| Riferendosi ad un saggio di Bruno Cavallone contenente critiche ad un
suo precedente lavoro sulla portata della riforma del 1990, con
riferimento ai temi dell' udienza pubblica di discussione, della
pubblicita' dei giudizi, dell' udienza collegiale e della spedizione,
l' A. in questo articolo puntualizza e ribadisce quanto affermato nel
suo precedente saggio. La riforma del 1990 , "in parte qua", si fa
apprezzare essenzialmente perche' "ha (finalmente) consentito al
giudice istruttore di primo grado di giudicare normalmente da solo e,
nei casi in cui ha confermato il collegio, ha reso facoltativa l'
udienza collegiale, stabilendo che a fissarla non debba piu' essere
l' istruttore, ma (finalmente) il presidente"; per di piu', si e'
soppresso, sia pure in un modo, che l' A. ha criticato, l' istruttore
in appello. E' stato cosi' inferto un colpo mortale, afferma l' A.,
alla dicotomia istruttore/collegio e si son poste le premesse per
arrivare ad un processo nel quale si abbia in ogni udienza la
possibilita' di spedire la causa a sentenza: che e', secondo l' A.,
la meta.
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