| Onorevoli Deputati! -- Da tempo si è sentita l'esigenza di
guardare con particolare attenzione ai porti: in varie
occasioni e da più parti è stata rappresentata l'opportunità
di un'apposita normativa per avviare le riforme strutturali
indispensabili
allo sviluppo dei traffici, elemento fondamentale per
l'economia del settore e per l'economia nazionale.
Finora le iniziative portate avanti a livello governativo
hanno dato luogo ad una riduzione consistente della manodopera
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in esubero (i lavoratori portuali, ammontanti a 21.000 unità
nel 1983, sono attualmente 6.800), ma non hanno inciso,
nonostante i tentativi, sulla trasformazione globale del
sistema portuale che continua a soffrire dei processi
involutivi legati a vecchi schemi.
L'esigenza di rinnovamento della portualità si è
maggiormente acuita con l'affermarsi delle recenti forme di
trasporto integrato che richiedono non solo infrastrutture
efficienti ed un'azione di coordinamento e programmazione atta
a consentire la congiunzione completa dei vari segmenti
operativi, ma anche un'area di mercato libero, spoglia di
vincoli ed a costi competitivi.
Ai vecchi sistemi organizzativi e gestionali del lavoro nei
porti si sta, di fatto, sovrapponendo un nuovo assetto che non
riesce a trovare adeguati spazi e possibilità di sviluppo per
il sussistere di una normativa ormai obsoleta e non più
rispondente alle esigenze dei mercati.
Il quadro normativo vigente è, infatti, lontano dalla nuova
realtà che si delinea nel sistema dei trasporti, avviato verso
forme intermodali ed integrate che devono trovare il loro
punto di riferimento e di incontro nelle strutture del
porto.
Il processo di riforma dell'ordinamento portuale già
oggetto di esame nella X legislatura deve quindi essere
affrontato con la massima urgenza, non solo per venire
incontro ad esigenze operative di base, ma anche per aderire a
sollecitazioni di organi nazionali e sovranazionali.
E' noto, infatti, che a seguito dell'entrata in vigore
della legge 10 ottobre 1990, n.287, concernente la disciplina
della concorrenza ai fini del rispetto delle norme
comunitarie, l'Autorità garante, in relazione all'esame di
singole fattispecie afferenti il settore, ha rivolto l'invito
ai competenti organi per addivenire ad un riordino della
materia che tenga conto dei princìpi affermati con la suddetta
legge antitrust.
Successivamente la Corte di giustizia delle Comunità
europee, con sentenza in data 10 dicembre 1991, ha ribadito la
valenza delle norme comunitarie sulla libera concorrenza negli
Stati membri, evidenziando il contrasto sussistente tra alcune
norme del nostro ordinamento relative al lavoro portuale con i
princìpi contenuti nel Trattato di Roma, istitutivo della
Comunità economica europea.
Tale situazione, accertata dal giudice europeo, richiede,
come affermato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale
e ribadito dal Consiglio di Stato, con il parere della II
Sezione del 13 maggio 1992, una disapplicazione delle norme
interne confliggenti con quelle comunitarie da parte degli
organi giurisdizionali ed amministrativi, ma soprattutto la
conseguente modifica normativa da parte degli organi
legislativi.
Nel frattempo la Commissione delle Comunità europee,
nonostante il recente intervento amministrativo (circolare del
Ministro della marina mercantile n.21 del 9 luglio 1992,
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.179 del 31 luglio
1992), ha invitato il Governo italiano ad adeguare, entro il
30 settembre 1992, la legislazione nazionale a quella
comunitaria in tema di libera concorrenza nel settore
portuale, riservandosi, oltre tale termine, di avviare la
procedura di infrazione.
La riforma è quindi particolarmente urgente non solo per le
pressanti sollecitazioni e misure in via di adozione, ma
perché le disposizioni amministrative emanate al riguardo con
la circolare del 9 luglio 1992, sopra richiamata, sulla base
del citato parere del Consiglio di Stato ed in aderenza ai
princìpi enunciati dal giudice europeo, stanno incontrando
difficoltà in sede di applicazione per le numerose vertenze
giudiziarie insorte in materia.
Allo stato attuale si presenta quindi nei porti (e
soprattutto in alcuni grandi scali) una situazione di
difficile gestione a causa delle posizioni contrapposte e
radicalizzate assunte dalle parti, che hanno dato luogo a
notevoli contenziosi, alcuni dei quali conclusisi con sentenze
di contenuto opposto.
E' urgente, quindi, una disciplina organica per un settore
vitale dell'economia attraverso l'emanazione di norme cogenti
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che, in aderenza ai nuovi indirizzi comunitari, eliminino
interpretazioni difformi di natura giurisdizionale e
rispondano alle istanze di rinnovamento avanzate dalle forze
che operano nel settore.
Fulcro della riforma è la gestione del porto, incentrata
sull'ingresso di operatori privati in grado, attraverso le
strutture di cui sono dotati e l'organizzazione operativa, di
effettuare servizi efficienti in tempi brevi.
Il porto deve, quindi, essere aperto a più imprese che
operino in un regime di piena concorrenza: solo attraverso il
confronto continuo e la competizione si può realizzare una
politica portuale mirata a contenere i costi ed a fornire, nel
contempo, servizi sempre più articolati e completi.
In quest'ottica nuova e moderna, in linea con i porti
europei, si inserisce infatti l'operatore privato, esercente
attività d'impresa nell'ambito di aree e banchine in
concessione, dotato cioè di una serie di strutture tali da
poter offrire sul mercato un servizio completo, assicurando il
trasporto dei beni dalla stiva a destinazione, ad un prezzo
fisso, comprensivo di tutti gli oneri connessi al ciclo
operativo unico.
L'organizzazione del lavoro nell'ambito dei porti deve
muoversi per il futuro in questa direzione: far convergere nel
porto e nel territorio retrostante le diverse tipologie di
trasporto, in modo da realizzare, con la contiguità dei
servizi, l'obiettivo della massima riduzione di tempi e di
costi aggiuntivi.
Il porto deve risultare strettamente collegato al
territorio onde realizzare una stretta connessione ed
integrazione tra i vari sistemi di trasporto.
Giova sottolineare, a questo riguardo, che negli ultimi
venti anni il porto ha cessato di costituire un'entità a sè
stante, per divenire un anello o un segmento del sistema di
trasporto delle materie prime e delle merci dal luogo di
produzione al luogo di utilizzazione o di consumo;
l'operatore, che provvede ad organizzare la catena del sistema
completo e che ne assume la responsabilità, sceglie e decide
in base a criteri di efficienza, affidabilità ed economicità,
ed i porti i cui servizi o le cui strutture non rispondano a
questi requisiti restano emarginati dai grandi itinerari di
trasporto.
Altro dato saliente è che, attualmente, il 70 per cento dei
movimenti di merce nell'intero Mediterraneo transita
attraverso porti italiani. Con l'accentuazione della
competitività conseguente alla completa realizzazione del
Mercato comune, la percentuale indicata potrebbe notevolmente
contrarsi a vantaggio di scali meglio attrezzati ed
organizzati. E' evidente l'esigenza di un intervento urgente
di trasformazione e di adeguamento alle nuove condizioni del
mercato.
Nel contempo è necessario che da parte degli stessi
operatori del settore venga realizzato, attraverso proprie
strutture ed organizzazione del lavoro, un ciclo unico dei
carichi, evitando frazionamenti inutili ed onerosi.
Nel sistema sopra delineato si devono muovere anche le
compagnie portuali, non più detentrici di una posizione di
monopolio e collocatrici di manodopera, ma trasformate in
imprese; in tale veste possono continuare ad operare offrendo
sul mercato il patrimonio professionale e tecnico di cui sono
dotate, garantendo, nel contempo, il livello occupazionale dei
soci.
Le linee sopra descritte possono ritenersi, allo stato
attuale, sufficienti per introdurre con immediatezza elementi
innovativi nei porti nazionali tali da avvicinarli ai sistemi
gestionali dei porti comunitari, la cui attività ed il cui
sviluppo sono principalmente legati ad un regime
concorrenziale.
Altri elementi dovranno essere valutati ed affrontati al
più presto dal legislatore, sentito anche il Comitato
interministeriale per la programmazione economica (CIPE), in
ordine all'organizzazione amministrativa dei porti. E' noto,
infatti, che i porti principali, detentori delle correnti di
traffico vitali per l'economia nazionale, sono porti sedi di
enti portuali. Detti enti, figure giuridiche pubbliche
economiche, hanno finora svolto sia funzioni di natura
amministrativa, con l'espletamento di gran parte dei compiti
attribuiti in sede
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locale alle capitanerie di porto, sia attività gestionale
anche attraverso la partecipazione a società private
costituite con proprio capitale.
I risultati non sono stati positivi sul piano
imprenditoriale; la commistione tra le due figure ha
senz'altro contribuito ad affossare le iniziative di natura
imprenditoriale.
Occorre, pertanto, dare un nuovo assetto giuridico agli
enti, assegnando ad essi solo compiti di programmazione,
coordinamento e controllo delle attività che si svolgono nel
porto, e stabilire una netta separazione dei compiti
concernenti la sicurezza e la funzionalità dei servizi comuni
rispetto alle attività produttive e commerciali.
Le linee portanti del nuovo assetto devono, quindi,
ricondursi a due elementi contrapposti, ma coordinati negli
obiettivi da raggiungere: da una parte gli enti, quali
autorità portuali, che coordinano e che devono costituire il
punto di riferimento e di garanzia per il corretto
funzionamento dell'attività portuale, e dall'altra parte gli
operatori privati ai quali è affidata la gestione commerciale
del porto.
Questo sistema organizzativo basato su due poli distinti,
autonomi e con funzioni diverse, ma entrambi miranti a
potenziare lo sviluppo dei traffici, è il sistema che si
riscontra nei modelli dei porti nord-europei e che dovrebbe
far uscire i porti nazionali dalla presente situazione di
crisi, utilizzando, in tal modo, le risorse disponibili non
adeguatamente sfruttate.
In tale contesto un accento particolare deve essere posto
in ordine alla riorganizzazione del sistema portuale
nazionale; è urgente pervenire ad una diversa classificazione
dei porti che miri ad individuarli sulla base delle funzioni
specifiche alle quali possono essere chiamati in relazione
alla posizione geografica, alle strutture ed infrastrutture ed
all'economia del territorio retrostante.
La conformazione del nostro Paese, con una estensione
notevole di coste e di approdi, deve fare affidamento su porti
destinati a funzioni diverse, ma armonizzati tra loro in modo
da realizzare un quadro della portualità sviluppato nei vari
settori.
Sono questi gli ulteriori aspetti legati alla portualità
che dovranno entro tempi brevi essere oggetto di valutazione
ed esame da parte degli organi legislativi per completare il
tessuto normativo dell'ordinamento portuale.
Trattasi di tappe significative e non più eludibili nella
prospettiva del rilancio della portualità con l'obiettivo di
coniugare il recupero di efficienza e di funzionalità dei
porti con l'incremento occupazionale.
Per quanto concerne il decreto-legge in oggetto si
delineano qui appresso i contenuti dei singoli articoli, che,
per i motivi sopra esposti, non possono essere ulteriormente
procrastinati, in attesa della riforma completa della
portualità.
L'articolo 1 affronta il settore specifico del lavoro
portuale, stabilendo in via prioritaria ed immediata
l'abrogazione della riserva prevista a favore delle compagnie
portuali e successivamente, entro novanta giorni dalla data di
entrata in vigore del provvedimento, l'abrogazione di tutte le
norme del codice della navigazione e del regolamento marittimo
attinenti la materia portuale.
E' stato altresì previsto, sempre all'articolo 1, comma 1,
il mantenimento dell'articolo 1279 del codice della
navigazione fino al 1^ gennaio 1996, sempre in attesa
dell'emanazione del provvedimento definitivo di riforma della
portualità. Il citato articolo 1279 del codice della
navigazione prevede contributi sulle merci sbarcate e
imbarcate destinati ad alimentare il bilancio speciale per gli
uffici del lavoro portuale (regio decreto-legge 24 settembre
1931, n.1277, convertito, con modificazioni, dalla legge 3
marzo 1932, n.269).
Abrogare la norma in questione, prima che venga approvato
definitivamente il disegno di legge di riforma della
portualità, attualmente all'esame della Camera dei deputati
(v. atto Camera n.2524), comporterebbe l'interruzione del
gettito e creerebbe quindi difficoltà amministrativocontabili
di gestione.
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Il disegno di legge citato prevede infatti l'istituzione di
una gestione autonoma sostitutiva di quella attualmente
esistente, con finalità e compiti adatti alle nuove realtà.
Il medesimo articolo 1, al comma 2, attribuisce l'esercizio
della vigilanza sulle attività di carico, scarico, trasbordo e
movimento in genere delle merci e su quelle complementari ed
accessorie, all'ente portuale o all'autorità marittima, cui
spetta pure curare l'osservanza del rispetto delle relative
tariffe, la cui determinazione è comunque rimessa alle stesse
imprese.
E', altresì, prevista la nuova regolamentazione per lo
svolgimento di attività di impresa per conto proprio o per
conto di terzi, con l'indicazione dei requisiti idonei a
garantire lo svolgimento delle relative attività anche da
parte di imprese comunitarie.
L'esercizio è, comunque, subordinato ad un apposito atto
autorizzativo in quanto, come indicato dall'Autorità garante e
dal Consiglio di Stato, l'autorizzazione, rispetto alla
concessione, consente "una più vasta partecipazione degli
interessi ed un più penetrante controllo giudiziario".
L'attività in questione è altresì soggetta ad un'azione
costante di vigilanza e di controllo che può dar luogo,
allorché venga accertata la mancata sussistenza dei requisiti
richiesti, alla sospensione, alla revoca ed infine al diniego
del rinnovo.
Viene inoltre disciplinato l'esercizio non abituale di
operazioni portuali in occasione di arrivo o partenza di navi,
dotate di propri mezzi meccanici e di personale adeguato alle
operazioni da svolgere.
L'articolo 2 concerne la trasformazione delle compagnie e
dei gruppi portuali nelle forme societarie previste dal codice
civile in materia di società e di cooperative.
I nuovi organismi, in possesso dei requisiti indicati
nell'articolo 1, possono svolgere attività d'impresa; quelli
che, viceversa, non svolgano attività imprenditoriali o
abbiano personale in esubero non possono assumere nuovi
elementi e possono solo limitarsi ad avviare, in mobilità o
distacco, il personale eccedentario presso le imprese
richiedenti.
Nell'ambito del nuovo quadro normativo viene così ad essere
tutelato il patrimonio professionale dei lavoratori delle
compagnie, con la trasformazione delle compagnie medesime
nella veste imprenditoriale, e nel contempo, qualora detta
trasformazione non sia possibile, con la continuazione dello
svolgimento da parte del personale in esubero di attività
presso altre imprese.
E', altresì, in parte garantito il livello occupazionale
delle categorie prevedendo, in caso di esuberi, oltre
all'avviamento in mobilità e distacco, anche la priorità nelle
assunzioni di nuovo personale da parte delle imprese.
L'articolo 3 individua il regime fiscale applicabile al
settore nella fase di trasformazione.
L'articolo 4, al comma 1, differisce al 31 dicembre 1993 il
beneficio del trattamento straordinario di integrazione
salariale nei confronti di 1.000 lavoratori e dipendenti delle
compagnie portuali, ivi comprese le compagnie del ramo
industriale e di carenanti del porto di Genova. Il comma 2
stabilisce che l'anzidetto beneficio, qualora non pienamente
utilizzato negli anni 1992-1993, possa essere utilizzato fino
al 30 giugno 1994. Il comma 3 stabilisce l'applicabilità ai
lavoratori operanti in porto, siano essi soci o dipendenti,
alla scadenza dei benefici di cui ai commi 1 e 2, di quanto
previsto dall'articolo 3, comma 6, del decreto-legge 22
gennaio 1990, n.6, convertito, con modificazioni, dalla legge
24 marzo 1990, n.58, ivi compresa la normativa della cassa
integrazione guadagni, secondo criteri e modalità da
determinarsi con decreto interministeriale, che tenga conto
della specificità del settore. Il comma 4 quantifica gli oneri
derivanti dall'applicazione dei commi 1 e 2 e pone la relativa
spesa a carico dello stanziamento di cui alla tabella A della
legge finanziaria per l'anno 1993, utilizzando
l'accantonamento relativo al Ministero dei trasporti.
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L'articolo 5 prevede l'istituzione a livello locale di
commissioni consultive presiedute dall'autorità marittima,
composte da tre rappresentanti delle organizzazioni sindacali
dei lavoratori maggiormente rappresentative a livello
nazionale e da tre rappresentanti delle associazioni nazionali
imprenditoriali aderenti al comitato di coordinamento
dell'utenza nazionale, con compiti di consulenza sulle materie
ad esse sottoposte dall'ente portuale o dall'autorità
marittima.
Analoga commissione è prevista a livello centrale con
compiti consultivi, in materia di problemi generali attinenti
le attività e l'organizzazione portuale, da attuarsi su
iniziativa del Ministro della marina mercantile.
L'istituzione dei predetti organi collegiali è quanto mai
opportuna, venendo a costituire un utile supporto
rappresentativo degli interessi presenti nella portualità
nell'espletamento dei compiti affidati all'autorità.
L'articolo 6 disciplina la gestione di aree demaniali e
delle banchine affidate ad imprese, comprese le compagnie
portuali trasformate in società ai sensi dell'articolo 2 che
svolgano attività di impresa particolarmente qualificate, che
vengono a realizzare un ciclo produttivo a carattere
continuativo ed integrato.
L'articolo in questione introduce una nuova figura
dell'ordinamento portuale, il terminalista, operatore che
racchiude nell'ambito delle strutture e delle aree di cui
è dotato il ciclo completo del trasporto da stiva a
destinazione. Il terminalista è la figura giuridica più
avanzata che realizza quelle condizioni operative integrate
rispondenti alle nuove esigenze organizzative del mercato e
più produttive per i porti.
Con l'articolo 7, inoltre, si prevede l'attivazione delle
procedure per il recupero delle somme erogate alle compagnie e
gruppi portuali unitamente ai relativi interessi legali
qualora gli interventi di ripiano dei disavanzi, registrati al
31 dicembre 1991, delle gestioni delle compagnie e dei gruppi
portuali, di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto-legge 7
settembre 1992, n.370, convertito dalla legge 5 novembre 1992,
n.428, vengano giudicati dalla Comunità europea in contrasto
con la normativa comunitaria e tali da alterare la
concorrenza.
Per consentire, inoltre, il completamento degli interventi
in questione è prevista altresì la proroga della gestione
commissariale del Fondo gestione istituti contrattuali
lavoratori portuali fino al 31 dicembre 1996.
Il comma 3 dell'articolo 7 dispone, infine, in analogia a
quanto previsto per i lavoratori e gli amministrativi della
Finmare con l'articolo 6, comma 15, del decreto-legge 20
maggio 1993, n.148, convertito, con modificazioni, dalla legge
19 luglio 1993, n.236, l'estensione del trattamento
straordinario di integrazione salariale anche al personale
addetto al servizio di rimorchio nei porti.
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