| Nella prima parte della nota, l' A., motivando ampiamente il suo
avviso, afferma che le varie fasi dello smaltimento dei rifiuti,
quali elencate nell' art. 16 d.p.r. 915/1982 (attuativo delle
Direttive CEE 75/442, 76/403, 78/319), debbono ritenersi esaustive
dell' intera vicenda "smaltitoria", conseguendone l' inammissibilita'
di ipotizzare fasi diverse, sottratte alla disciplina di tale fonte
normativa. Ivi, in particolare, si afferma che il c.d. accumulo
temporaneo realizza la fase smaltitoria denominata "stoccaggio
provvisorio". Nella seconda parte della nota, l' A. si pone il
quesito di stabilire quando un "residuo" sia qualificabile come
"rifiuto" o come materia prima secondaria e se vi siano momenti
transitori in cui ad esso non competa ne' un "nomen" ne' l' altro
(con la conseguenza di restare al di fuori di ogni disciplina) e,
ulteriormente, se, nell' ambito delle materie prime secondarie, si
possa distinguere, per ritrarne effetti sul piano del diritto
sostanziale, fra quelle riutilizzabili direttamente (e nell'
immediatezza) dal produttore/detentore e le altre. Tutti tali quesiti
vengono dall' A. risolti, in linea con la normativa comunitaria e con
le interpretazioni ad essa date dalla Corte di Giustizia delle
Comunita' Europee, con la motivata affermazione che ogni residuo
dell' attivita' produttiva deve, sino al venire in essere di
provvedimenti normativi disciplinanti la materia in modo diverso da
quello attuale, ritenersi "rifiuto" sino al momento in cui gli venga
impresso destino diverso dall' abbandono, eccezion fatta per i
"residui" reimpiegati, senza condotte intermedie, nel ciclo di
provenienza o in altri cicli ad essi collegati.
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