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197571
IDG920903627
92.09.03627 - Ist. Doc. Giur. / CNR - Firenze
Nappi Aniello
L' art. 507 c.p.p.: un eccessivo "self restraint" giurisprudenziale
Nota a Trib. Treviso 27 maggio 1991 Pret. Roma 15 maggio 1991
Cass. pen., an. 31 (1991), fasc. 10, pt. 2, pag. 771-775
(Bibliografia: a fine articolo o capitolo)
D6140
I due provvedimenti in esame propongono un' interpretazione molto restrittiva dell' art. 507 c.p.p.; un' interpretazione che sembra avvalorata anche da una pronuncia della Cassazione. La tesi consta di due argomenti: poiche' l' art. 507 c.p.p. presuppone che sia terminata l' acquisizione delle prove richieste dalle parti, il giudice puo' ammettere d' ufficio nuove prove soltanto quando si sia effettivamente svolta un' istruzione dibattimentale a iniziativa di parte; non puo' ammettere prove d' ufficio quando le parti siano rimaste del tutto inerti; il giudice non puo' ammettere d' ufficio prove dalle quali le parti siano decadute per intempestivita' della richiesta, perche' l' art. 507 c.p.p., che si riferisce soltanto a prove "nuove", non puo' essere utilizzato per eludere le preclusioni in cui le parti siano incorse. L' A. sostiene che ambedue gli argomenti sono infondati e rischiano di vanificare o tradire lo spirito della riforma, imbrigliandola in un ritualismo privo di senso
art. 507 c.p.p.
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