| L' A. ritiene che la Suprema Corte, con la pronuncia in epigrafe,
aderisca a quell' interpretazione dell' art. 230 bis c.c., proposta
anche da una parte della dottrina, che giustifica l' attribuzione a
coloro che lavorano nella famiglia del diritto agli utili, ai beni e
agli incrementi, con l' assunto che il reddito prodotto e', in ogni
caso, il reddito dell' impresa collettivamente esercitata. Per quanto
riguarda la necessaria qualificazione del lavoro casalingo come
lavoro pertinente all' impresa, la Corte di Cassazione, che in
precedenza si era espressa in senso negativo, sembra aderire invece,
con la pronuncia annotata, all' orientamento piu' restrittivo
richiedendo, in caso di separazione personale dei coniugi, un impegno
della moglie casalinga tale da esonerare il marito "che poteva cosi'
dedicarsi in maniera piu' esclusiva alle attivita' strettamente
aziendali". L' A. non condivide queste conclusioni, indicando i
motivi.
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