| Dal confronto tra le disposizioni del Concordato del 1929 e le nuove
fonti normative sugli insegnamenti di religione derivanti dagli
Accordi ed Intese tra Stato italiano e confessioni religiose,
stipulati dal 1984 in poi, emerge come il processo di riforma della
legislazione ecclesiastica abbia segnato il definitivo superamento di
un modello di societa' "governata", entro il quale l' insegnamento
della religione assumeva -soprattutto in epoca fascista- finalita'
strumentali. Oggi, secondo il modello della "democrazia governante",
la nuova fonte di legittimazione degli insegnamenti di religione va
individuata nel pluralismo, confessionale e culturale, che
contraddistingue lo Stato-comunita' e ne connota l' attitudine laica,
intesa non nel senso di indifferenza o di ostilita' verso le
religioni, ma come apertura alle istanze della coscienza civile e
religiosa dei cittadini. Coerentemente a cio', la nuova fondazione
epistemologica degli insegnamenti di religione va collocata all'
interno delle finalita' educative e culturali della scuola pubblica,
"scuola di tutti", vocazionalmente aperta al confronto con la
societa' civile. In questo quadro -complessivamente positivo- si pone
tuttavia il problema degli studenti che, fruendo della facolta' loro
offerta di scegliere se avvalersi o non degli insegnamenti
confessionali, rimangono privi del confronto con il fatto religioso.
A tale riguardo viene ripreso il dibattito svoltosi nel nostro Paese
sull' opportunita' (secondo alcuni: necessita') di prevedere un
insegnamento aconfessionale di cultura religiosa per gli studenti non
avvalentisi di quelli confessionali. Anche se questa indicazione
appare piuttosto problematica, sia per talune ambiguita' del dato
normativo, sia a causa della giurisprudenza costituzionale formatasi
sulla materia, viene auspicata una ripresa del dibattito attorno a
questo tema, soprattutto in prospettiva di una iniziativa
legislativa, quanto meno sui tempi lunghi.
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