentimento, secondo la quale esso muterebbe
di epoca in epoca e di luogo in luogo dalla concezione
"deontologica", secondo cui invece trattasi di bene immutabile per
ragioni etiche, viene in rilievo il trattamento riservato dal
legislatore all' "opera d' arte o di scienza", considerate non
oscene. Tale disciplina si ritiene fondata, oltre che sull' art. 529
c.p., sull' art. 33 Cost., di portata piu' ampia dell' art. 21 Cost.
Esaminato il contrasto tra una giurisprudenza liberale, protesa a
tutelare la fruizione da parte dei consociati dell' opera d' arte o
di scienza ed una giurisprudenza repressiva, per ragioni
moralistiche, delle suddette opere, si propende a ritenere non
punibili per errore di fatto gli autori, che, pur avendo l'
intenzione di creare opere di valore artistico o scientifico, restano
frustrati nei risultati conseguiti. Detto errore sarebbe ammissibile
considerato il disposto dell' art. 529 elemento intrinseco della
norma incriminatrice. Si conclude auspicando de iure condendo una
disciplina che, svincolata da ogni influenza moralistica, si limiti a
reprimere i comportamenti che per manifestazioni violente, per lo
sfruttamento dei minori o per indebita invadenza nella sfera privata
degli adulti, non disposti ad essere molestati da manifestazioni
oscene, costituiscano un effettivo danno sociale.
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