| L' ampia formulazione dell' art. 590 c.c. (da qualsiasi causa dipenda
la nullita') sembrerebbe far presumere che in materia di sanatoria
delle disposizioni testamentarie valga un principio di irrilevanza
delle cause di invalidita', invece si e' da sempre posto il problema
dei limiti di applicazione di quella norma, anche se nel tempo sono
mutati i criteri adottati per ridurne la portata, e di conseguenza
anche le fattispecie ritenute suscettibili di conferma. Meno
recentemente si ricorreva alla dibattuta distinzione fra inesistenza
e nullita' (escludendosi, cosi', la sanatoria del testamento orale,
considerato appunto inesistente), ma lo stesso concetto di nullita'
veniva poi lentamente inteso, ammettendosi la sanatoria anche in casi
di annullabilita' (vizi minori di forma), di inefficacia (testamento
revocato), di inesistenza (testamento falso) o addirittura di
validita' (disposizione testamentaria della legittima). Invero,
abbandonata ogni sterile ed astratta distinzione concettuale
(inesistenza, nullita', annullabilita') ed al di la' di ogni
esasperata tutela del "favor testamenti", l' unico criterio per
ammettere la conferma di una disposizione testamentaria e' l'
accertamento, caso per caso, di una effettiva volonta' del testatore
che, seppur invalidamente manifestata, sia definitiva, seria e
completa e non risulti affetta da vizi o difetti di capacita'.
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