| L' A. procede all' analisi del d.l. 28 novembre 1984, n. 791, il c.d.
"decreto sui titoli di Stato", esaminandone prima i presupposti e le
finalita'. I presupposti sono da ricercare nel fenomeno di imprese
che ricorrevano all' indebitamento oneroso per investire in titoli di
Stato esenti da imposta; le finalita' sono quelle di "chiudere - come
ha dichiarato il ministro Goria - unasituazione insopportabile e dare
trasparenza ai flussi finanziari". L' A. procede, poi, ad una
valutazione sul merito del decreto. Tale valutazione, sostiene l' A.,
non puo' che essere negativa, in quanto il provvedimento, anziche'
agire sulle cause all' origine del fenomeno, finisce con l' essere
esso stesso causa di ancor piu' gravi sperequazioni, introducendo nel
sistema tributario uno strumento cieco e punitivo. Infatti, con l'
istituzione di una presunzione di legge secondo cui in presenza di
redditi da titoli pubblici si rende automaticamente indeducibile un
corrispondente importo di interessi passivi, si uccide il principio
dell' inerenza fra costi e ricavi su cui poggia l' ordinamento
fiscale vigente. A questa valutazione negativa se ne aggiungono altre
due: il momento della scelta dell' intervento; il fatto che non e'
stato tenuto conto che la questione era gia' stata sostanzialmente
risolta, alla fine del 1983, con l' introduzione dell' imposta di
conguaglio. Il provvedimento, infine, annullando una parte di
possibile autofinanziamento, peggiora l' economia delle imprese.
Meglio sarebbe stato, sostiene conclusivamente l' A., dichiarare
apertamente non piu' esenti i redditi dei titoli pubblici posseduti
dalle imprese.
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