| Un codice immorale e atecnico, come la volonta' politica che lo ha
imposto, contro l' interesse della convivenza civile e la tradizione
giuridica del nostro Paese. Codice della mera evidenza,
caratterizzato da un alto grado di burocratismo, che sublima il vizio
storico dei giuristi: il formalismo. Consente solo giudizi su vicende
circoscritte, con tempi e formalita' inutilmente onerosi; impedisce
la ricerca della prova nei reati complessi, abrogando figure
criminose. Introduce una illimitata discrezionalita' dell' azione
penale, creando una condizione di denegata giustizia in forma
istituzionale. Subordina il processo all' iniziativa della Procura
Generale; nega la centralita' del dibattimento; conclude la funzione
sociale del Pretore. Rito di stampo tribale, in cui la prova e'
assunta nella forma piu' primitiva ed incerta, e il documento si
trasforma nel racconto del ricordo del documento. Finzione scenica,
che nega il concetto di verita' come valore fondante della
giurisdizione; non costruisce una struttura conoscitiva della
realta', ma si sostituisce da se' alla realta' stessa. Al giudice non
si chiede piu' l' intelligenza, ma solo di adeguare la legge alle
richieste delle parti. E' un modello di manipolazione delle
coscienze. Frutto del disegno politico di delegittimare il potere
giudiziario, e della presunzione di una cultura dominante, che
persegue modelli lontani, gia' in crisi nei Paesi di origine,
incurante del prezzo imposto alla societa' civile. Strumento
teoricamente progressista, che opera in modo reazionario, ratificando
la mera prevalenza del piu' forte. Sanziona la crisi del concetto
stesso di stato, vanificando il rapporto tra giustizia e diritto. Il
tentativo possibile e' dimostrare capacita' di resistenza culturale,
recuperare i valori della giurisdizione, ricercare un' efficienza nel
lavoro quotidiano.
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