| Nota critica alle pronunce in epigrafe, che hanno ammesso al
matrimonio una minore sedicenne convivente more uxorio, gia' sposata
religiosamente, e che aveva abortito spontaneamente al sesto mese. L'
A. critica, in particolare, il decreto della sezione minorile, che ha
affermato che dalla relazione sociale risultava che la giovane aveva
raggiunto "una certa maturita'" e che ricorrevano pure i gravi
motivi, richiesti dall' art. 84 c.c., individuabili nelle negative
conseguenze che la convivenza more uxorio puo' comportare in un
piccolo ambiente, dove tutti si conoscono e dove hanno ancora
importanza i valori della famiglia legittima. Circa la maturita', l'
A. rileva che il servizio sociale non aveva indicato una sola
circostanza concreta che evidenziasse tale maturita' e che, comunque,
il giudice aveva recepito acriticamente il giudizio espresso dal
servizio locale, rinunciando, cosi', ad esprimere una propria
valutazione al riguardo. Quanto alle negative conseguenze della
convivenza more uxorio, l' A. giudica tale rilievo meramente astratto
e senza riferimento al caso concreto, poiche' la Corte non ha
indicato alcun episodio di disagio, turbamento o sofferenza dei
nubendi (per gli ipotetici giudizi negativi dei compaesani), i quali
convivevano pacificamente e col conforto e sostegno delle rispettive
famiglie. Il giudizio della Corte censurava, quindi, la convivenza
more uxorio in se', dimenticando che la legge considera con favore la
famiglia di fatto, equiparando quasi in toto la famiglia naturale a
quella legittima, onde la valutazione della Corte risponde ad una
concezione anacronistica e da molto tempo superata delle relazioni
familiari, sconvolte da una profonda evoluzione del costume e da un
radicale cambiamento di mentalita', dei quali la Corte non ha tenuto
alcun conto, ancorata ad una visione arcaica della realta' sociale.
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