| Il giudice, quando deve decidere sull' affidamento dei figli in
occasione della separazione e del divorzio dei genitori, e' obbligato
a fare riferimento all' "interesse morale e materiale" della prole ex
art. 6 l. 74/1987. L' A. sostiene, richiamandosi anche al saggio di
Jon Elster "Salomonic Judgments: Against the Best Interests of the
Child", che il giudice, come professionista e tecnico del diritto,
per decidere adeguatamente in materia, sembra avere meno strumenti
del carismatico re Salomone. Esaminando le disposizioni normative che
riguardano la decisione da prendere sull' affidamento della prole
emerge che esse poggiano in maniera decisiva su valutazioni che non
si fondano sul sapere giuridico. La questione dell' affidamento pone
il giudice di fronte a problemi di grande complessita', spesso non
gestibili col sapere specifico di cui e' portatore. Ne' la conoscenza
delle scienze umane e di quelle sociali potrebbe aiutare il giudice a
decidere circa l' interesse del minore. La via d' uscita piu'
coerente, respinta quella del ricorso alla monetina, suggerita dall'
Elster, appare quella, sostiene l' A., di radicalizzare la
privatizzazione della decisione. Una prospettiva neoprivatistica
responsabilizzerebbe i singoli e li stimolerebbe a difendere il
proprio diritto in prima persona. Il giudice dovrebbe intervenire
quando venissero meno premesse essenziali come la commissione di
reati da parte di uno o di entrambi i genitori ai danni del minore,
ovvero le parti non si accordassero rifiutando ambedue l' affidamento
del minore. Se poi gli interessati non riuscissero a mettersi d'
accordo in nessun modo, il giudice potrebbe dare corso alla procedura
per l' affido preadottivo, considerando il comportamento dei genitori
come obiettiva dimostrazione di insufficiente interesse al minore.
Sulla base di una possibile reazione di uno o ambedue i genitori il
giudice potrebbe individuare quello piu' interessato al minore e meno
egoista. Ancora una volta Salomone gli sara' venuto in soccorso.
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