| L' indagine muove da alcuni rilievi espressi in una recente decisione
della Corte di Cassazione -n. 2688/1989- con la quale si e' ritenuto
legittimo il rifiuto del coniuge non agente volto ad impedire l'
effetto coacquisitivo ope legis dei beni. Il c.d. "rifiuto al
coacquisto" costituirebbe, dopo lo "scioglimento parziale"
contemplato dal legislatore e la "estromissione" di elaborazione
dottrinale, una terza ipotesi di esclusione della comunione. L'
argomento si inserisce in una piu' ampia problematica riguardante la
legittimazione dei coniugi ad apportare modifiche parziali alle norme
sulla comunione legale e che la dottrina prevalente, traendo spunto
dall' ultimo comma dell' art. 191 c.c., ritiene sussistere. La teoria
positiva sarebbe rafforzata sia dal testo dell' art. 2647 c.c., nella
parte in cui assoggetta alle regole della trascrizione "le
convenzioni matrimoniali che escludono i beni della comunione tra
coniugi", che dalla mancanza di espresse limitazioni legislative tese
ad impedire ai coniugi la costituzione di modelli atipici di regimi
patrimoniali. A fronte di queste argomentazioni sembra preferibile la
tesi che ravvisa nell' art. 191 c.c. una previsione dotata del
carattere della eccezionalita', non suscettibile di applicazione
analogica ai sensi dell' art. 14 disp. prel. c.c.: la norma non
avrebbe alcun senso se il legislatore avesse optato per una generale
modificabilita' dell' oggetto della comunione legale. Non persuadente
sembra anche la interpretazione dell' art. 2647 c.c., la cui
previsione va connessa alle sole eccezioni espressamente previste
-ultimo comma dell' art. 191- e la cui funzione risponde alla
esigenza di indicare la forma di pubblicita' per le convenzioni
matrimoniali senza per cio' autorizzare altre ipotesi derogatorie
alle norme sulla comunione legale. La complessita' dell' argomento
investe inevitabilmente la sfera dell' autonomia privata dei coniugi,
e la tesi diretta a riconoscere la validita' di figure atipiche di
regime patrimoniale familiare sembra essere coerente con il principio
di liberta' contrattuale espresso dall' art. 1322 comma 2 c.c. Va
tuttavia osservato che il legislatore della riforma del 1975, con la
espressa previsione di due istituti regolati nella forma e nel
contenuto -comunione legale e separazione- e di uno regolato nella
sola forma -comunione convenzionale- ha realizzato un intervento
completo che non lascia spazio alla libera iniziativa dei coniugi,
avendo completato tutte le possibili ipotesi di patrimonialita'
familiare. Quanto osservato consente di sostenere la inderogabilita'
delle norme dettate in tema di comunione legale, che, in quanto
regime legale, non tollera modifiche non espressamente previste, tese
ad una deroga soltanto parziale.
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