| (Seguito dell'esame e conclusione).
Le Commissioni proseguono l'esame del piano all'ordine del
giorno.
Il Presidente Angelo TIRABOSCHI, scusandosi anche a nome
dei colleghi per il ritardo con il quale hanno inizio i lavori
delle Commissioni, fa presente che, stante l'imminenza della
votazione sulla fiducia al Governo, si può tuttavia utilizzare
il tempo disponibile chiedendo ai relatori di illustrare i
contenuti della proposta di parere dai medesimi formulata e
che sarà formalizzata in tempi brevi. Avverte altresì che sono
pervenute alla Presidenza proposte di parere anche da parte
dei deputati di gruppi del PDS, della Lega Nord, di
Rifondazione comunista, repubblicano e del MSI-Destra
nazionale e che il gruppo liberale ha presentato un contributo
al parere dei relatori.
Il deputato Luigi CASTAGNOLA, (gruppo del PDS), parlando
sull'ordine del lavori, ritiene essenziale che le Commissioni
siano poste in condizione di conoscere la proposta di parere
dei relatori che dovrebbe essere, quindi, formalizzata anche
prima della sua illustrazione da parte dei relatori.
Il Presidente Angelo TIRABOSCHI assicura che le proposte
di parere, sia dei relatori che dei deputati degli altri
gruppi, saranno messe a disposizione delle Commissioni nel più
breve tempo possibile e che, comunque, non si procederà oltre
nella discussione prima che tali pareri siano formalizzati;
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ritiene tuttavia utile consentire ai relatori di illustrare la
proposta di parere della maggioranza.
Dopo che il deputato Sergio COLONI (gruppo della DC) ha
invitato la Presidenza a fissare un termine -ultimo e certo
per la formalizzazione delle proposte di parere, il deputato
Maurizio GASPARRI (gruppo del MSI-Destra nazionale) chiede
chiarimenti circa il termine uItimo per la votazione del
parere da parte delle Commissioni.
Il Presidente Angelo TIRABOSCHI ritiene che possa essere
fissato per le ore 13 il termine ultimo per la presentazione
delle proposte di parere; fa presente, altresì, che il
calendario dei lavori delle Commissioni riunite, a suo tempo
deliberato dagli Uffici di Presidenza, prevede per la giornata
odierna il termine entro il quale le Commissioni delibereranno
il parere al Governo sul piano di riordino delle
partecipazioni statali, in coerenza peraltro con i termini
assegnati alle medesime e dalla Presidenza della Camera.
Il deputato Adriano BIASUTTI (gruppo della DC), relatore
per la X Commissione, illustrando le linee del parere, in
corso di redazione, che i relatori presenteranno alle
Commissioni, rammenta che l'approfondito dibattito
parlamentare ha richiamato lo specifico ruolo svolto dalle
imprese pubbliche per l'espansione dell'economia italiana ed
il sostegno dell'occupazione, con importanti effetti
soprattutto nei momenti critici del ciclo economico; il
dibattito ha evidenziato tuttavia come sia necessario un
mutamento volto a recuperare competitività e capacità
espansiva ed ha particolarmente sottolineato come, nel
presente contesto, comunitario, sia assolutamente
indispensabile esaltare l'efficienza complessiva del sistema
produttivo nazionale, industriale e finanziario, attraverso
nuovi equilibri tra capitale pubblico e privato e nuove forme
di risparmio finanziario, che pongano le basi per la creazione
di gruppi imprenditoriali coerenti e competitivi, riconoscendo
la rilevanza a tali fini delle politiche di privatizzazione
per superare la rigida separazione tra pubblico e privato. Nel
corso del dibattito si è altresì ribadito come la
trasformazione degli enti in società per azioni comporti già
di per se' un mutamento del ruolo dello Stato, anche in
qualità di azionista, nel senso di affidare ad esso un
prevalente ruolo di regolatore dell'economia e di realizzare
condizioni di parità per le imprese, private o a
partecipazione pubblica; ciò comporta altresì la necessità di
espandere la strumentazione per assicurare la tutela degli
interessi pubblici, quale che sia l'assetto proprietario
dell'impresa, rilevato come un così alto sistema di obiettivi
richiede l'impegno da parte di tutte le forze imprenditoriali
del paese e un'ampia cooperazione sociale, ma anche una
complessiva strategia da parte delle istituzioni di Governo in
funzione di interessi generali. A tal fine si deve individuare
nel vincolo di economicità e in quello della massima
valorizzazione delle risorse produttive il criterio guida che
presiede alle scelte concrete da assumere, che vanno valutate
con realismo e fiessibilità nelle singole circostanze;
l'effettivo adeguamento del sistema industriale alle
condizioni di competitività e la valorizzazione delle risorse
è condizione ineliminabile per ridurre gli sprechi conseguenti
all'inefficienza economica e per quella ripresa indispensabile
a fondare una strategia realistica di riduzione del vincolo di
bilancio. E' stata inoltre espressa nel corso della
discussione la preoccupazione per i rischi di un
restringimento della base produttiva nazionale e per i costi
sociali del processo di privatizzazione, con aggravamento
della crisi in atto, soprattutto per talune zone del paese,
rilevando la necessità di ricorrere ad attività sostitutive e
ad ammortizzatori sociali.
Al fine di conseguire il massimo risultato del processo di
riordino e delle operazioni di dismissione dovranno essere
definiti, entro il 31 marzo 1993, indirizzi e modalità dei
nuovi assetti societari mediante l'individuazione di procedure
ispirate a criteri di trasparenza economica, certezza
giuridica ed efficienza. Si richiede quindi di definire le
regole di valutazione delle imprese e di determinazione dei
prezzi di offerta, valutazioni che dovranno essere effettuate
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nella rispettiva autonomia dal Governo e dalle società
interessate; le modalità giuridiche e finanziarie delle
cessioni e dei trasferimenti, nonché le condizioni di
pagamento; le modifiche delle disposizioni che attualmente
limitano l'acquisizione e la cedibilità dei diritti sulle
imprese; le condizioni di difesa degli interessi nazionali in
settori strategici dell'economia; la ricerca delle condizioni
di sviluppo e diffusione di un azionariato popolare e per
l'acquisto di quote societarie da parte del personale
dipendente, introducendo un regime fiscale favorevole per tali
trasferimenti o cessioni, anche limitando le quote di possesso
detenibili dalle persone fisiche e dalle persone giuridiche,
per consentire la fruizione di tali agevolazioni; il
perfezionamento della riforma dei mercati finanziari al fine
di favorire la destinazione del risparmio delle famiglie verso
il capitale di rischio attraverso il completamento della
legislazione in materia di fondi pensione, fondi chiusi,
azioni di risparmio e più in generale, di investitori
istituzionali.
A partire dalle operazioni già avviate, il processo di
privatizzazione e di riordino della presenza pubblica potrà
continuare dai settori assicurativo e bancario, assolvendo
preliminarmente alle esigenze di ricapitalizzazione delle
società per azioni partecipate dal tesoro e derivanti dalla
trasformazione degli enti e delle aziende pubbliche, al fine
di ridurre l'indebitamento complessivo e i connessi oneri
finanziari dei gruppi.
Dovrà essere dato l'indirizzo all'ENI s.p.a. di collocare
immediatamente in borsa le società controllate in grado di
sostenere l'impatto del mercato.
Tutto il processo deve quindi proseguire e definire le
successive priorità, tenendo presenti le linee di riordino dei
settori produttivi, nonché le effettive condizioni delle
operazioni di dismissione, la risposta dei mercati, i
caratteri della congiuntura.
Il Governo procederà al superamento dell'attuale assetto
dei consigli di amministrazione con la presenza
dell'azionariato minore, non marginale e con l'inserimento di
responsabili operativi dei gruppi e delle finanziarie e di
managers di riconosciuta professionalità, anche esterni
al sistema.
In conformità con gli indirizzi del Governo, spetterà al
management, nella sua autonomia imprenditoriale, ogni
decisione circa le politiche di risanamento e di rilancio
delle aziende.
Dovrà essere favorita la costituzione di public
companies, in particolare per le imprese erogatrici di
servizi di pubblica utilità.
A tal fine saranno adeguate le norme del diritto
societario, per tutelare gli azionisti di minoranza e per
garantire i diritti degli azionisti e dei risparmiatori. A
tale scopo potranno essere introdotti premi di fedeltà e, a
garanzia del'interesse pubblico, azioni con diritti speciali
che prevedano la possibilità di esercitare forme di controllo
sulle decisioni strategiche e di veto su cessioni, fusioni e
mutamenti dell'oggetto sociale.
Dovranno essere creati, a tal fine eventualmente adeguando
la legislazione, nuclei stabili, per una durata minima
predeterminata con l'obiettivo di assicurare la stabilità
dell'assetto societario e la tutela dell'interesse nazionale
in settori ritenuti strategici.
Dovranno essere esclusi scambi di pacchetti azionari che
configurino operazioni di salvataggio di imprese private e che
di fatto producano l'effetto di estendere la proprietà
pubblica.
Dovrà essere utilizzata, ovunque ciò non sia in contrasto
con gli obiettivi societari perseguiti, la procedura
dell'offerta pubblica di vendita, in ogni caso garantendo,
nella maggior misura possibile, che lo scambio dei titoli
avvenga nei mercati regolamentati e attraverso gli
intermediari autorizzati; occorre invece superare l'ipotesi
del consorzio di rilievo avanzata nel programma del
Governo.
Dovrà essere mantenuto il principio di separatezza in
ordine sia alla nozione di controllo di una banca, sia ai
limiti e divieti relativi alle concentrazioni di potere in una
banca, conseguenti ad accordi tra partecipanti, così come
esplicitati dalla legge n. 287 del 1990, recante norme per la
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tutela della concorrenza e del mercato. Dovrà essere favorita
la partecipazione del sistema bancario ai processi di
ricapitalizzazione dell'intero sistema industriale e al
processo di privatizzazione nei limiti e nelle modalità
previsti dal decreto legislativo attuativo della II direttiva
bancaria CEE, e comunque in misura tale da consentire, ove
necessario, la possibilità di svincolo mediante il
ricollocamento delle partecipazioni;
Si dovrà predisporre, entro il 31 rnarzo 1993, una
normativa che regoli in via generale il rapporto tra gruppi
finanziari e industriali e mezzi di informazione prevedendo
limiti alla proprietà dei mezzi di informazione da parte di
imprese industriali e finanziarie favorendo inoltre la
collocazione in borsa delle relative imprese, senza assumere,
in assenza di tale normativa, alcuna decisione di dismissione
in ordine alla proprietà pubblica dei mezzi di
informazione;
La cessione di quote di proprietà pubblica ad acquirenti
esteri, sarà finalizzata alla realizzazione di un sistema di
alleanze internazionali funzionali al rafforzamento del
sistema industriale del paese e al suo inserimento nel mercato
internazionale;
Dovrà essere favorita l'integrazione nei settori
produttivi, riunificando le aziende pubbliche operanti nello
stesso segmento, ivi comprese le aziende del gruppo EFIM,
indipendentemente dalla loro attuale collocazione nelle
diverse holding, non escludendo integrazioni con aziende
private;
Dovranno essere riconsiderate le scelte in ordine al
trasporto marittimo, integrando i servizi di cabotaggio con il
sistema dei trasporti, alla cantieristica ed alla industria
navalmeccanica, per il ruolo importante che possono svolgere
tali settori per lo sviluppo del paese e per i traffici
marittimi dell'intera Europa, in presenza di positive
prospettive di mercato a medio lungo termine e di possibili
alleanze e partecipazioni internazionali;
Nella definizione dell'assetto societario ed istituzionale
dell'INA spa e delle società che gestiscono servizi di
pubblica utilità, dovrà essere garantita la distinzione
dall'ordinaria attività commerciale dello svolgimento delle
funzioni di interesse pubblico ad esse attribuito;
Le imprese che gestiscono servizi pubblici dovranno essere
poste nelle condizioni di operare in un quadro di certezza
delle tariffe nel medio periodo, che garantisca la
remunerazione del capitale e la crescita degli investimenti e
dell'occupazione, tutelando, al contempo, gli interessi degli
utenti. Le tariffe dovranno essere adeguate sulla base
dell'andamento del costo della vita al netto di quota parte
dell'incremento della produttività;
Si dovrà procedere, utilizzando le autonomie locali, ad
una valutazione su base regionale dei costi sociali derivanti
dalle dismissioni e provvedere a credibili iniziative di
reindustrializzazione nelle aree più svantaggiate del paese. A
tal fine dovranno essere assunte adeguate iniziative
legislative in materia di occupazione.
I proventi delle dismissioni dovranno essere destinati al
risanamento finanziario delle aziende da riorganizzare, alle
politiche attive del lavoro e della reindustrializzazione e
alla riduzione del debito pubblico per la quale dovranno
essere garantiti apporti nella misura indicata dal programma
del Governo di 7 mila, 10 mila e 10 mila miliardi di lire
rispettivamente negli anni 1993, 1994 e 1995.
Una finanziaria di partecipazioni pubbliche può essere
costituita al termine del processo quale strumento per la
gestione unitaria delle quote azionarie mantenute dallo
Stato;
Per quanto attiene agli aspetti istituzionali, dovrà
essere prevista una revisione dell'attuale configurazione
ministeriale, nell'ambito della quale costituire un Ministero
che svolga un ruolo incisivo di programmazione e coordinamento
di tutte le attività produttive del paese, ovunque siano
attualmente collocate le rispettive competenze
amministrative.
L'attuazione del programma di privatizzazione dovrà essere
affidata collegialmente ai soggetti previsti dall'articolo 16,
comma 1, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito
in legge, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n.
359.
Pag. 15
Il Governo dovrà sottoporre alla delibera delle Camere
annualmente e, per il 1993, entro il 31 marzo, un documento
sul riordino delle partecipazioni pubbliche e sullo stato
delle privatizzazioni, da esaminarsi con procedure analoghe a
quelle previste per l'esame del documento di programmazione
economico-finanziaria. Nel documento il Governo dovrà proporre
gli eventuali aggiornamenti, revisioni o integrazioni del
piano, riferire sugli atti compiuti e prospettare le
iniziative avviate o da avviare, esplicitando le procedure
seguite o da seguire, con particolare riferimento alle
modalità del collocamento sul mercato delle quote da
dismettere, e le previsioni e i risultati finanziari, sia in
termini di risanamento e ricapitalizzazione delle società per
azioni, sia di benefici per la finanza pubblica, nonché gli
obiettivi di politica industriale perseguiti ed effettivamente
raggiunti, in particolar modo in ordine al rafforzamento del
sistema produttivo italiano.
Il Presidente Angelo TIRABOSCHI fa presente che, stante
l'imminenza di votazioni in Assemblea, i lavori delle
Commissioni dovranno essere sospesi ed aggiornati ad altra
ora. Sottolinea altresì l'esigenza, più volte prospettata e
sempre disattesa, che i lavori delle Commissioni riunite, le
quali sono chiamate a deliberare un parere al Governo di
estrema rilevanza, siano coordinati con quelli dell'Assemblea;
ciò anche al fine di non costringere le Commissioni stesse a
riunirsi nei ritagli brevissimi di tempo ovvero a rendere
impossibile l'espressione del parere. Sospende quindi la
seduta che riprenderà nei tempi consentiti dai lavori
dell'Assemblea, riservandosi di attivare le opportune
iniziative per un migliore coordinamento dei lavori
parlamentari.
(La seduta, sospesa alle 11,40, è ripresa alle
15,15).
Il Presidente Angelo TIRABOSCHI fa presente che da parte
delle Commissioni I, IX, XI e XIII sono state deliberate
osservazioni sul programma di riordino, rispettivamente, nelle
sedute del 15, 10, 2 e 10 dicembre, poste all'attenzione delle
Commissioni riunite.
Avverte quindi che i relatori hanno presentato la seguente
proposta di parere:
"Le Commissioni riunite V, VI e X
esaminato il programma di riordino di IRI, ENI, ENEL,
IMI, BNL ed INA, presentato dal Governo al sensi dell'articolo
16 al decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito con
modificazioni dalla legge 8 agosto 1992, n. 359;
considerato che il documento del Govemo dà coerentemente
seguito al processo di riorganizzazione delle imprese
pubbliche, avviato con la trasformazione degli enti in società
per azioni, che si inserisce nella stagione di complessivo
rinnovamento dell'assetto istituzionale ed economico del
paese;
considerato che l'approfondito dibattito parlamentare:
ha richiamato lo specifico ruolo svolto dalle imprese
pubbliche per l'espansione dell'economia italiana ed il
sostegno dell'occupazione, con importanti effetti soprattutto
nei momenti critici del ciclo economico ed ha tuttavia
rilevato come sia necessario un mutamento volto a recuperare
competitività e capacità espansiva;
ha particolarmente sottolineato come nel presente
contesto comunitario, sia assolutamente indispensabile
esaltare l'efficienza complessiva del sistema produttivo
nazionale, industriale e finanziario, attraverso nuovi
equilibrii tra capitale pubblico e privato e nuove forme di
risparmio finanziario, che pongano le basi per la creazione di
gruppi imprenditoriali coerenti e competitivi;
ha sottolineato l'esigenza di procedere
all'applicazione del programma in uno spirito che dia segnali
non equivoci al mercato interno ed internazionale sulla
volontà di ridurre effettivamente la presenza dello Stato
nell'economia;
Pag. 16
ha ribadito come la trasformazione degli enti in
società per azioni comporti già di per se' un mutamento del
ruolo dello Stato, anche in qualità di azionista, nel senso di
afidare ad esso un prevalente ruolo di regolatore
dell'economia e di realizzare condizioni di parità per le
imprese, private o a partecipazione pubblica; ciò richiede di
conseguenza una più ampia strumentazione per assicurare la
tutela degli interessi pubblici quale che sia l'assetto
proprietario dell'impresa;
ha rilevato come un quadro di obiettivi così
coordinati tra loro richieda l'impegno da parte di tutte le
forze imprenditoriali del paese e un'ampia cooperazione
sociale, ma soprattutto una complessiva strategia da parte
delle istituzioni di Governo in funzione di interessi
generali;
ha individuato nel vincolo di economicità e in quello
della massima valorizzazione delle risorse produttive il
criterio guida che presiede alle scelte concrete da assumere,
che vanno valutate con realismo e flessibilità, nelle singole
singole circostanze; rilevando che l'effettivo adeguamento del
sistema industriale alle condizioni di competitività e la
valorizzazione di tutte le risorse è condizione ineliminabile
per ridurre gli sprechi conseguenti all'inefficienza economica
e per fondare sulla ripresa produttiva una strategia
realistica di riduzione del vincolo di bilancio;
ha espresso preoccupazione per i rischi di un
restringimento della base produttiva nazionale e per i costi
sociali del processo di privatizzazione, con aggravamento
della crisi in atto, soprattutto per talune zone del paese,
rilevando la necessità di ricorrere ad attività sostitutive e
ad ammortizzatori sociali.
In base a tutte le premesse considerazioni esprimono
parere favorevole sul programma di riordino presentato dal
Governo con le seguenti condizioni:
1. Al fine di conseguire il massimo risultato del
processo di riordino e delle operazioni di dismissione
dovranno essere definiti, entro il 31 marzo 1993, indirizzi e
modalità dei nuovi assetti societari mediante l'individuazione
di procedure ispirate a criteri di trasparenza economica,
certezza giuridica ed efficienza, definendo:
le regole di valutazione delle imprese e di
determinazione dei prezzi di offerta; tali valutazioni
dovranno essere effettuate nella rispettiva autonomia dal
Governo e dalle società interessate;
le modalità giuridiche e finanziarie delle cessioni e
dei trasferimenti, nonché le condizioni di pagamento;
le modifiche delle disposizioni che attualmente
limitano l'aquisizione e la cedibilità dei diritti sulle
imprese
le condizioni di difesa degli interessi nazionali in
settori strategici dell'economia;
la ricerca delle condizioni di sviluppo e diffusione
di un azionariato popolare e per l'acquisto di quote
societarie da parte del personale dipendente, introducendo un
regime fiscale favorevole per tali trasferimenti o cessioni,
anche limitando le quote di possesso detenibili dalle persone
fisiche e dalle persone giuridiche, per consentire la
fruizione di tali agevolazioni;
il perfezionamento della riforma dei mercati
finanziari al fine di favorire la destinazione del risparmio
delle famiglie verso il capitale di rischio attraverso il
completamento della legislazione in materia di fondi pensione,
fondi chiusi, azioni di risparmio e, più in generale, di
investitori istituzionali.
2. A partire dalle operazioni già avviate, il processo di
privatizzazione e di riordino della presenza pubblica, che si
avvarrà degli strumenti di cui al punto 1, potrà continuare
dai settori assicurativo e bancario, assolvendo
preliminarmente alle esigenze di ricapitalizzazione delle
società per azioni partecipate dal Tesoro e derivanti dalla
traformazione degli enti e delle aziende pubbliche al fine di
ridurre l'indebitamento complessivo e i connessi oneri
finanziari dei gruppi. Dovrà essere dato l'indirizzo all'ENI
Pag. 17
SpA di collocare immediatamente in borsa le società
controllate per le quali erano già state avviate le verifiche
e gli atti relativi. Tutto il processo deve quindi proseguire
e definire le successive priorità, tenendo presenti le linee
di riordino dei settori produttivi, nonché le effettive
condizioni delle operazioni di dismissione, la risposta dei
mercati, i caratteri della congiuntura.
3. Il Governo procederà al superamento dell'attuale
assetto dei consigli di amministrazione con la presenza
dell'azionariato minore non marginale e con l'inserimento di
responsabili operativi dei gruppi e delle finanziarie e di
manager s di riconosciuta professionalità anche esterni
al sistema.
4. In conformità con gli indirizzi del Governo, spetterà
al management, nella sua autonomia imprenditoriale, ogni
decisione circa le politiche di risanamento e di rilancio
delle aziende.
5. Dovrà essere favorita la costituzione di public
companies, in particolare per le imprese erogatrici di
servizi di pubblica utilità, per le quali è opportuno
prevedere organismi di tutela degli interessi degli utenti e
dei consumatori. In tale direzione saranno adeguate le norme
del diritto societario, anche al fine di tutelare gli
azionisti di minoranza e di garantire i diritti degli
azionisti e dei risparmiatori. Potranno essere introdotti
premi di fedeltà e, a garanzia dell'interesse pubblico, azioni
con diritti speciali che prevedano la possibilità di
esercitare forme di controllo sulle decisioni strategiche e di
veto su cessioni, fusioni e mutamenti nell'oggetto sociale.
6. Dovranno essere creati, a tal fine eventualmente
adeguando la legislazione, "nuclei stabili", per una durata
minima predeterminata, con l'obiettivo di assicurare la
stabilità dell'assetto societario e la tutela dell'interesse
nazionale in settori ritenuti strategici.
7. Dovranno essere esclusi scambi di pacchetti azionari
che configurino operazioni di salvataggio di imprese private e
che di fatto producano l'effetto di estendere la proprietà
pubblica.
8. Dovrà essere utilizzata, ovunque ciò non sia in
contrasto con gli obiettivi societari perseguiti, la procedura
dell'offerta pubblica di vendita, in ogni caso garantendo,
nella maggior misura possibile, che lo scambio dei titoli
avvenga nei mercati regolamentati e attraverso gli
intermediari autorizzati; occorre invece superare l'ipotesi
del consorzio di rilievo avanzata nel programma del
Governo.
9. Dovrà essere mantenuto il principio di separatezza in
ordine sia alla nozione di controllo di una banca, sia ai
limiti e divieti relativi alle concentrazioni di potere in una
banca, conseguenti ad accordi tra partecipanti, così come
esplicitati dalla legge n. 287 del 1990, recante norme per la
tutela della concorrenza e del mercato. Dovrà essere favorita
la partecipazione del sistema bancario ai processi di
ricapitalizzazione dell'intero sistema industriale e al
processo di privatizzazione, nei limiti e nelle modalità
previsti dal decreto legislativo attuativo della seconda
direttiva CEE, e comunque in misura tale da consentire, ove
necessario, la possibilità di svincolo mediante il
ricollocamento delle partecipazioni.
10. Si dovrà predisporre, entro il 31 marzo 1993, una
normativa che regoli in via generale il rapporto tra gruppi
finanziari e industriali e mezzi di informazione prevedendo
limiti alla proprietà dei mezzi di informazione da parte di
imprese industriali e finanziarie favorendo inoltre la
collocazione in borsa delle relative imprese, senza assumere,
in assenza di tale normativa, alcuna decisione di dismissione
in ordine alla proprietà pubblica dei mezzi di
informazione.
11. La cessione di quote di proprietà pubblica ad
acquirenti esteri, sarà finalizzata alla realizzazione di un
sistema di alleanze internazionali funzionali al rafforzamento
del sistema industriale del paese e al suo inserimento nel
mercato internazionale.
12. Dovrà essere favorita l'integrazione nei settori
produttivi, riunificando le aziende pubbliche operanti nello
stesso segmento, ivi comprese le aziende del gruppo EFIM,
Pag. 18
indipendentemente dalla loro attuale collocazione nelle
diverse holdings, non escludendo integrazioni con
aziende private.
13. Dovranno riconsiderare le scelte in ordine al
trasporto marittimo, integrando i servizi di cabotaggio con il
sistema dei trasporti, alla cantieristica ed alla industria
navalmeccanica, per il ruolo importante che possono svolgere
tali settori per lo sviluppo del paese e per i traffici
marittimi dell'intera Europa, in presenza di positive
prospettive di mercato a medio lungo termine, e di possibili
alleanze e partecipazioni internazionali.
14. Nella definizione dell'assetto societario ed
istituzionale dell'INA spa, e delle società che gestiscono
servizi di pubblica utilità, dovrà essere garantita la
distinzione dall'ordinaria attività commerciale dello
svolgimento delle funzioni di interesse pubblico ad esse
attribuito.
15. Nel settore elettrico il Governo definirà con rapidità
il nuovo regime delle concessioni, anche nell'ambito delle
normative e degli indirizzi comunitari.
16. Le imprese che gestiscono servizi pubblici dovranno
essere poste nelle condizioni di operare in un quadro di
certezza delle tariffe nel medio periodo, che garantisca la
remunerazione del capitale e la crescita degli investimenti e
dell'occupazione, tutelando, al contempo, gli interessi degli
utenti. Le tariffe dovranno essere adeguate sulla base
dell'andamento del costo della vita al netto di quota parte
dell'incremento della produttività.
17. I proventi delle dismissioni dovranno essere destinati
al risanamento finanziario delle aziende da riorganizzare,
alle politiche attive del lavoro e della reindustrializzazione
e alla riduzione del debito pubblico per la quale dovranno
essere garantiti apporti nella misura indicata dal programma
del Governo di 7 mila, 10 mila e 10 mila miliardi di lire
rispettivamente negli anni 1993, 1994 e 1995.
18. Si dovrà procedere ad una valutazione dei costi
sociali derivanti dalle dismissioni con una articolazione per
aree regionali e provvedere nelle aree più svantaggiate del
paese, con il concorso delle regioni interessate, alla
definizione di politiche attive del lavoro e di programmi di
sviluppo produttivo e di reindustrializzazione anche con
l'adeguamento della normativa vigente in materia di
occupazione. Al comitato di ministri di cui al punto 21,
integrato dal ministro del lavoro e della previdenza sociale,
è attribuita la responsabilità di definire tali iniziative e
programmi avvalendosi di efficaci procedure e strumenti a
partire dalle esperienze e dagli strumenti esistenti
opportunamente coordinati ed eventualmente riorganizzati,
mobilitando anche le aziende e le strutture pubbliche. I
programmi dovranno essere realizzati anche attraverso
l'impiego di una parte dei proventi derivanti dal processo di
privatizzazione nonché l'utilizzo coordinato di tutte le
risorse compresi i fondi comunitari.
19. Una finanziaria di partecipazioni pubbliche può essere
costituita al termine del processo quale strumento per la
gestione unitaria delle quote azionarie mantenute dallo
Stato.
Per quanto attiene agli aspetti istituzionali:
20. Dovrà essere prevista una revisione dell'attuale
configurazione ministeriale, nell'ambito della quale
costituire un Ministero che svolga un ruolo incisivo di
programmazione e coordinamento di tutte le attività produttive
del paese, ovunque siano attualmente collocate le rispettive
competenze amministrative.
21. L'attuazione del programma di privatizzazione sarà
affidata al comitato dei ministri composto dai soggetti
previsti dall'articolo 16, comma 1, del decreto-legge 11
luglio 1992, n. 333, convertito in legge, con modificazioni,
dalla legge 8 agosto 1992, n. 359.
22. Il Governo dovrà sottoporre alla delibera delle Camere
annualmente, e comunque per il 1993 entro il 31 marzo, un
documento sul riordino delle partecipazioni pubbliche e sullo
stato delle privatizzazioni, da esaminarsi con procedure
analoghe a quelle previste per l'esame del documento di
Pag. 19
programmazione economico-finanziaria. Nel documento il Governo
dovrà proporre eventuali aggiornamenti, revisioni o
integrazioni del piano, riferire sugli atti compiuti e
prospettare le iniziative avviate o da avviare, esplicitando
le procedure seguite o da seguire, con particolare riferimento
alle modalità del collocamento sul mercato delle quote da
dismettere e le previsioni e i risultati finanziari, sia in
termini di risanamento e ricapitalizzazione delle società per
azioni, sia di benefici per la finanza pubblica, nonché gli
obiettivi di politica industriale perseguiti ed effettivamente
raggiunti, in particolar modo in ordine al rafforzamento del
sistema produttivo italiano".
I Relatori.
Avverte altresì che sono state presentate le seguenti
proposte alternative di parere:
"Le Commissioni riunite V, VI e X
esaminato il programma di riordino di IRI, ENI, ENEL,
IMI, BNL ed INA presentato dal governo,
avendo piena consapevolezza della necessità di procedere
ad una riorganizzazione complessiva della struttura
industriale e finanziaria italiana idonea a fronteggiare la
accentuata concorrenza internazionale e quindi a promuovere lo
sviluppo economico e la tutela e la crescita dell'occupazione,
nonché di dotare il Paese di un mercato finanziario, di un
mercato dei prodotti e dei servizi più trasparente, più
accessibile, più efficiente, a tutela del cittadino, del
consumatore, dell'utente e del risparmiatore;
ritengono necessario:
procedere al riordino generale e alla valorizzazione
delle imprese a partecipazione pubblica, o di proprietà dello
Stato e degli enti locali, superando l'attuale assetto basato
sulle società di partecipazione conglomerate e
riorganizzandole anche mediante la diffusione presso il
pubblico di quote rilevanti o maggioritarie della
proprietà;
ritengono inoltre:
a) che tale riordino è destinato a ridisegnare
non solo la struttura dell'industria nazionale, ma gli stessi
equilibri sociali e di potere del nostro paese; e che esso
deve quindi essere l'occasione per coinvolgere la grande
risorsa delle professionalità e del lavoro e delle capacità
imprenditoriali ampiamente diffuse nel territorio presso le
imprese di minori dimensioni, anche nella gestione delle
imprese maggiori, per trasformare la proprietà statale in
proprietà diffusa presso i cittadini, realizzando un contesto
accettabile di effettiva "democrazia economica" nel nostro
paese che veda un generale decentramento di potere dai centri
di comando economico, politico e burocratico tradizionali
verso un ampio numero di produttori, lavoratori,
risparmiatori, cittadini, utenti e imprenditori la cui
capacità di influenzare le scelte del paese è oggi molto
inferiore alla loro rilevanza effettiva; e che non si tratta
quindi di ridurre il ruolo e la funzione degli interessi
collettivi e pubblici nell'economia, bensì di mutare il
tradizionale ruolo dello Stato da proprietario e gestore a
regolatore e garante di un sistema economico di mercato, e di
promuovere la formazione di una nuova classe dirigente in
economia;
b) che sia necessario che il processo di
riorganizzazione delle partecipazioni pubbliche abbia inizio
al più presto, ma che venga portato a termine nel modo e nei
tempi necessari a garantirne il successo, ma anche a impedire
episodi di cessione, o peggio di svendita di singole aziende
che non siano coerenti con un preciso disegno di
ristrutturazione industriale o peggio ancora di offerta di
vendita al pubblico di elenchi di imprese senza ragionevoli
possibilità di trovare l'acquirente, e con seri rischi di
turbativa dei mercati;
c) che quindi, contestualmente ad un coerente
piano industriale, siano messi in opera gli strumenti
Pag. 20
finanziari e organizzativi capaci di portare alla formazione
di un maggior numero di gruppi di imprese a proprietà diffusa
e con nuclei di controllo stabili, operanti secondo logiche di
mercato e che si aggiungano ai gruppi privati esistenti anche
prevedendo alleanze e scambi di partecipazioni con alcuni di
essi, in modo da accentuare l'efficienza e il grado di
concorrenzialità del sistema e da potenziare e moltiplicare le
aggregazioni e le alleanze, anche internazionali, rispetto a
quelle attuali;
d) che tale processo di riordino richiede che la
sistemazione delle imprese ex-Efim avvenga nel contesto del
processo di formazione dei nuovi gruppi e comporta vaste
operazioni di ricapitalizzazione, riconversione, risanamento,
ristrutturazione delle società e che pertanto sarebbe
opportuno che esso fosse liberato dall'onere aggiuntivo di
dover contribuire, per un valore di 27 mila miliardi in tre
anni, a ripianare il disavanzo del bilancio dello Stato,
compito che invece va affidato agli introiti derivanti dalle
vendite e da una diversa gestione del patrimonio immobiliare
pubblico (edifici urbani, negozi, terreni, ecc:) nel rispetto
delle competenze urbanistiche;
le Commissioni riunite V, VI e X,
considerato altresì che il documento presentato dal
Governo va giudicato negativamente per il fatto che manca in
esso l'esplicitazione di un piano industriale e la definizione
di regole e procedure certe e stabili, che non prospetta
soluzioni adeguate per la tutela dei livelli occupazionali,
che presenta evidenti rischi di sfasatura temporale tra tempi
delle dismissioni e necessità di ricapitalizzazione delle
imprese, che omette ogni valutazione relativamente agli
effetti indotti nelle aree meridionali,
ritengono che il Governo deve:
1) predisporre una legge di princìpi tesa a definire
metodi, procedure e garanzie per regolare in via generale un
processo che non potrà che svolgersi lungo un arco di alcuni
anni nonché le modifiche legislative necessarie alla creazione
dei nuclei di controllo, delle golden shares, eccetera;
2) presentare contestualmente un vero e proprio Piano
per l'occupazione che possa contare non solo, e non tanto, su
un potenziamento degli ammortizzatori sociali, quanto sulla
riduzione dei tassi di interesse e sulla costituzione di un
investitore nazionale con un fondo per lo sviluppo, formato in
parte con i proventi derivanti dalla privatizzazione delle
imprese pubbliche, che intervenga nelle aree di crisi, di
declino industriale e di maggior disagio occupazionale,
ridisegnate su scala nazionale in base a specifici indicatori,
e che, in modo coordinato con altri centri di spesa pubblica,
concentri gli investimenti in quelle aree a sostegno della
ripresa e su infrastrutture, servizi, opere di ammodernamento,
in grado di ottenere efficienze sistemiche a vantaggio
dell'attività di impresa, di produrre e indurre più occasioni
di lavoro, di mobilitare risorse private e locali, contando
anche sull'apporto dei fondi comunitari;
3) evitare che la evidente sfasatura temporale che
risulta dal documento tra esigenze di ricapitalizzazione
immediata di alcune imprese e l'autofinanziamento dell'intero
processo, si traduca nel crollo di alcuni settori e nella
deindustrializzazione di intere zone del paese, o in
dismissioni a basso costo per gli acquirenti, e ad intervenire
tempestivamente nel caso in cui tale rischio si manifestasse
in concreto;
4) evitare ogni rischio di internazionalizzazione
passiva della nostra economia utilizzando le cessioni
principalmente al fine di creare nuove possibilità di alleanze
internazionali, in forma paritaria, e in un contesto in cui
gli interessi della nostra industria siano difesi, tutelati e
valorizzati;
5) agevolare il percorso di approvazione di una
normativa che introduca al più presto nel nostro paese - come
pregiudiziale logica ed economica per il successo e la
praticabilità della intera operazione - i fondi pensione,
Pag. 21
intesi come strutture che raccolgano risparmio di massa
da investire sui mercati finanziari (in azioni,
obbligazioni, titoli pubblici), utilizzando sia i flussi che
attualmente vengono accantonati presso le imprese a titolo di
trattamento di fine rapporto (compensando gli oneri finanziari
per le imprese), sia nuovi accantonamenti derivanti dalla
possibile evoluzione della politica contrattuale tra le parti
sociali in seguito alla introduzione dei fondi stessi, sia
versamenti volontari da parte dei lavoratori non
dipendenti;
6) far sì che, attraverso l'introduzione dei fondi e
di altri investitori istituzionali, vengano rinvigoriti e
rivitalizzati i mercati finanziari italiani, quale principale
garanzia per evitare acquisizioni dall'estero non desiderate,
per assicurare il successo delle stesse auspicabili cessioni
di azioni ai dipendenti, e per dare credibilità all'ipotesi di
azionariato diffuso cui destinare maggiori garanzie e maggiori
poteri di controllo e partecipazione;
7) assicurare in ogni caso ai nuovi gruppi uno stabile
sostegno e assistenza finanziaria, anche in base alle
esperienze di altri paesi, promuovendo la formazione di una
pluralità di banche di investimento, il cui ruolo possa essere
anche quello della assunzione di partecipazioni industriali e
mantenere tuttavia criteri prudenziali nel consentire
partecipazioni delle industrie nel capitale di enti creditizi,
o di questi ultimi nel capitale di imprese industriali; pur
prevedendo nella prima fase del processo, e per un periodo
limitato, ove necessario, il sostegno di un ruolo
particolarmente attivo del sistema creditizio;
8) garantire, nella formazione dei nuclei di
controllo, il necessario equilibrio tra le partecipazioni
detenute dallo Stato, da istituti creditizi, da imprenditori
privati, e da altri investitori, al fine di evitare la
formazione di nuovi centri di potere che non seguano una
logica di gestione prevalentemente industriale;
9) garantire che la ricapitalizzazione delle imprese
mediante le dismissioni avvenga in maniera trasparente
separando il momento dell'afflusso dei fondi derivanti dalle
vendite da quello della successiva distribuzione dei fondi
stessi alle singole imprese; che a questo scopo i proventi
delle cessioni vengano contabilizzati in maniera rigorosamente
separata e visibile e che siano sottratti alla discrezionalità
di spesa degli amministratori e a far sì che l'utilizzo di
tali proventi per ricapitalizzare le imprese avvenga sulla
base di un piano finanziario specifico, con l'indicazione dei
rendimenti attesi dall'investimento;
10) fare in modo che, al fine di limitare
discrezionalità non funzionali al processo di
riorganizzazione, le tecniche e modalità di cessione si
ispirino in ogni caso a procedure tali da garantire che per
ogni dismissione si valutino più offerte, presentate in
maniera omogenea e facilmente controllabili tra loro, in modo
da effettuare la scelta su criteri oggettivi;
11) prevedere sconti di prezzo soltanto: 1) in base
alla natura particolare dell'acquirente, come nel caso della
cessione di azioni ai dipendenti e/o agli utenti; 2) una volta
effettuata la scelta del miglior offerente, a seguito della
procedura di cui al punto precedente, come contropartita, da
parte del compratore, di oneri particolari (mantenimento dei
livelli occupazionali, inserimento di golden share ecc:),
sempre che: a) la diminuzione di prezzo sia commisurata
all'effettiva utilità ricevuta; b) si siano valutate
tutte le alternative possibili per raggiungere lo stesso
scopo; c) la negoziazione avvenga in maniera chiara e
visibile.
12) non prevedere, oltre agli incentivi sul prezzo,
incentivi di natura fiscale diversi da quelli necessari a
garantire la ampia diffusione presso il pubblico delle azioni
delle società dismesse e ad incoraggiare il possesso a lungo
termine delle azioni dei nuovi gruppi anche da parte di soci
di minoranza, e tali invece da far assumere all'operazione il
significato di una redistribuzione del carico tributario a
favore dei percettori di redditi da capitale, in un periodo di
gravi difficoltà finanziarie, di pressione fiscale crescente e
Pag. 22
di riduzione o eliminazioni delle agevolazioni fiscali
esistenti.
13) far precedere la definizione delle concessioni e
l'eventuale collocamento presso il pubblico di partecipazioni
in imprese operanti nei settori delle "pubbliche utilità", e
l'eventuale decisione di ridurre la partecipazione pubblica
sotto il 51 per cento da un documento governativo e da un
dibattito parlamentare, volti anche a ridefinire in maniera
organica l'intero settore della normativa sull'energia;
promuovere, per quanto possibile, ed in sintonia con le
indicazioni comunitarie, forme di concorrenza, anche
comparativa, e la costituzione di autonome e
professionalizzate autorità di regolazione, per il controllo
degli standards di qualità dei servizi e la
corrispondente fissazione delle tariffe, onde evitare di
scaricare sui cittadini e sugli utenti le inefficienze delle
imprese o i loro disservizi o altri oneri impropri; presentare
al Parlamento entro sei mesi una "Carta del cittadino -
consumatore - utente" relativamente ai servizi di pubblica
utilità;
14) perseguire l'obiettivo di una chiara separazione
tra capitale industriale o finanziario e proprietà dei mezzi
di informazione, ed in quest'ottica procedere alla vendita del
"Il Giorno", "Il Mattino", la "Gazzetta del Mezzogiorno",
eccetera;
15) ottenere garanzie durature che il processo di
privatizzazione non si accompagni ad un processo di riduzione
della già ridotta attività di ricerca, anzi produca una
crescita non solo di questo impegno, ma più in generale
dell'impegno alla qualificazione tecnica e professionale della
risorsa principale di ogni intrapresa, appunto il capitale
umano;
le Commissioni V, VI e X ritengono altresì che il
Governo deve:
A) assumere direttamente la gestione e la
responsabilità dell'operazione; il compito del Governo dovrà
essere quello di indicare indirizzi generali, scelte
strategiche e priorità operative, avvalendosi, nella sua
opera, della amministrazione, della collaborazione dei
managers delle imprese, nonché della consulenza di
organi quali la Consob, la Banca d'Italia e la Commissione per
la tutela della concorrenza, senza ricorrere ad alcun comitato
di ministri. L'attuazione concreta delle singole operazioni
dovrà avvenire con la partecipazione diretta del management
delle imprese che deve essere coinvolto nel buon esito del
processo.
B) sulla base degli indirizzi definiti dal documento,
a presentare alla valutazione del Parlamento, entro e non
oltre 60 giorni, un piano in cui siano specificate le ricadute
attese a breve e a lungo periodo in termini di:
1) assetto del sistema industriale e prospettive di
sviluppo delle imprese interessate al processo di riordino;
2) effetti e prospettive dei livelli occupazionali. Il
Governo non deve prendere nel frattempo decisioni di
dismissione che contraddicano tale esigenza;
C) presentare annualmente, congiuntamente al documento
di programmazione economico-finanziaria, ai fini della
deliberazione parlamentare, una relazione di consuntivo e di
aggiornamento del piano di riordino.
Le Commissioni ritengono infine che le Camere devono:
costituire entro 30 giorni un apposito comitato
parlamentare di controllo, con numero limitato di componenti,
con obbligo di riservatezza e con incisivi poteri di indagine,
che abbia il compito di esaminare a fondo le diverse
operazioni effettuate, successivamente alla loro
realizzazione".
Reichlin, D'Alema, Pellicani, Mussi, Strada, Solaroli,
Turci, Serra Gianna, Castagnola, Grassi, Angelini Giordano,
Felissari, Masini, Campatelli, Soriero, Vozza, Mantovani
Silvio, Lettieri, Sitra, Sartori Lanciotti, Di Pietro,
Monello, Serafini Anna Maria, Costantini, Prevosto, Vannoni,
Grasso Tano.
Pag. 23
"Le Commissioni riunite V, VI e X,
esaminato il programma di riordino delle partecipazioni
statali di cui all'articolo 15 della legge n. 359 del 1992,
esprimono
PARERE CONTRARIO
per le seguenti considerazioni:
A - Considerazioni preliminari.
Il programma di riordino predisposto dal Governo e
sottoposto all'esame del Parlamento appare caratterizzato
da:
vaghe affermazioni di principio, a volte in contrasto
tra di loro;
assoluta assenza di trasparenza, di impegni vincolanti e
della loro tempificazione, nonché stime quantificate e
controllabili dei ricavi e dei costi connessi al programma di
riordino;
il piano tralascia di integrare l'incompleto elenco
dell'articolo 15 della legge n. 359 del 1992 e di conseguenza
tralascia di prendere in considerazione settori ed imprese
molto importanti quali il Poligrafico dello Stato o enti come
l'Ente cinema o l'Ente cellulosa e carta, che rappresentano
significativi esempi di come strutture statali sostanzialmente
inutili possono influire negativamente sull'economia privata e
sul funzionamento del libero mercato;
in generale il piano appare troppo mirato al riordino e
poco alla privatizzazione vera e propria delle partecipazioni.
L'incertezza di alcuni passaggi del programma evidenzia
indecisione da parte dell'esecutivo sulla strada da
intraprendere nel ridisegnare l'assetto industriale del
paese;
appare decisamente insufficiente la risposta che il
programma fornisce in relazione ai gravi problemi sociali che
un vasto processo di razionalizzazione e di privatizzazione
comporterebbe. Si segnala in particolare la necessità di
superare strumenti non più validi come la legge Prodi e la
cassa integrazione troppo prolungata privilegiando invece
strumenti fiscali;
non convince il meccanismo che prevede la vendita
prioritaria delle sole aziende in utile o comunque ªP'saneªP'.
Vi è infatti il concreto rischio di alienare solamente alcune
società (i pochi ªP'gioielliªP') per poi dissipare i proventi
realizzati nei soliti maldestri tentativi di salvataggio.
B - Considerazioni sulla presenza dello Stato nel capitale
delle imprese.
Le imprese pubbliche hanno via via occupato spazi sempre
più significativi nell'economia, togliendo possibilità
operative e di investimento agli imprenditori privati ed
impedendo lo sviluppo, nel nostro paese, del libero mercato,
della necessaria concorrenza, e di gruppi imprenditoriali
privati efficienti ed in grado di svilupparsi sul territorio
nazionale ed all'estero.
C - Priorità individuate dalle Commissioni
riunite.
Le Commissioni riunite ritengono che il programma di
riordino previsto dalla legge n. 359 del 1992 debba essere
riscritto tenendo conto delle seguenti priorità:
1) l'adesione del nostro paese alla CEE impone di
favorire la concorrenza e lo sviluppo del libero mercato, di
impedire l'esistenza di monopoli e di non concedere aiuti di
Stato alle imprese senza aver prima ottenuto l'autorizzazione
della Commissione CEE;
2) è necessario cogliere questa opportunità per
promuovere la formazione nel nostro mercato di un mercato
finanziario dotato di più moderni strumenti operativi e
svincolato da controlli politici, da vincoli e lentezze
burocratiche;
Pag. 24
3) è opportuno incentivare la partecipazione dei
lavoratori dipendenti al capitale di rischio delle imprese,
anche per una migliore attuazione del controllo dei
rappresentanti dei lavoratori previsto dal progetto di V
direttiva comunitaria;
4) le imprese inefficienti, non ristrutturabili ed
invendibili non possono più essere aiutate. Si impone in
questi casi la loro liquidazione e si pone il problema degli
aiuti e della solidarietà che devono essere garantiti ai loro
dipendenti.
D. - Raccomandazioni.
Più in dettaglio, le Commissioni riunite raccomandano al
Governo di inserire nel testo finale del programma di riordino
delle partecipazioni statali i seguenti punti:
1. Predisporre ed includere nel programma di riordino
l'elenco analitico delle imprese che saranno completamente
alienate, di quelle nelle quali lo Stato manterrà una
partecipazione non di controllo, una partecipazione di
controllo ed una partecipazione di controllo strategico,
tramite azioni speciali i cui poteri saranno regolamentati da
nuove clausole degli statuti e da opportune iniziative
legislative.
2. Quantificare i costi ed i ricavi connessi con il
programma di riordino, integrando le informazioni di cui al
punto precedente in allegati che evidenzino, a cascata (per
gruppo e per ogni impresa controllata dal gruppo), le seguenti
informazioni:
- il nome dell'impresa controllata;
- l'ammontare del suo patrimonio netto contabile
risultante dall'ultimo bilancio disponibile;
- la stima tecnica provvisoria, predisposta secondo i
principi enunciati nel successivo punto 3, del valore
economico totale del gruppo, e a cascata, di ogni singola
impresa controllata;
- la percentuale di proprietà posseduta direttamente,
indirettamente o tramite società fiduciaria o interposta
persona dallo Stato;
- la percentuale di proprietà che lo Stato intende
cedere a terzi;
- la stima tecnica provvisoria dell'ammontare che al
momento in cui viene effettuata la stima, il Tesoro ritiene di
poter incassare (ovvero ritiene di dover ulteriormente
spendere, ovvero investire) dalla cessione della sua quota
azionaria, ovvero a motivo della decisione di non cederla;
- la data entro la quale la prevista cessione di azioni
dovrebbe avvenire.
3. Il programma di riordino dovrà identificare le regole
di valutazione, che a nostro giudizio dovrebbero fare
riferimento solamente ad alcune (quelle più oggettive e
controllabili) delle regole comunemente usate dalla prassi
professionale internazionale, vale a dire:
- il sistema reddituale;
- il sistema misto reddituale-patrimoniale;
- il sistema patrimoniale.
4. Il testo finale del programma di riordino dovrà
chiarire quali saranno, nell'ipotesi di cessione, le regole
finanziarie che il Tesoro intende imporre alle controparti
nell'ipotesi di cessione o di altre operazioni finanziarie,
nonché le garanzie che sarà disposto a concedere.
5. Il programma dovrà prevedere come eliminare gli attuali
vincoli giuridici all'alienazione di imprese pubbliche e dovrà
determinare i tempi entro i quali ciò avverrà.
6. In un apposito capitolo dovranno essere commentate
tutte le situazioni nelle quali lo Stato, attraverso il
Tesoro, manterrà partecipazioni azionarie.
Pag. 25
Il capitolo includerà commenti relativi alle seguenti
situazioni:
- imprese nelle quali lo Stato, attraverso il Tesoro,
manterrà una partecipazione non di controllo;
- imprese nelle quali lo Stato, attraverso il Tesoro,
manterrà una partecipazione di controllo,
- imprese nelle quali lo Stato, attraverso il Tesoro,
manterrà una partecipazione di controllo strategico, tramite
azioni speciali i cui poteri saranno regolamentati da nuove
clausole degli statuti.
Dovranno essere svolte considerazioni paticolari per le
imprese del settore difesa, aerospaziale e ferroviario
dell'Efim ed ogni considerazione che coinvolge spese da parte
del Tesoro o l'assunzione di finanziamenti sul mercato
finanziario dovranno essere attentamente descritte e
quantificate.
Per tali imprese dovranno essere inclusi nel programma di
riordino i flussi di cassa previsti per il triennio 1993/1995
e tale analisi sarà aggiornata ogni anno, contestualmente alla
presentazione del documento di programmazione
economico-finanziaria.
Dovrà essere statuito che le partecipazioni dello Stato
avverranno esclusivamente tramite azioni o quote intestate al
Tesoro e che, ad eccezione di quelle elencate in questo
capitolo, lo Stato non è autorizzato a detenere, né attraverso
il tesoro né per il tramite di altri ministeri, società
fiduciarie od interposte persone, nessuna altra partecipazione
diretta o indiretta.
Ogni successiva modifica dovrà essere approvata dal
Parlamento.
8. Nel programma e nelle tabelle di cui al precedente
punto 2 dovranno essere chiaramente identificate le modalità
(ed i costi) di eventuali progett di riorganizzazione,
ristrutturazione e ricapitalizzazione delle società non alle
quali si riferisce il programma.
9. Il programma dovrà prevedere che entro il mese di marzo
1993 dovranno essere alienate a terzi, ovvero dovranno essere
poste in liquidazione, le società proprietarie di mezzi di
informazione.
Per la RAI tale termine è posticipato al 30 giugno 1993,
in quanto dovrà prima essere effettuato l'apporto di un ramo
d'azienda ad una società interamente posseduta dallo Stato, ma
gestita da professionisti indipendenti ed in assenza di
qualsiasi interferenza politica, di tutto ciò che è necessario
per garantire un telegiornale esauriente ed indipendente.
Tutto il resto sarà alienato o posto in liquidazione entro
il 30 giugno 1993.
10. Si suggerisce al Governo di integrare l'elenco di cui
all'articolo 15 della legge n. 359, includendo anche le
Ferrovie, tutte le aziende di Stato e tutti gli enti pubblici
economici.
Il programma dovrà includere clausole che garantiscano
l'autonomia del management da ogni interferenza politica
sia durante le operazioni di alienazione, sia, in futuro,
nella gestione delle aziende che rimarranno sotto il controllo
azionario del Tesoro.
11. Il programma dovrà prevedere i tempi e le
caratteristiche dell'intervento del Governo finalizzato ad una
sostanziale riforma del mercato finanziario.
Tra le altre cose, il Governo dovrà, entro il 31 dicembre
1993, regolamentare i fondi pensione ed i fondi chiusi,
statuire modalità di funzionamento di nuove borse valori, con
particolare attenzione ad evitare aggravi burocratici.
Il Governo dovrà anche snellire la legge sulle SIM,
alleggerendo i loro rilevanti ed inutili impegni burocratici e
abrogare il contenuto dell'articolo 19, comma due della legge
n. 1 del 1991, in modo da continuare a prevedere la
possibilità di bandire concorsi per la nomina di agenti di
cambio, in modo da evitare la formazione di un pericolosissimo
monopolio nel mercato finanziario.
12. Il programma di
riordino dovrà prevedere l'impegno da parte del Governo di
analizzare i risultati di gestione delle imprese pubbliche
negli esercizi dal 1988 al 1992, con particolare riferimento
ai costi sostenuti per investimenti di immobilizzazioni
tecniche, ed ai costi sostenuti per consulenze, allo scopo di
Pag. 26
individuare l'esistenza di sovrapprezzi riconducibili a
tangenti o a finanziamenti illegali a partiti politici.
Al termine dell'analisi, e comunque entro il 30 giugno
1993, il Tesoro renderà pubblici i lavori svolti ed i
risultati ottenuti, ed in presenza di fatti censurabili il
Governo inizierà le necessarie azioni di responsabilità verso
i membri dei consigli di amministrazione, i dirigenti ed i
dipendenti coinvolti in tali operazioni. 13. Si ravvisa
l'opportunità di scorporare le diverse funzioni attualmente
svolte dall'Enel nel campo dell'energia elettrica. Si
raccomanda al Governo di prevedere una liberalizzazione della
fase di produzione dell'energia elettrica, mantenendo invece
una situazione di monopolio per ciò che concerne il trasporto,
da considerarsi esempio di monopolio naturale. Nella fase
della distribuzione, si segnala l'opportunità di creare
situazioni di concorrenzialità, evitando di configurare
situazioni di monopoli all'Enel per ciò che concerne le
concessioni sull'esercizio dell'energia elettrica. Infatti
tale soluzione apparirebbe gravemente lesiva degli interessi e
delle prospettive delle società elettriche municipalizzate, in
un momento in cui esse si apprestano alla trasformazione in
società per azioni così come previsto dalla legge 142/90.
14. In relazione al soggetto che dovrebbe gestire il
processo di privatizzazione, si sottolineano gli aspetti
positivi conseguenti alla creazione di una apposita agenzia
sul modello di quella tedesca. Tale agenzia sarebbe
caratterizzata da ampia autonomia e da un ristretto numero di
componenti di alto livello tecnico, comprendendo ad esempio un
membro dell'autorità antitrust. Altamente positiva
sarebbe altresì la predisposizione di un organismo interno di
controllo.
E - Conclusioni.
Il parere negativo quì esposto appare giustificato
soprattutto dalla considerazione della mancata svolta
ideologica diretta a sancire la definitiva e totale uscita
dello Stato dall'economia, limitandosi, come previsto dagli
orientamenti comunitari, a rivestire il ruolo di creatore
delle regole del gioco nonché garante delle stesse".
Peraboni, Ostinelli, Pioli ed altri.
" Le Commissioni riunite V, VI e X
rilevano che il programma di riordino delle
partecipazioni statali disposto dall'articolo 16 della legge
n. 359 del 1992 costituisce una necessità inderogabile per
l'intero sistema industriale italiano per tendere al
contenimento e alla eliminazione dei processi degenerativi
degli enti di partecipazione statale, conseguenti alle
devianze prodotte dalla occupazione partitocratica dell'intero
sistema.
Le possibilità dell'economia mista si sono
progressivamente deteriorate per l'asservimento delle
partecipazioni statali alle esigenze del potere partitocratico
che ha trascurato e, in alcuni casi, completamente dimenticato
la necessaria funzione del sistema di "guida allo
sviluppo".
D'altra parte la degenerazione dell'intero sistema si è
collocata in un modello di sviluppo caratterizzato da
incoerenza e irrazionalità, che hanno aggravato le storiche
distorsioni e le carenze dell'intero sistema Italia
Alla fine del secondo conflitto mondiale gran parte
dell'apparato industriale del Nord Italia, rimasto intatto,
non fu sottoposto alle necessarie azioni di riconversione ed
agli ammodernamenti; si determinarono ritardi gravi e
diminuzioni della competitività.
La mancanza di una chiara politica dei trasporti,
funzionale alle necessità del sistema produttivo, industriale
ed agricolo, ha determinato e determina condizioni di ridotta
competitività, penalizzando sopratutto l'agricoltura e il
Mezzogiorno. L'imponente e cronico deficit
agro-alimentare costituisce un vincolo negativo del sistema
che brucia risorse per importare beni di consumo in luogo di
materie prime da trasformare per l'esportazione con alto
Pag. 27
valore aggiunto. Le insufficienze dei servizi e i costi
aggiuntivi che ne derivano hanno poi il loro peso in termini
di diseconomie e di ulteriore contenimento della
competitività. In questo quadro le partecipazioni statali,
peraltro inquinate da gestioni politicizzate, hanno
accentuato, salvo in qualche caso, un ruolo assistenziale o,
quanto meno, incoerente rispetto all'intero sistema, come
dimostrano i casi della siderurgia e della chimica.
La realtà italiana è quella della mancanza nel nostro
mercato finanziario di adeguati capitali di rischio; delle
carenze a livello di management; della insufficiente
dimensione competitiva di molte imprese; del pesante
indebitamento e della sottocapitalizzazione di molte aziende e
gruppi pubblici. Tali problemi, rivelati dallo stesso piano di
riordino, sono aggravati dall'assorbimento di quantità enormi
di risparmio da parte dello Stato, attraverso l'emissione di
titoli pubblici ad elevato rendimento con la dilatazione del
debito pubblico, vincolo che condiziona fortemente il
reperimento delle risorse finanziarie indispensabili per un
reale processo di privatizzazione.
Il ridimensionamento della presenza pubblica si rende
comunque necessario .oltre che per porre fine ad un processo
di occupazione partitocratica di molte strutture produttive,
per le connessè ed imprescindibili ragioni economiche. Il
sistema pubblico, in particolare l'Iri, nacque per
fronteggiare gli effetti negativi della crisi che investì le
economie occidentali alla fine degli anni venti. L'Iri fu
chiamato a svolgere la funzione di "ospedale" delle aziende in
difficoltà, destinate, dopo l'azione di risanamento mediante
l'intervento e la gestione dello Stato, a tornare sul mercato.
Nel dopoguerra tale funzione e venuta meno e l'"ospedale" si è
trasformato in un "ospizio", nel quale le aziende sono rimaste
imprigionate e nel quale, spesso, i privati hanno scaricato le
conseguenze dei propri fallimenti di gestione.
L'intreccio tra aziende pubbliche e gruppi di potere
politico è divenuto sempre più evidente e negativo, come
dimostrano anche le vicende dell'Eni, dello Efim e di alcuni
grandi gruppi bancari come la Bnl, i cui equilibri economici
sono stati devastati da una assurda politica creditizia a
favore dell'Iraq nell'ambito di perverse strategie finanziarie
orientate da gruppi di potere interni e internazionali.
L'attuale pesante situazione finanziaria deriva non solo
dall'assenza di una chiara strategia di politica industriale,
ma anche dalle conseguenze di una gestione in troppi casi
corrotta attribuibile a gruppi dirigenti selezionati in base
alle affinità politiche con i partiti di potere, piuttosto che
alle effettive capacità e competenze. Con il passar del tempo
è così venuta meno la funzione equilibratrice e tesa allo
sviluppo di settori o di aree geografiche che avrebbe dovuto
svolgere l'industria pubblica. Questa degenerazione, dunque,
impone un intervento mirato alla riduzione non già della
presenza dello Stato nell'economia, ma della partitocrazia che
tutto ha lottizzato, tutto ha gestito, tutto ha invaso,
secondo logiche di potere e non di sano governo
dell'economia.
Ciò premesso, le Commissioni V, VI e X della Camera,
ritengono che il Governo deve:
esaminare con estrema cautela il problema del rapporto
tra banca e industria. Nel "piano di riordino" si riafferma il
principio della "separazione organizzativa e gestionale tra
banca e industria", ma si indica la possibilità di
"partecipazione finanziaria", con un collegamento tra istituti
di credito e imprese. Si potrebbe, per questa via, riproporre
il caso di pericolosi intrecci che già in altre epoche furono
causa di gravi dissesti, tali da causare proprio la creazione
di strutture di intervento pubblico, come l'Iri. E, mancando
al momento adeguati capitali di rischio o altri mezzi
finanziari, si potrebbe dare il caso che le banche siano
pressoché "obbligate" a sottoscrivere quote di capitale di
aziende pubbliche, dando luogo ad una falsa forma di
privatizzazione, trattandosi in realtà di un trasferimento di
risorse al momento sotto il controllo pubblico. Il principio
Pag. 28
della separazione va dunque rispettato, senza deroghe o
confuse interpretazioni, a garanzia del risparmiatore.
Inoltre, le Commissioni ravvisano la necessità di
interventi immediati tesi a promuovere:
1) la costituzione dei fondi pensione promossi dalle
aziende con il controllo e la gestione dei lavoratori e senza
fine di lucro;
2) l'impiego dei fondi accantonati per il trattamento di
fine rapporto (Tfr) per creare strumenti di partecipazione
come adombra lo stesso documento e, nel contempo, per rendere
disponibili risorse finanziarie indispensabili alla diffusione
di capitale diffuso, si da rendere concrete le pubblic
companies realtà estese.
Accanto a questi strumenti sarà necessaria la creazione di
un vasto azionariato popolare, obiettivo da perseguire anche
con il coinvolgimento dei dipendenti delle imprese pubbliche e
degli utenti di servizi erogati da aziende pubbliche (Sip,
Enel, eccetera).
Vanno altresì valutati in maniera approfondita i problemi
connessi ai cosidetti "monopoli tecnici" che riguardano
settori quali l'energia, le telecomunicazioni, i trasporti,
affinché lo Stato possa assicurare servizi che non diventino
inaccessibili a causa di un indiscriminato aumento delle
tariffe e presentino livelli qualitativi adeguati.
Le Commissioni giudicano inoltre essenziale la creazione
di "nuclei stabili di controllo" che possano salvaguardare gli
interessi della collettività, sia in relazione ai predetti
"monopoli tecnici", sia in relazione alle attività collegate
al settore energetico. Nel settore bancario, in parallelo con
la esistenza di norme Cee, si ravvisa l'opportunità di
mantenere nell'ambito del controllo nazionale talune strutture
di prioritaria importanza, per evitare effetti negativi
derivanti dal controllo estero di aziende che svolgono una
funzione determinante nell'erogazione del credito. Ciò si
collega all'accorta gestione del processo di privatizzazione,
alla creazione di un'ampio mercato azionario, alla promozione
di adeguati interventi privati sul mercato interno. In tal
senso vanno studiati al più presto provvedimenti relativi al
cosiddetto "premio di fedeltà" per azionisti che si impegnino
a non cedere per un determinato periodo le proprie quote di
capitale, regimi fiscali che favoriscano la creazione di un
attivo capitale di rischio e, infine, partecipazioni
qualificate (golden share).
Su questo versante è necessario agire immediatamente, per
evitare il naufragio del processo di privatizzazione o il
prevalere di interventi esteri selvaggi che potrebbero
determinare una "colonizzazione" del nostro sistema produttivo
e creditizio.
In parallelo vanno affrontati i problemi delle aree di
crisi (del Mezzogiorno, ma non solo, si pensi a La Spezia
all'area fiorentina e Toscana) attraverso incentivi credibili
e automatici, allentati per l'iniziativa privata, come la
creazione di "aree o zone franche" nei luoghi ad alto tasso di
disoccupazione. Nel contempo le risorse per la cooperazione
possono essere condizionate ad acquisti che i paesi
destinatari dei fondi dovrebbero effettuare nel Mezzogiorno o
in altre aree di crisi, il che permetterebbe la creazione di
mercati per le attività economiche di dette zone.
Si ravvisa inoltre la necessità di una revisione del
"piano di riordino" per la parte riguardante l'editoria,
poiché nel testo del governo si sostiene in sostanza che lo
Stato potrebbe rivedere le proprie partecipazioni solo se si
affermasse un generale principio di separatezza tra capitale
industriale o finanziario e proprietà dei mezzi di
informazione. La legge Mammì impone vincoli ben precisi per
chi controlli televisione e giornali nel settore privato: tali
norme sono state all'origine della cessione di taluni
giornali. Lo Stato, non può rinviare a tempi indefiniti il
rispetto di leggi già vigenti. Le dismissioni devono essere
immediate, poiché il controllo di tre reti televisive è
incompatibile con la proprietà pubblica del quotidiano "Il
Giorno" e dell'Agenzia giornalistica Italia.
Pag. 29
Analoghi interventi dovranno riguardare i quotiani "Il
Mattino" e "La Gazzetta del Mezzogiorno".
Si rileva inoltre la necessità della contestuale
definizione di una chiara strategia di politica industriale,
sia per fronteggiare le emergenze occupazionali che potrebbero
derivare dalla applicazione del piano di riordino, sia per
promuovere lo sviluppo di taluni settori produttivi e, quindi,
una attiva presenza delle imprese nazionali sui mercati
internazionali. A tal fine appare inadeguata e insufficiente
la parte del pianoche affida tale compito, senza ulteriori
indicazioni, alla Finanziaria di Partecipazione Pubblica (FPP)
che dovrebbere raccogliere le residue partecipazioni azionarie
dello Stato. Per quanto attiene agli indirizzi generali,
ribadito che per restituire a tutte le attività
imprenditoriali quella efficienza che è premessa di ogni
elevazione sociale e di ogni autentica produzione di nuova
ricchezza, è necessaria - nella presente fase storica - la più
ampia e profonda privatizzazione, si ribadisce la necessità di
dar luogo a soluzioni partecipative che coinvolgano tutti i
fattori produttivi, a cominciare dal fattore lavoro. Proprio
con un processo di rigorosa e trasparente privatizzazione si
può realizzare quel coinvolgimento che deve giungere, nel suo
sviluppo, a forme di partecipazione responsabile, oltre che
nelle forme di azionariato popolare il più ampliamente
diffuso. Nel caso dei cosidetti "monopoli tecnici" che
riguardano servizi e forniture pubbliche appare essenziale la
strada della partecipazione al capitale, oltre che della
pubblica amministrazione, anche dei lavoratori operanti
all'interno delle imprese di pubblico esercizio, nonché degli
utenti e degli utilizzatori, così come avviene in Giappone,
dove gli utenti telefonici, per il solo fatto di essere
utenti, sono azionisti.
Solo restituendo le attività economiche al naturale
destinatario, che è il reddito, si potranno orientare i
risparmi dei cittadini, spostandoli dal sostegno dell'enorme
debito pubblico, verso l'investimento nel capitale di rischio
e con ciò contribuendo a limitare la penetrazione del nostro
sistema economico di capitale straniero, quasi sempre
meramente speculativo.
Per la gestione delle privatizzazioni, ai fini di corrette
valutazioni, le autorità di governo dovranno avvalersi della
consulenza del CNEL, dove sono rappresentate le categorie
sociali.
Le Commissione riunite V, VI e X esprimono un parere
positivo alla necessità delle privatizzazioni, realizzabili,
tuttavia, nel quadro di una concomitante riconversione del
sistema Italia, che consenta alle privatizzazioni
l'affrancamento dalle diseconomie del sistema, - dai trasporti
ai servizi, all'energia, ai condizionamenti fiscali - e avvii
processi di sviluppo capaci di assorbire occupazione. Le
Commissioni ritengono altresì che il Governo deve rispettare
delle indicazioni contenute nel presente parere, in
particolare alla tutela ed all'accrescimento dei livelli
occupazionali, da perseguirsi come inderogabile e prioritaria
necessità nelle forme più avanzate di valorizzazione delle
risorse umane della Nazione".
Valensise, Gasparri, Parigi, Cellai, Massano, Parlato,
Pasetto.
"Le Commissioni riunite V (Bilancio), VI (Finanze) e X
(Attività Produttive) della Camera dei deputati,-
esaminato il programma di riordino di IRI, ENI, ENEL,
IMI, BNL ed INA, presentato del Presidente del Consiglio dei
ministri ai sensi dell'articolo 16, 3^ comma, del
decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito con
modificazioni nella legge 8 agosto 1992, n. 359,
premesso che
a) una politica di privatizzazione dell'economia
italiana è imposta in Italia, dopo le passate esperienze già
realizzate in altri paesi europei, dalla condizione stessa del
settore pubblico dell'economia e altresì da alcuni princìpi
posti a base del Trattato di Maastricht: in particolare, dal
Pag. 30
principio che la concorrenza non deve essere falsata nel
mercato interno e da quello che ogni unità produttiva, anche
se pubblica, deve operare secondo il vincolo del bilancio;
b) occorre avviare una profonda ristrutturazione
del settore industriale nazionale, anche introducendo e
potenziando strumenti finanziari mirati, al fine di
correggerne i limiti che ne impediscono lo sviluppo e
l'ammodernamento;
c) è fortemente carente il capitale di rischio,
essendo oggi il risparmio prevalentemente destinato al
finanziamento del debito pubblico;
d) in particolare, i gruppi a partecipazione
statale presentano attualmente una situazione del tutto
insufficiente dell'autofinanziamento rispetto all'esigenza di
rimborsare gli enormi loro debiti finanziari, posto che il
saldo del fabbisogno finanziario di IRI ed ENI nel prossimo
biennio è molto elevato, pari a 6 mila miliardi all'anno per
l'IRI e a 4 mila miliardi per l'ENI;
e) al finanziamento di IRI ed ENI non potrà
provvedere lo Stato;
f) dall'introito delle dismissioni dovrà venire un
contributo alla riduzione dell'ingente debito pubblico;
g) dovranno essere coinvolti investitori ed
operatori nazionali e non;
h) l'urgenza del programma è confermata dal
realizzarsi in Europa di importanti accordi industriali;
osservato che
la semplice trasformazione degli enti pubblici nella
forma giuridica della società per azioni non può definirsi da
sola una privatizzazione, né introduce regole e comportamenti
privatistici;
parimenti non può definirsi privatizzazione la cessione
di quote di minoranza di società;
non è chiarito nello stesso programma che cosa si
intenda per privatizzazione di. aziende pubbliche, che può
essere soltanto la cessione del controllo delle stesse dallo
Stato a soggetti privati;
conseguentemente non è chiarito se il Governo voglia far
prevalere la via della cessione dei pacchetti azionari di
controllo delle aziende a privati, ovvero quella della
costituzione di public companies, che potrebbero
protrarre le attuali dirigenze fortemente politicizzate, né è
chiarito il ruolo che in esse dovrebbero continuare ad avere
le partecipazioni statali raccolte in nuclei stabili;
il programma non contiene un elenco delle aziende da
privatizzare né i tempi della loro privatizzazione, sicché è
molto forte il pericolo che si attui una dilazione che porti
in definitiva al pratico svuotamento del programma;
non è individuato nel programma governativo lo strumento
istituzionale deputato alla guida del processo di
privatizzazione;
restano parimenti indefinite le procedure da seguire per
le privatizzazioni e i criteri mediante i quali pervenire
all'introduzione di nuovi istituti, quali ad esempio la
public company, considerate altresì le grandi difficoltà
della condizione economica nazionale che si sovrappone ad una
congiuntura internazionale sfavorevole;
manca inoltre l'indicazione dell'avvio di un serio
processo di liberalizzazione dei servizi pubblici gestiti in
concessione o in regime di monopolio dalle imprese di
Stato;
devono essere chiariti il ruolo e le prospettive della
Finanziaria Pubblica di Partecipazioni, in cui dovrebbero
confluire le residue partecipazioni pubbliche;
ritengono che il Governo deve
1) considerare tutte le imprese a partecipazione statale
come collocabili sul mercato e a procedere nei tempi più
rapidi alla loro cessione, tenendo conto delle osservazioni
sopra formulate;
Pag. 31
2) indicare esso stesso, come è nella sua
responsabilità, quale strumento istituzionale sia il più
congruo all'obiettivo di sovrintendere ad una più celere e
trasparente attuazione delle privatizzazioni;
3) precisare nei tempi più brevi, le aziende da
privatizzare nel 1993, e negli anni successivi, fornendo
criteri circa il prezzo di collocamento delle azioni che
devono essere tali da favorire inizialmente le dismissioni e
da massimizzare nel medio termine i ricavi dello Stato,
secondo l'esperienza positiva. già realizzatasi in altri
paesi;
4) individuare procedura e regole certe per le
dismissioni, essendo inteso che privatizzazione è cessione del
controllo delle singole aziende dallo Stato a soggetti privati
e al mercato cui la gestione risponde;
5) procedere alla liberalizzazione dei servizi pubblici
in concessione e in regime di monopolio, rivedendo in
particolare il programma per quel che riguarda l'ENEL;
6) coordinare strettamente sotto la direzione del
presidente del Consiglio le molteplici azioni di governo che
direttamente o indirettamente attengono alla politica
industriale e altresì ad orientare al mercato tutta la
complessa offerta della pubblica amministrazione, a cominciare
proprio da quei servizi che hanno maggiore impatto sulla
produttività;
7) promuovere l'approvazione in tempi rapidi delle leggi
istitutive dei fondi pensione e dei fondi chiusi;
8) promuovere l'abolizione del Ministero delle
partecipazioni statali ".
Pellicanò, Castagnetti Guglielmo, Bianchini, Ravaglia,
Modigliani, Battaglia.
"Le Commissioni riunite V, VI, e X,
esaminato il programma presentato dal Governo, ai sensi
dell'articolo 16 della legge 13 agosto 1992, n. 39, e relativo
al riordino di IRI, ENI, ENEL, IMI, BNL e INA;
esprimono su di esso un parere recisamente contrario e
ritengono che il Governo deve presentare entro i prossimi 60
giorni un nuovo progetto di riordino della presenza pubblica
nell'economia, sulla base delle indicazioni che sono contenute
nel presente parere.
Le ragioni di questo giudizio e le indicazioni alternative
possono essere così riassunte:
1) Le motivazioni stesse della proposta del Governo sono
assai confuse. Esse vanno da una affermazione ideologica che
assegna alla iniziativa pubblica un giudizio aprioristicamente
negativo e alla iniziativa privata un giudizio
pregiudizialmente positivo, sino ad una idea generica e
sfumata di riassetto delle partecipazioni statali; da un
riferimento alla necessità di contribuire a ripianare il
disavanzo finanziario dello Stato, per nulla sostenuto da
previsioni adeguate di entrate finanziarie, sino ad un
meccanico ossequio al Trattato di Maastricht, i cui contenuti
sono peraltro messi in discussione in tutta Europa. Manca un
ragionamento chiaro, una motivazione trasparente e precisa e
si intravedono invece oscuri e preoccupanti intrecci con gli
interessi di grandi gruppi finanziari privati e con
spartizioni di natura politica.
2) Non è possibile affrontare il grande problema della
presenza dello Stato nell'economia e nelle attività
produttive, senza preventivamente formulare con chiarezza un
disegno dello sviluppo dell'economia e dell'industria, le
opzioni strategiche che ad esse presiedono, le condizioni che
lo sottendono. Nulla di tutto ciò c'è nel progetto
governativo, privo di ogni riferimento alla strategia
industriale ed economica e al ruolo che in essa può avere
l'intervento pubblico. L'economia italiana attraversa un
periodo di crisi strutturale e con l'apparato industriale
mostra le sue fragilità e le sue contraddizioni. E' venuto il
Pag. 32
momento di cambiare gli indirizzi, di puntare a nuovi modelli
di sviluppo. Ma le proposte del Governo ignorano questa
problematica in radice.
Si tace anche sul fatto che la presenza pubblica
nell'economia italiana nasce da una sequela di fallimenti
della iniziativa privata, che ha addossato allo Stato gli
oneri relativi e le aziende in deficit. La vasta area
pubblica è nata solo in un caso - la nazionalizzazione della
energia elettrica - da una decisione del Parlamento; in altre
- è l'esempio dell'Agip e dell'ENI - da una fortunata e
avventurosa iniziativa di soggetti pubblici; in tutti gli
altri casi dalla desistenza dell'iniziativa privata. E l'area
pubblica in tutti questi decenni ha funzionato in sostanza da
polmone per l'iniziativa privata, assorbendo aziende in crisi
e restituendo aziende risanate, spesso senza neppure un
adeguato pagamento; inoltre ha sostenuto la domanda e ha
creato mercato per l'iniziativa privata.
Quando si discute dell'area pubblica, e delle necessità
del rientro dal disavanzo, non si può neppure dimenticare che
grandi gruppi privati usufruiscono ogni anno, senza condizioni
e senza controllo, di enormi flussi di denaro pubblico. La
riduzione di questi flussi e la loro qualificazione sarebbero
un modo diretto di intervenire sulla politica industriale e di
concorrere al risanamento finanziario dello Stato.
3) Sarebbe pertanto logico partire da un disegno di
politica industriale e modellare su di esso il ruolo della
presenza pubblica. Prima di tutto occorrerebbe in questo senso
individuare i nodi e le presenze strategiche, in termini
moderni: una presenza forte agroalimentare può essere più
strategica di tante altre. In questo quadro sarebbe logico non
già dismettere le imprese e le attività sane, redditizie, e di
avvenire, ma accettare in esse partecipazioni del capitale
privato di rischio, insieme con la presenza di questo stesso
capitale nelle aziende da risanare. E le dismissioni
dovrebbero discendere dal disegno programmatico del settore
pubblico.
Invece il programma del Governo vuole partire, nel modo
più disordinato e senza criteri, dalla cessione delle imprese
solide e attive; riservando invece allo Stato, insieme ad
alcune imprese di servizio, legate magari a determinate
correnti politiche, le imprese nelle peggiori condizioni. Così
si smembrano o si liquidano le parti migliori e più
redditizie, tecnologicamente qualificate (SME, SGS, Nuovo
Pignone, Italtel, banche) con un depauperamento che inciderà
anche sulle società non vendute. E' una logica perversa,
estranea all'interesse pubblico, e aderente piuttosto ad
interessi esterni o politici. Tutto ciò è confermato dai
visibili contrasti politici che affiorano nel Governo, e che
tra l'altro si sono anche polarizzati rispettivamente intorno
al Ministro del tesoro e al Ministro dell'industria.
In questo quadro è difficile comprendere la spinta a voler
cedere grandi banche nazionali, che possono essere importanti
serbatoi di liquidità finanziaria per il riassetto; alcune di
queste banche sono in buone condizioni, e non a caso appetite
da gruppi privati, altre, come la BNL, potrebbero essere
utilmente riordinate e ricapitalizzate con risorse che lo
Stato, all'interno delle sue partecipazioni, può canalizzare a
questo scopo. E, se il ruolo delle banche può essere vitale
nel riordino e nel rilancio dello sviluppo, appare assai
pericolosa la tendenza ad autorizzare nuovamente, oltre certi
limiti, quell'intreccio tra banche e industria che è stato
foriero di disastri economici nel passato e che è limitato da
norme in vigore.
4. L'immenso patrimonio immobiliare degli enti pubblici
economici e delle società a partecipazione statale non è
assolutamente esplicitato ed è in grandissima parte
sottovalutato. In queste condizioni l'assunzione di pacchetti
azionari di controllo da parte di privati in società ora
pubbliche consentirebbe una forma grave di finanziamento
occulto per i soggetti acquirenti. La valorizzazione di quel
patrimonio, anche con opportune e mirate smobilizzazioni,
consentirebbe invece di ricapitalizzare le imprese
pubbliche.
5. Prescindendo dai rilievi sin qui fatti, che hanno
carattere discriminante e decisivo e consigliano di per sé la
Pag. 33
necessità di un ripensamento radicale del progetto, è da
rilevare che per il processo di privatizzazione non si sono
fissate procedure precise, relative alle decisioni di
discussione, alle loro condizioni, ai prezzi, alla
trasparenza. Almeno alcune di queste procedure avrebbero
dovuto essere fissate addirittura per legge, e tutte le
procedure avrebbero dovuto essere indicate con precisione.
Invece ci si trova di fronte ad un processo confuso, privo di
regole e di garanzie, sui cui contenuti e sulla cui sostanza
appaiono anche profonde lacerazioni e contrapposizioni nel
Governo.
Ecco dunque una condizione precisa - procedure certe e
trasparenti - cui il Governo deve assolvere nel presentare un
nuovo progetto. In questo quadro parrebbe opportuno e
previdente sottoporre tutte le dismissioni al controllo di una
commissione di esperti di chiara fama e competenza, eletti dal
Parlamento, che verifichino la congruità di ogni operazione,
sotto il profilo del prezzo e delle condizioni complessive di
cessione.
6. Difficile è capire perché lo Stato, in questa cruciale
fase di transizione dell'economia, debba rinunziare al
controllo, sia pure aprendosi alla partecipazione privata di
capitale di rischio, di imprese collocate in nodi strategici,
come l'elettricità e il settore agroalimentare. Tanto più che
la presenza pubblica in questi settori è stata garantita con
pesanti sacrifici dell'erario e, nel caso dell'ENEL,
alimentando una grande accumulazione privata; mentre per
queste dismissioni gli stessi documenti del Governo prevedono
ritorni finanziari limitati e precari per lo Stato. Del resto
il Governo è assai incerto sulle prospettive temporali e di
mercato della privatizzazione dell'ENEL.
Non può non essere una lezione da meditare ciò che è
accaduto con la chimica. In questo campo grandi gruppi privati
sono stati alimentati da poderosi flussi di denaro pubblico,
hanno ereditato la stessa chimica pubblica, in varie forme; e
la conclusione è stata un fallimento, che la vicenda Enichem
sottolinea con particolare gravità. Sinora le privatizzazioni,
dall'Alfa Romeo alla Enichem non hanno portato né guadagni per
lo Stato, né vantaggi per l'economia nazionale e, al
contrario, sono costate all'erario. C'è dunque più di un buon
motivo nel consigliare estrema prudenza nelle decisioni in
questo campo. Su Enel e SME, in particolare, il Governo deve
presentare un programma chiaro, che riguardi con precisione
tutte le implicazioni di queste scelte, anziché scommettere al
buio, sospinto da una esigenza ideologica, dietro la quale
possono marciare ben altri interessi.
7. Lo stesso documento del Governo avanza riserve pesanti
che il mercato finanziario italiano possa assorbire il volume
previsto delle privatizzazioni; si fa riferimento ai limiti
della Borsa e a condizioni più generali per avanzare queste
cauzioni. E per questo stesso motivo ci si riferisce alla
probabile necessità che si ricorra a investitori stranieri, a
grandi multinazionali.
L'internazionalizzazione dei processi economici è nelle
cose, ma non può sfuggire la complessità e la delicatezza di
queste scelte, compiute per di più nel contesto di una
difficile e controversa unificazione dei mercati europei.
Anche su questo terreno, appare assai rischioso e
immotivato un mandato in bianco al Governo, come quello che
viene chiesto. Più giusto e necessario sarebbe un ragionamento
preciso sui nessi tra privatizzazioni e limiti del nostro
mercato finanziario e sulle strategie di connessione
internazionale della nostra economia. Mancando tutto questo,
si profilano all'orizzonte svendite, dismissioni diluite
irrazionalmente nel tempo e una sottomissione incontrollata di
scelte economiche italiane a centrali internazionali.
8) Lo stesso documento del Governo tratteggia le debolezze
della legislazione italiana rispetto a possibili scalate
finanziarie relative alle aziende e ai gruppi messi sul
mercato. Tutto ciò può vanificare completamente il proposito
di non ingrossare con le dismissioni i soliti tre-quattro
gruppi finanziari e di creare nuove articolazioni del nostro
sistema economico. Il Governo non può annunciare le
dismissioni e nel contempo sollevare i ragionevoli dubbi che
Pag. 34
in questa materia sono contenuti nel suo documento. Piuttosto
sarebbe necessario predisporre tempestivamente le condizioni
tecniche e giuridiche per il sicuro governo del processo di
riordino della presenza pubblica. E tutto ciò suggerisce
ancora più l'esigenza di non alienare le banche, gli istituti
assicurativi e le imprese strategiche.
9) Da ultimo problemi assai seri sono posti dalla
dismissione di aziende pubbliche che operano in regime di
concessione, e in condizioni di monopolio di fatto. Sembra
dover accadere che la dismissione di queste aziende comporti
la contestuale cessione delle concessioni e la crezione di un
monopolio privato di fatto. In molti casi quelle concessioni e
quel monopolio sono il reale valore commerciale delle
imprese.
Qui sorge un grave e complesso problema, che esige un
chiarimento preliminare, di princìpi e programmatico, che
riguarda il ruolo del pubblico, il ruolo del privato, la
struttura del mercato, la necessità di prevenire monopoli o
oligopoli privati. Altrimenti lo Stato non dismette solo
alcune aziende ma le stesse sue prerogative e funzioni, il
governo dell'economia.
10) Nel momento nel quale si respinge il documento del
Governo è necessario ribadire che nel settore pubblico
dell'economia le cose non possono rimanere come stanno e che è
invece necessario procedere ad un profondo riassetto e ad una
radicale riforma, sempre guidata, come si è detto, da un
preciso disegno di politica industriale.
Un tale progetto deve avere i suoi riferimenti obbligati
nel risanamento finanziario delle imprese pubbliche, alle
quali i privati possono concorrere se recano denaro fresco,
capitale di rischio; in una riorganizzazione delle imprese per
filiere omogenee ad esigenze di verticalizzazione; e in un
nuovo assetto gestionale delle imprese a partecipazioni
pubblica.
Lo Stato, quando detiene una partecipazione di controllo,
ha il dovere di ricapitalizzare l'impresa, esattamente come è
buona regola per l'azienda privata. Ma questa
ricapitalizzazione, realizzata in base a precise regole
economiche, non deve essere confusa con le sovvenzioni a fondo
perduto e con i ripiani disordinati e a piè di lista, che sono
stati una pessima costante abitudine nel nostro Paese.
Le imprese a partecipazione pubblica, ricapitalizzate,
devono stare sul mercato, realizzare il necessario equilibrio
dei costi economici e gestionali, essere svincolate da
soggezioni politiche che non siano i comandi generali di
programmazione. Se il Parlamento e il Governo decidono di
addossare ad una impresa a partecipazione pubblica, d'altronde
con presenza di capitale privato, funzioni e compiti che
esulano dall'equilibrio del bilancio e da una corretta
gestione aziendale, devono corrispondere programmaticamente, e
in anticipo, compensazioni di esercizio, con precise
imputazioni di costo, secondo le norme CEE. L'intervento
pubblico può e deve corrispondere a più ampi interessi
nazionali o a ragioni di solidarietà sociale, ma ciò non può
essere confuso con un disordinato assistenzialismo e con la
sopravvivenza di corrotti carrozzoni.
11) Il documento del Governo lascia aperta la questione
del soggetto che dovrà gestire il riassetto del settore
pubblico, e, secondo i propositi enunciati, le dismissioni. E'
evidente che le indicazioni contenute nel presente documento
cambiano la natura della questione. Tuttavia pare evidente che
in un disegno ordinato, la programmazione del settore pubblico
dovrebbe fare capo ad un ministero unificato dell'economia, o,
nelle condizioni presenti, al Ministero del bilancio. Ma è
importante, comunque, che vi sia una considerazione e una
gestione unitaria, nella piena responsabilità del Governo: una
gestione unitaria che possa valorizzare ai fini del riassetto
le liquidità che esistono globalmente nel settore pubblico.
Una conglomerata della presenza pubblica sarebbe un pessimo
punto di arrivo, ma una forma di conglomeramento può essere
anche un punto di partecipazione per un riassetto il cui punto
di arrivo siano le filiere strategiche e le
verticalizzazioni.
Pag. 35
12) Tutto induce a credere che il riassetto della presenza
pubblica nell'economia determini seri problemi
nell'occupazione dei lavoratori, che lo stesso documento del
Governo paventa assai gravi se si realizzasse il suo progetto.
La situazione complessiva italiana, in questa fase di
recessione, ha mostrato l'inadeguatezza degli ammortizzatori
sociali, e in particolare della legge 223.
Sorge dunque la necessità di predisporre nuovi strumenti -
ad esempio una Cassa nazionale del lavoro - che tuteli i
lavoratori contro la disoccupazione, gestisca l'effettiva loro
mobilità da posto di lavoro a posto di lavoro, gestendo anche
i processi di formazione e riconversione professionali.
Ma, al di là di questa esigenza essenziale, sono lo stesso
progetto di riordino e il disegno di sviluppo industriale che
dovranno assumere come parametro la difesa e lo sviluppo
dell'occupazione, all'interno di processi di conversione.
13) Il progetto del governo sembra dimenticare il ruolo
della presenza pubblica ai fini di una definitiva riduzione
del divario economico tra il Nord e il Sud del Paese.
E, invece, l'assunzione della questione meridionale, in
termini nuovi e moderni, liberi da assistenzialismo e da
clientelismo, deve essere posta a base della politica
economica e industriale. Ciò richiede un particolare ruolo e
particolari funzioni per l'industria a presenza pubblica, e
più in generale per il settore pubblico. A questa condizione
essenziale deve attenersi il nuovo progetto del Governo".
Muzio, Albertini, Crucianelli, Azzolina, Bacciardi,
Barzanti, Bergonzi, Boghetta, Bolognesi, Brunetti, Calini
Canavesi, Caprili, Carcarino, Guerra, Dolino, Dorigo,
Fischetti, Galante, Garavini, Goracci, Lento, Magri, Maiolo,
Manisco, Mantovani, Marino, Cangemi, Mita, Russo Spena,
Sestero Gianotti, Speranza, Tripodi, Vendola, Volponi.
"Le Commissioni riunite V, VI e X,
preso in esame il programma di riordino di IRI, ENI,
ENEL, IMI, BNL e INA;
considerato:
che il programma di riordino delle partecipazioni
mobiliari dello Stato presentato dal Governo, rappresenta lo
sbocco di un processo avviato negli scorsi anni con una
insistente azione politica approdata con il Governo Andreotti
ad un primo fondamentale risultato con il varo del
decreto-legge n. 386 del 1991, poi convertito nella legge n.
35 del 29 gennaio 1992;
che tale programma previsto dalla successiva legge 8
agosto 1992, n. 359, approvata dall'attuale Parlamento per
dare una ulteriore accelerazione al processo avviato dalla
legge n. 35, e por fine alle resistenze che all'interno del
sistema delle aziende a partecipazione statale erano state
promosse per ostacolare la formazione in spa degli ex enti,
resistenze a cui solo una parte minoritaria ma ben
individuabile dei componenti degli organi esecutivi ora
disciolti si era opposta, interpretando correttamente la
volontà del Governo e del Parlamento;
che l'attuazione pratica della legge n. 359 dovrà
consentire di tener conto dell'esperienza di alcuni errori che
sono stati compiuti sia con la gestione della vicenda Efim,
che ha prodotto non pochi danni alla credibilità del Paese sui
mercati internazionali, sia al momento del varo del decreto n.
333 dell'11 luglio 1992, per la frettolosa stesura degli
statuti delle nuove società per azioni e per la definizione di
organi di gestione in termini di emergenza, che devono ora
essere ricomposti secondo normali regole valide per holding
industriali e finanziarie di questo tipo;
che l'occasione del varo del programma di riordino è
di straordinaria importanza per stabilire un nuovo punto di
equilibrio tra ruolo dello Stato e libero svolgimento delle
attività economiche in un'ottica di mercato e in linea con la
partecipazione al Mercato Unico europeo;
Pag. 36
che nel quadro attuale di maturazione culturale e
politica del dibattito, non è più possibile restringere il
processo di privatizzazione al solo obiettivo del reperimento
di risorse finanziarie per riequilibrare i conti dello Stato -
che pure resta importante - ma è giunto il momento di
ristrutturare la presenza dell'azionista pubblico
nell'economia per restringere gli spazi dallo stesso fino ad
oggi occupati, ritrovare regole di più aperta competitività
economica e produttiva, superare visioni assistenziali che
hanno distorto in passato la libera concorrenza e la stessa
politica dell'occupazione e avviare infine scelte di politica
industriale che siano in grado di corrispondere alla sfida dei
mercati mondiali;
che questa occasione deve inoltre dare la possibilità
di diffondere ed allargare nuove forme di risparmio
finanziario e creare nuovi gruppi imprenditoriali la cui
crescita e il cui consolidamento in una adeguata dimensione
internazionale devono rappresentare un forte obiettivo di
politica economica;
udite le dichiarazioni rese dal Ministro del tesoro
nella seduta del 2 dicembre 1992;
esprimono parere favorevole
ritenendo che il Governo debba:
procedere nell'applicazione del piano di riordino in uno
spirito che dia segnali non equivoci al mercato interno ed
internazionale sulla volontà di andare effettivamente ad una
riduzione della presenza dello Stato in economia, per cui la
discesa dell'azionista pubblico al di sotto del 50 per cento
delle partecipazioni sia una regola e il mantenimento
eventuale di presenze superiori sia transitoria o eccezionale
e comunque, sia nell'uno che nell'altro caso, debba essere
approfonditamente motivata;
varare contestualmente tutte le norme e ad assumere
tutti i comportamenti che possano facilitare le procedure di
dismissione, collocamento in Borsa, vendita, avendo come unico
vincolo l'economicità dell'operazione e l'effettivo sostegno
allo sviluppo economico del sistema industriale del Paese: il
tutto quindi attraverso procedure idonee ispirate a
trasparenza economica, certezza giuridica ed efficienza;
considerare in questo quadro con coraggio la questione
occupazionale. Il processo di privatizzazione non deve certo
trascurare l'eventuale impatto sull'occupazione e il Governo
deve preoccuparsi di accompagnarlo con misure dirette a creare
nuove attività economicamente valide o a sostenere i redditi
di chi debba trovare nuovi sbocchi occupazionali, ma è
necessario anche far comprendere che non sono le imprese, né
quelle private né quelle pubbliche, i soggetti che debbono
esercitare funzioni di assistenza sociale. Nel contesto di
competitività europeo e mondiale, il sistema industriale
italiano non può più permettersi spazi di inefficienza, che
sono stati e sarebbero ancora fonte di ulteriori squilibri
sociali;
abbandonare una definizione di "strategicità" della
presenza pubblica nell'economia legata alla quota di mercato
di un'impresa, per poi farne discendere che in queste imprese
lo Stato debba essere presente nei "nuclei stabili" con quote
di riferimento significative, perché questo porterebbe ad
allargare a dismisura, anziché restringere, il peso dello
Stato sull'economia;
predisporre, pertanto, un preciso e ristretto elenco di
aziende nelle quali lo Stato ritenga di rimanere con quote
significative, dando per ciascuna di esse una motivata
illustrazione al Parlamento, intendendosi viceversa per tutte
le altre possibile, nei tempi e nei modi opportuni, la totale
uscita secondo tempi anch'essi da indicare con precisione;
rinviare a dopo l'effettuazione della maggior parte
delle azioni previste, l'ipotesi di costituzione di una
Finanziaria pubblica di partecipazione, che oggi come oggi
appare come la riproposizione di una superholding e comunque
Pag. 37
di una conglomerata che, come tale, non sarebbe ben vista dai
mercati e getterebbe un'ombra di equivoco sulle effettive
intenzioni dell'intero piano.
Appare invece più opportuno che il possesso delle
partecipazioni resti al Tesoro, in modo che possa utilizzare
gli avanzi di gestione delle sue partecipate, da utilizzare -
quando necessario - per ricapitalizzare le partecipate che ne
avessero necessità;
rivedere il ruolo dei cosiddetti "nuclei stabili"
all'interno dei nuovi assetti azionari, nel senso che tali
nuclei possano essere previsti solo dopo una procedura di
vendita delle azioni delle aziende cedute dallo Stato e già da
esso non possedute al 100 per cento, procedura che non può che
essere il ricorso all'OPA, unico strumento in grado di
garantire le minoranze e piccoli azionisti, nonché trasparenza
nel prezzo e nelle modalità.
La costituzione preventiva dei nuclei stabili, secondo
procedure di selezione e privilegio dei soggetti partecipanti,
con utilizzo di over price e di patti precostituiti di
sindacato, costituirebbe viceversa una sostanziale violazione
delle regole e delle consuetudini dei mercati;
prevedere le condizioni di sviluppo di un azionariato
popolare e di acquisto di quote societarie da parte dei
dipendenti e degli utenti delle grandi utilities,
assicurando un regime fiscale più favorevole da applicare a
tali trasferimenti o cessioni, anche con un eventuale limite
massimo di azioni acquistabili, in modo tale che nei nuovi
assetti sia assicurata la diffusione dell'azionariato
popolare, limitando le quote di possesso detenute dalle
persone fisiche e dalle persone giuridiche;
assicurare modalità di cessione delle quote azionarie
che verranno privatizzate in modo da garantire il massimo di
potenziale trasparenza tra gli acquirenti;
completare la riforma dei mercati finanziari al fine di
favorire l'allocazione del risparmio delle famiglie verso il
capitale di rischio, attraverso la rapida definizione
normativa dei fondi pensione, dei fondi chiusi e di una più
adeguata normativa sulle azioni di risparmio anche al fine di
determinare la diffusione e la crescita delle public
companies;
favorire l'introduzione nell'ordinamento di azioni con
diritti speciali che prevedano la possibilità di esercitare
azioni di controllo su decisioni strategiche attraverso
l'esercizio del diritto di voto su cessioni, fusioni e
mutamenti dell'attività sociale;
escludere lo scambio di pacchetti azionari per
l'acquisizione di azioni di imprese pubbliche nei casi in cui
lo scambio configuri operazioni di salvataggio dell'impresa
privata e che di fatto producono invece l'effetto di estendere
la proprietà pubblica;
confermare, per quanto riguarda le singole società per
azioni oggi possedute dal Tesoro, il criterio fondamentale
indicato dal piano del ricorso al metodo
dell'autoalimentazione delle risorse finanziarie necessarie
per ristrutturare i gruppi e per affrontare i problemi posti
dall'indebitamento;
fornire ai consigli d'amministrazione delle nuove
società per azioni, più in dettaglio, le seguenti
indicazioni:
per l'ENEL:
anticipazione dei tempi troppo lunghi indicati dal piano
per la quotazione e la diffusione di azioni presso il
pubblico, a cominciare dagli utenti e dai dipendenti, con
particolari incentivi, ricorrendo, per questa operazione, ad
un consorzio di collocamento di banche nazionali ed
internazionali in modo da consentire la formazione di un
azionariato diffuso e garantire contemporaneamente un rapido
incasso da parte del Tesoro;
liberalizzazione delle concessioni - da rilasciare da
parte del Ministero competente e non dall'ENEL oggi
trasformata in società per azioni -, allo scopo di creare un
libero mercato concorrenziale a cui accedano, sulla base di
precisi requisiti ed eventualmente a titolo oneroso, soggetti
Pag. 38
privati, pubblici, municipalizzate; il tutto in una
prospettiva che preveda la privatizzazione delle stesse
municipalizzate;
per l'INA:
la conferma della priorità indicata per la collocazione
sul mercato di quote crescenti, senza limiti di maggioranza,
previo scorporo del ramo Vita, anch'esso comunque da collocare
sul mercato;
per l'IRI:
la conferma dell'avvio di un processo di superamento
della holding;
la vendita di tutte le partecipazioni del gruppo SME;
la vendita delle Banche, ivi compresa la quota della
Cassa di Roma;
per l'ENI:
l'avvio immediato del progetto di dismissione delle
aziende che non fanno parte del core businnes energetico e
petrolchimico;
l'immediata quotazione sulle borse internazionali
dell'Agip spa (comprensiva dell'azienda Agip Petroli), e
successivamente della SNAM, allo scopo di dotare di risorse
fresche il programma di ristrutturazione di Enichem, anch'essa
da riportare in Borsa al termine di questa operazione. E' da
prevedere una vendita del 20 per cento di azioni Agip nel 1993
e del 10 per cento di azioni SNAM nel 1994, per un introito di
3500 miliardi nel 1993 e per la sola Snam di 1700 miliardi nel
1994, un'ulteriore quota di 1750 miliardi AGIP nel 1994;
nell'arco di tempo ipotizzato dal piano, la stessa
holding ENI potrà prepararsi al classamento in Borsa, oggi
condizionato e di fatto impedito dalla compresenza di attività
diverse, con andamenti economici che penalizzerebbero la
quotazione di una simile conglomerata. Tale classamento
potrebbe essere eventualmente agevolato dall'emissione di
warrant Agip e Snam convertibili in azioni ENI;
procedere senza pregiudizi culturali ormai inaccettabili
alla cessione di quote di proprietà pubblica ad acquirenti
esteri, anche allo scopo di favorire alleanze internazionali
funzionali all'inserimento del sistema industriale del paese
nel mercato internazionale;
favorire, senza che come nel recente passato facciano
velo ragioni di equilibrio di potere, l'integrazione di
settori produttivi riunificando le varie aziende pubbliche
operanti nello stesso segmento produttivo, indipendentemente
dalla loro attuale collocazione nell'attuale holding, non
escludendo ulteriori integrazioni con le aziende di settori
privati;
procedere, nel delicato settore del credito, nel
mantenimento del principio della separatezza tra banca e
industria sia in ordine alla nozione di controllo di una banca
così come espicitato dalla legge n. 287 del 1990 (norme per la
tutela della concorrenza e del mercato), sia nel limite degli
investimenti effettuati in partecipazioni in imprese non
finanziarie;
prevedere, in questo quadro, anche alla
ricapitalizzazione di BNL, definendo l'ipotesi di accordo con
IMI, anche qui - comunque - in vista di una messa sul mercato
di azioni della nuova BNL;
affrontare approfonditamente il tema altrettanto
delicato del rapporto editoria industria.
Occorre infatti distinguere la importante questione della
proprietà dei mezzi d'informazione (che va affrontata e
risolta in un apposito contesto, con specifica attenzione al
tema e confrontando esperienze internazionali e realtà
nazionali), con la questione - molto più circoscritta - della
necessità di mantenere attività giornalistiche, oltretutto in
pesante perdita, nell'ambito di holding pubbliche, nel momento
in cui si vara un piano di privatizzazione che ha tra gli
altri scopi quello di restituire efficienza economica e
coerenza nell'attività produttiva di questi soggetti.
Pag. 39
Per quanto riguarda infine i questiti posti dal Governo in
ordine alle modalità di gestione del nuovo sistema di presenza
dello Stato nell'economia, le Commissioni riunite ritengono
che il Governo deve:
attenersi ad una precisa distinzione che riservi agli
organismi di gestione politica i soli poteri di indirizzo
generale, nonché di verifica degli obiettivi strategici
indicati dal piano, dal presente documento, e - in fase di
controllo annuale - dal Parlamento, mentre deve essere
lasciata agli organi di gestione esecutiva la totale autonomia
nell'applicazione delle scelte da compiere, delle quali sono
via via chiamati a rispondere all'azionista secondo le norme
del codice civile;
cancellare definitivamente il Ministero delle
partecipazioni statali e riformare profondamente il Ministero
dell'industria, oggi gravato di compiti non propri e al tempo
stesso inadeguato nella determinazione di politiche di grande
rilievo, come quella energetica (che in altri Paesi è affidata
ad apposito dicastero), o impreparato ad affrontare temi di
trasformazione del sistema economico, come il nuovo rapporto
tra produzione e terziario tradizionale e avanzato;
cancellare la riserva legislativa che obbliga le imprese
pubbliche a tenere le relazioni sindacali attraverso apposite
associazioni di rappresentanza (Intersind, Asap), che già
oggi, con la trasformazione in società per azioni non hanno
più senso;
istituire un comitato interministeriale composto dai
Ministri del tesoro e da quello competente di settore,
presieduto dal Presidente del Consiglio dei ministri,
coadiuvato da un sottosegretario con specifica delega, per
determinare la sintesi delle scelte di Governo sul processo di
privatizzazione, lasciando in ogni caso il compito di
rappresentante unico del Comitato al Presidente del Consiglio
o a un suo delegato;
prevedere eventualmente la costituzione di un comitato
di consulenza composto da un gruppo ristretto di esperti non
solo in campo economico, finanziario e giuridico, ma anche
industriale, da affiancare al comitato interministeriale
suddetto;
riservare il controllo del Parlamento nell'ambito delle
procedure previste dall'articolo 3 della legge 23 agosto 1988,
n. 362, relativo all'esame del documento di programmazione
economico-finanziaria presentato dal Governo al Parlamento
entro il 15 maggio di ogni anno;
superare l'attuale soluzione di passaggio dei consigli
d'amministrazione delle società per azioni holding,
azzerandone la composizione, distribuendo diversamente le
deleghe operative tra presidente e uno o più amministratori
delegati, prevedendo la presenza di un vicepresidente,
portando i direttori generali dei Ministeri in una più consona
posizione di membri o presidenti dei collegi sindacali e
consentendo la presenza nei consigli, oltre dei rappresentanti
dell'azionariato privato, anche di managers di provenienza
esterna al sistema, eventualmente scelti in rose di candidati
presentati dalle più autorevoli società di selezione del top
management".
Battistuzzi, Sterpa, Marcucci, Dalla Via.
Le Commissioni riunite V, VI, X
preso atto del programma di riordino di IRI, ENI, ENEL,
IMI, BNL ed INA presentato dal Governo e dell'ampio dibattito
che su tale programma ha avuto luogo,
non ritengono di poter esprimere un parere favorevole al
programma stesso.
Ritengono altresì urgente e inderogabile pervenire ad un
programma di privatizzazioni che, per risolvere il problema
posto all'interno dello stesso Governo se il programma debba
essere realizzato a legislazione "variata" o " invariata" e,
soprattutto, per consentire un avvio reale della manovra, sia
sottoposto al parere del Parlamento simultaneamente
all'approvazione di provvedimenti collegati, in totale
Pag. 40
analogia con le procedure della sessione di bilancio per
l'approvazione della legge finanziaria e dei disegni di legge
collegati, che affrontino prioritariamente le seguenti quattro
questioni:
1) il problema occupazionale, non soltanto in rapporto
alla stima di 200.000 posti di lavoro perduto come conseguenza
dell'attuazione del programma proposto dal Governo, ma, più in
generale, degli aspetti sociali in quelle aree del paese nelle
quali la presenza delle Partecipazioni statali è talmente
forte da non consentire di eludere i problemi di natura
generale che le dismissioni comporterebbero;
2) riforma della disciplina civilistica per favorire,
tenendo conto della sostanziale assenza di tradizione e di
cultura nel settore, la massima diffusione della
partecipazione azionaria nelle forme dell'azionariato
popolare, della pubblic company eccetera con risultati
confrontabili con quelli, significativi, di altri paesi
europei (Francia, inghilterra, eccetera). Tale riforma dovrà
al tempo stesso assicurare la stabilità di comando del quadro
societario, anche e proprio in rapporto alle garanzie da
fornire ad un azionariato diffuso;
3) nuove regole per il regime tariffario per evitare che
il prevedibile incremento delle tariffe non vada a coprire
sprechi, ma risponda effettivamente ai servizi resi, nel
rispetto dei diritti degli utenti;
4) il risanamento ambientale delle aree nelle quali gli
impianti delle aziende a partecipazione statale poste in
vendita abbiano determinato inquinamento, degrado, danni
all'ambiente e dal territorio. Il costo del risanamento dovrà
essere parte integrante della determinazione del prezzo di
vendita dell'azienda e si dovrà prevedere una simultaneità
temporale tra il completamento della vendita dell'azienda e
l'inizio delle operazioni di risanamento.
Le Commissioni riunite,
affermano poi la loro preoccupazioni per il permanere di
viscosità e di rilevantissime inerzie, anche all'interno del
Governo, che frenano un avvio concreto delle privatizzazioni
facendosi scudo di difficoltà e limiti reali dell'ambiente in
cui dovrebero essere realizzate: dalla penuria del capitale di
rischio sul mercato nazionale, alla sostanziale assenza di un
azionariato diffuso, alla possibile esposizione speculativa
cui è soggetto un gigantesco programma di vendite, all'assenza
di un profilo di strategia industriale nel programma proposto
dal Governo, che non viene certo colmata da talune proposte di
parte confindustriale.
Tali difficoltà e limitazioni senz'altro esistendo possono
e vanno superate attraverso l'espressione di adeguate volontà
politiche e di procedure coerenti che consentano di superare
l'era delle partecipazioni statali come luogo di occupazione
del potere da parte del sistema dei partiti.
Le Commissioni riunite,
esprimono la propria piena consapevolezza che tale era
non verrà però nei fatti superata se si continuano a concedere
deleghe e dilazioni temporali a un Governo in cui sono
presenti ed evidenti non solo le tentazioni, ma anche le
esplicite volontà di non cedere nessuno dei quei luoghi di
potere soprattutto da parte di partiti che rappresentano ormai
una minoranza non più legittimata a decidere per gli altri.
Le Commissioni pertanto, perché sia dato un segnale
fondamentale per l'economia del Paese e per la sua credibilità
internazionale, ritengono che il Governo deve:
proporre entro trenta giorni un nuovo primo programma di
riordino e assicurare ai provvedimenti legislativi collegati
sulle questioni indicate in premessa, che contenga:
1) l'elenco delle aziende che il Governo si impegna
entro i successivi 30 giorni a porre in vendita, a partire
dalle banche e dalle società di assicurazione e con
Pag. 41
esclusione, per questo primo programma, delle aziende che
rivestono un carattere strategico nei settori dell'energia,
delle telecomunicazioni e dei trasporti;
2) la stima, secondo le correnti valutazioni del
mercato, degli introiti conseguenti alle vendite. Tali
vendite, e di conseguenza l'elenco di cui al punto precedente,
dovranno consentire un introito per lo Stato non inferiore al
10 per cento dell'ammontare stimato del complesso delle
aziende che fanno parte del programma del riordino;
propone, entro quattro mesi un secondo più generale
programma di riordino con un preciso profilo che ne delinei
gli aspetti e gli obiettivi di politica industriale.
Scalia, De Benetti, Giuliari.
Ricorda che le proposte di parere saranno votate partendo
dalla proposta dei relatori e che l'approvazione di una di
esse precluderà tutte le altre. Ricorda quindi che le proposte
di parere non sono emendabili esprimendo ciascuna un giudizio
organico sul programma presentato dal Governo; invita pertanto
i presentatori ad illustrare le proposte di parere
presentate.
Il deputato Gerolamo PELLICANO' (gruppo repubblicano),
ritiene che, ove approvata, la proposta di parere presentata
dai relatori rappresenterà un pericoloso precedente per una
corretta definizione dei rapporti istituzionali tra il Governo
e il Parlamento. Essa, infatti, condiziona l'espressione di un
parere favorevole, tra l'altro, alla previsione di modificare
le disposizioni che attualmente limitano l'acquisizione e la
cedibilità dei diritti sulle imprese all'introduzione di un
regime fiscale favorevole per trasferimenti o cessioni e alla
predisposizione di una normativa per regolare in via generale
il rapporto tra gruppi finanziari e industriali e mezzi
d'informazione.
E' di tutta evidenza l'improprietà di simili condizioni,
poiché costituisce competenza specifica del Parlamento
approvare le predette discipline ove ne ravvisi l'opportunità
e il Governo, nelle medesime materie, potrà al massimo
presentare dei disegni di legge. Ritiene quindi che il parere
presentato dai relatori presenti profili di irricevibilità.
Il Presidente Angelo TIRABOSCHI, replicando alle
osservazioni del deputato Pellicanò, osserva che il parere che
le Commissioni sono chiamate ad esprimere non è vincolante
giuridicamente, ma ha un evidente rilievo politico per cui,
tramite esso, vengono poste condizioni in ordine al programma
di privatizzazioni non solo al Governo ma anche al Parlamento
stesso; non c'è dunque alcuna anomalia nel fatto che la
proposta di parere presentata dai relatori precisi anche gli
adempimenti che il Parlamento stesso dovrà eseguire affinché
si possa dar corso al programma di riordino e dismissioni.
Il deputato Paolo CIRINO POMICINO (gruppo della DC), dopo
aver concordato con le osservazioni del Presidente, rammenta
che il Governo non è certamente estraneo al processo
legislativo ed osserva che le condizioni recate dalla proposta
di parere dei relatori, che politicamente hanno grande
rilievo, vincolano non solo il Governo, ma la maggioranza di
cui il Governo stesso è espressione. Precisa quindi che
l'adempimento di tali condizioni premetterà l'avvio del
processo di dismissioni, essendo esse rivolte alla
realizzazione di strumenti normativi indispensabili ed
all'adeguamento del mercato finanziario; fa altresì presente
che solo la loro attuazione renderà credibile il processo di
arretramento dello Stato dall'economia. Osserva quindi che la
previsione di una data certa per l'adempimento di tali
condizioni dimostra chiaramente la volontà della maggioranza
di voler proseguire tale processo sicché non è certamente
strumentalizzabile l'apposizione delle predette condizioni da
parte di chi voglia sostenere che essa non intenda realmente
dar corso alle privatizzazioni.
Il deputato Giovanni PELLICANI (gruppo del PDS),
illustrando la proposta di parere presentata dal suo gruppo,
Pag. 42
ricorda che, da molto tempo, il gruppo del PDS guarda con
attenzione ai problemi dell'intervento dello Stato
nell'economia; in questa prospettiva, ad esempio, aveva già
sottolineato la necessità di sopprimere il ministero delle
partecipazioni statali.
Il suo gruppo, nell'ambito di una visione complessiva del
problema del rapporto tra operatore pubblico e operatore
privato in economia, aveva indicato l'esigenza di nuove
modalità di presenza dello Stato nell'economia. D'altro canto,
il sistema delle partecipazioni statali è stato oggetto di un
rilevante processo di degenerazione negli ultimi venti anni ed
ha costituito il pilastro di un inaccettabile sistema di
potere.
Comunque è opinione diffusa che l'economia mista abbia
contribuito in ltalia all'accumulazione di capitale.
Pertanto non si comprende il giudizio formulato dal
deputato Sterpa in merito all'intervento svolto dal deputato
Reichlin, nella seduta del 2 dicembre scorso, ritenuto una
difesa nostalgica e patetica del sistema della partecipazioni
statali. Quell'intervento mirava invece ad evidenziare linee
direttrici ritenute essenziali per una azione pluriennale di
riassetto.
Gli obiettivi indicati nel documento presentato dal
Governo sono vaghi e non chiari, né ricevono la necessaria
precisazione nella proposta di parere presentata dai relatori.
Questa indeterminatezza induce a ritenere che il programma del
Governo sia una sorta di "pre-piano" che richiede successive
integrazioni. L'avere rilevato tale vaghezza non significa
certo che il suo gruppo sia contrario al riassetto delle
imprese pubbliche.
All'indeterminatezza nell'indicazione degli obiettivi si
accompagna la vaghezza nell'indicazione degli strumenti
necessari per conseguirli. Lo stesso ministro Guarino ha
evidenziato l'interrogativo, finora senza risposta, sulla
possibilità che il processo di privatizzazione si svolga a
diritto invariato o meno.
Comunque è urgente che il processo sia avviato, ma con la
dovuta precisione e tempestività. Non vi è infatti una
avversione di principio del suo gruppo alla privatizzazione,
ma le dismissioni, in mancanza di qualsiasi indicazione delle
modalità e dei soggetti ai quali vendere, rischiano di
configurarsi come vere e proprie svendite.
Esprime apprezzamento per il fatto che nel documento del
Governo le dismissioni non sembrano finalizzate all'obiettivo
esclusivo di ripianare il debito pubblico che, invece,
costituI la sollecitazione principale che indusse il governo
ad adottare il decreto-legge n. 333 del 1992. Il problema del
debito pubblico costituisce un vero macigno, il cui peso è
destinato ad aumentare, ma non può essere risolto con le
privatizzazioni.
Sia il documento presentato dal Governo, che la proposta
di parere formulata dai relatori, sono caratterizzati da una
notevole confusione in ordine al disegno di riorganizzazione
della struttura industriale pubblica. Del resto, da entrambi
traspare la divergenza di opinione presente all'interno del
Governo.
Il programma dovrebbe perseguire, attraverso la
riorganizzazione della complessiva struttura industriale e
finanziaria italiana, gli obiettivi di far fronte alla
concorrenza internazionale, di promuovere lo sviluppo
economico, la tutela e la crescita dell'occupazione, nonché di
creare un mercato finanziario più trasparente e quindi più
efficiente.
L'operazione che si sta intraprendendo, muterà per i
prossimi dieci anni, gli equilibri economici e sociali del
Paese. Purtroppo non sembra emergere dal documento del Governo
tale consapevolezza. E' opportuno invece attivare sinergie,
favorire il cambio di mano, trasformando la proprietà
azionaria dello Stato in azionariato diffuso; in tal modo si
andrà verso un decentramento del controllo economico,
burocratico e politico tradizionale.
Non si tratta di ridurre il peso e la funzione degli
interessi collettivi nell'economia, ma di mutare il
tradizionale ruolo di gestore dello Stato in quello di garante
del funzionamento del sistema di mercato e di promotore della
formazione di una nuova classe dirigente in economia.
Purtroppo anche di questo non vi è consapevolezza nel
Pag. 43
documento del governo. Nel programma si prevede che il
processo di privatizzazione si possa concludere in tre o
quattro anni: in realtà esso richiederà tempi molto più
lunghi. E' quindi opportuno che questa previsione sia
corretta.
In definitiva il programma del Governo costituisce un
piano industriale estremamente vago, nel quale dovrebbero
essere determinati con chiarezza gli strumenti che
garantiscono la presenza sul mercato di un maggior numero di
imprese. E' inoltre necessario che siano predisposte regole
certe e stabili per la disciplina del processo di
privatizzazione e per tutte le modifiche legislative ritenute
necessarie. Risultano poi completamente insufficienti le
previsioni dirette alla tutela dei livelli occupazionali,
estremamente importanti di fronte ai realistici pericoli di
deindustrializzazione e di industrializzazione passiva. Il
problema e dell'occupazione deve esser tenuto in adeguata
considerazione, poiché si rischia il prodursi di situazioni
inaccettabili e comunque ingestibili. Quindi sono necessarie
precise disposizioni non solo per quanto riguarda il
potenziamento degli ammortizzatori sociali, ma anche per la
costituzione di un investitore nazionale con un fondo per lo
sviluppo che intervenga nelle aree di crisi, di declino
industriale e di maggior disagio occupazionale.
Occorre quindi disegnare una precisa intelaiatura di
disposizioni, per delineare metodi e garanzie dello sviluppo
di un processo che è destinato a durare diversi anni. Occorre
altresì apprestare tutte le modificazioni dell'ordinamento
giuridico che si rendano necessarie, eventualmente facendo
tesoro dell'esperienza di ordinamenti stranieri, al fine di
rinvigorire il mercato finanziario creando un azionariato
diffuso e delle public companies che costituiscono
istituti finora sconosciuti in Italia.
In mancanza di ciò vi è il timore che il processo si
limiti a poche vendite, degenerando in un meccanismo
scomposto. La proposta di parere presentata dai relatori
prevede che "a partire dalle operazioni già avviate il
processo di privatizzazione e di riordino della presenza
pubblica potrà continuare dai settori assicurativo e
bancario": questo indirizzo rende di fatto completamente
inutili le previsioni contenute nel piano. La proposta di
parere, inoltre, stabilisce il termine del 31 marzo 1993 entro
il quale il Governo dovrà sottoporre alla delibera delle
Camere un documento sul riordino delle partecipazioni
pubbliche e sullo stato delle privatizzazioni: in realtà
questa proposta di parere contiene già un programma,
incontrollabile negli esiti.
Occorre, al fine di potenziare il mercato finanziario,
intervenire nel settore dei fondi pensione. Vi sono posizioni
differenziate all'interno del Governo, in quanto il ministro
Barucci, nel suo intervento, a differenza del Ministro del
lavoro, vi aveva accennato in modo positivo.
E' molto importante in questa fase di avvio del processo
di privatizzazione sottolineare il ruolo delle banche che
svolgono un rilevante funzione di volano. Vi sono poi problemi
di trasparenza che non vanno tralasciati. Dovrebbe essere,
adeguatamente stabilita la separatezza tra il mondo
industriale e quello dell'editoria.
In definitiva è necessario che il Governo assuma la
gestione e la responsabilità dell'operazione di
privatizzazione, avvalendosi, nella sua opera,
dell'amministrazione, della collaborazione dei managers
delle imprese, nonché della consulenza di organi qùali la
CONSOB, la Banca d'Italia e la Commissione per la tutela della
concorrenza, senza ricorrere ad alcun comitato di ministri. E'
preoccupante la previsione contenuta nella proposta di parere
dei relatori secondo la quale il governo deve procedere al
superamento degli attuali consigli di amministrazione anche
con l'inserimento di responsabili operativi dei gruppi e delle
finanziarie: in tal modo, infatti, si produce una confusione
tra controllori e controllati.
Si dovrebbe impegnare il Governo a presentare al
Parlamento, entro e non oltre i 60 giorni, un piano che
contenga adeguate specificazioni in ordine all'assetto del
sistema industriale e alle prospettive di sviluppo delle
imprese interessate al processo di riordino, nonché agli
effetti e alle prospettive dei livelli occupazionali,
Pag. 44
vincolando il Governo a non prendere nel frattempo decisioni
di dismissione che contraddicano tale esigenza. Inoltre il
Governo dovrebbe presentare annualmente insieme al documento
di programmazione economico finanziaria, ai fini della
deliberazione parlamentare, una decisione di consuntivo e di
aggiornamento del piano di riordino.
Il deputato Maurizio GASPARRI (gruppo del MSI-destra
nazionale), illustrando la proposta di parere presentata dal
suo gruppo, fa presente che essa in taluni aspetti coincide
con quella dei relatori, dalla quale, tuttavia si differenzia
per la considerazione di altri profili che in quella vengono
del tutto ignorati.
Dopo aver rammentato che il suo gruppo ritiene necessario
l'avvio del processo di privatizzazione per porre rimedio alle
degenerazioni cui ha dato luogo la presenza pubblica
nell'economia, che si è progressivamente trasformata da
funzione essenziale di regolazione in intervento di
occupazione partitocratica, osserva che occorre chiarire
numerosi aspetti di tale processo.
In primo luogo, ritiene che il processo di privatizzazione
avrebbe dovuto essere avviato successivamente alla
predisposizone dei necessari strumenti normativi accennati nel
programma di riordino e che, a fronte di una situazione
economica assai grave e di un debito pubblico che assorbe il
risparmio per la alta remuneratività dei tassi di interesse
pagati dallo Stato, sembra assai difficoltoso poter reperire
sul mercato le necessarie risorse. Il programma di riordino
presenta Pertanto talune condizioni iniziali di debolezza che
possono fortemente pregiudicare la sua realizzazione.
La proposta dei relatori non prende in considerazione
l'indispensabile partecipazione dei lavoratori e degli utenti
al capitale sociale delle imprese da privatizzare e non
risultano, altresì, chiarite le questioni di fondo, che il suo
gruppo ritiene preliminari e fondamentali, relative ad un
chiaro indirizzo per una nuova politica industriale e alla
soluzione dei problemi occupazionali che senz'altro si
verificheranno in numerose aree di crisi del Paese a causa
delle dismissioni.
Per quanto riguarda il rapporto tra banche ed industrie,
ritiene che occorre prendere atto dei vincoli posti dalla
normativa comunitaria, che, tuttavia, presenta un sostanziale
difetto di legittimità a causa del deficit democratico
delle istituzioni comunitarie; tale rapporto suscita notevoli
preoccupazioni, anche perché la sua degenerazione determinò
originariamente l'intervento dello Stato nell'economia.
Osserva quindi che l'eventuale acquisizione di banche
italiane da parte di capitale straniero, foss'anche
proveniente da paesi comunitari, desta seria preoccupazione,
poiché oggigiorno è diffusa la tendenza a rinchiudersi nella
difesa degli interessi nazionali e, pertanto, le banche
italiane potrebbero essere utilizzate in maniera non conforme
agli interessi del Paese. Bisogna quindi prevedere un
controllo nazionale delle strutture utilizzabili nell'ambito
della concorrenza internazionale.
Soffermendosi sulle questioni relative
all'editoria,osserva che il parere di maggiorenza rimanda ogni
decisione in merito, ad un momento successivo all'approvazione
di una nuova normativa, sicché viene in sostanza rinviata ogni
decisione sulla dismissione di partecipazioni pubbliche che si
risolvono in intrecci partitocratici da terzo mondo. Rammenta
quindi che la citata legge Mammì è vigente e vincolante per
tutti e che i gruppi privati, anche se talvolta solo
formalmente, si sono ad essa adeguati; dopo la trasformazione
degli enti di gestione in società per azioni, delle quali il
tesoro è l'unico azionista, anche lo Stato deve rispettare la
legge ed il parere che le Commissioni sono chiamate ad
esprimere non può certo porsi in contrasto con essa. Dopo aver
ritenuto che tale questione involge anche un profilo di
trasparenza e di economicità, poiché non si capisce il motivo
per cui lo Stato si deve far carico del passivo de "Il
Giorno", che si aggira intorno a 20 miliardi annui, rammenta
che il Garante per l'editoria ha dichiarato presso il Senato
Pag. 45
l'opportunità discutere le partecipazioni dello Stato nel
settore editoriale, sebbene successivamente un Comitato di
saggi, nominato dal Garante stesso e presieduto dal senatore
Lipari, abbia ritenuto la persistenza di tale presenza
conforme a quanto previsto dall'ordinamento.
Dopo aver ritenuto che sarebbe stato più opportuno che a
presiedere il predetto Comitato fosse nominata una persona che
non abbia fatto parte del consiglio di amministrazione della
RAI - pur essendo il senatore Lipari una persona degnissima -
osserva che la regolarizzazione della posizione dello Stato
alla stregua delle disposizioni recate dalla cosiddetta legge
Mammì, costituirebbe un segnale importante dell'arretramento
della presenza pubblica nell'economia.
In conclusione, con riferimento agli strumenti tecnici per
la gestione del piano di privatizzazione, rammenta che,
piuttosto che prevedere nuovi organismi, sarebbe opportuno
attivare il CNEL e sottolinea che il Governo dovrà farsi
carico dei rilevanti problemi occupazionali che saranno
determinati dalle privatizzazioni.
Il deputato Corrado PERABONI (Gruppo della Lega Nord)
ritiene necessario limitare le osservazioni sulle questioni
connesse al piano di riordino delle partecipazioni statali
evitando discussioni di carattere ideologico vertenti sul
ruolo dello Stato nell'economia. La proposta di parere dei
relatori sembra confermare l'incertezza e le contraddizioni
del piano di riordino del Governo; su alcune scelte
fondamentali, sulle quali il Governo aveva manifestato
orientamenti discordanti, ci si attendeva che la maggioranza
assumesse posizioni chiare. La proposta di parere non ha,
invece, sciolto tali questioni, facendo trasparire l'evidente
rischio che non si voglia seriamente andare verso un processo
di privatizzazione. Alcuni settori sono indicati, come quello
energetico e quello assicurativo, ma in modo estremamente
timido; si è fatto premio, in modo eccessivo, sulla
riorganizzazione delle partecipazioni statali, piuttosto che
sulla loro privatizzazione. Vi è il rischio che il rinvio
delle scelte fondamentali al 31 marzo prossimo si tramuti in
un rinvio sine die. Al contrario è necessario che talune
questioni siano approfondite: come quella concernente i
criteri attraverso i quali si opera la valutazione del
patrimonio delle imprese; la definizione di tali criteri è
indispensabile per rispondere all'esigenza di non svendere il
patrimonio pubblico e di contribuire in modo consistente alla
riduzione del debito pubblico. Alcune osservazioni concernenti
le public companies o la tutela delle azioni di
minoranza sono state accolte, mentre sulle questioni della
separazione tra gruppi industriali e settore dell'informazione
è possibile registrare addirittura un irrigidimento rispetto
alla posizione del Governo. Su quest'ultima questione è
necessario, al contrario, andare verso una fuoriuscita dello
Stato dalla proprietà dei mezzi di informazione come segnale
di un'inversione di tendenza rispetto alla politica fin qui
perseguita di distorcere gli interessi pubblici a vantaggio
degli interessi di parte. Sugli aspetti relativi alle
concessioni nel settore dell'energia elettrica occorre
scongiurare il rischio che, se non si procede ad una loro
diversa definizione, si vada ad ostacolare il processo di
privatizzazione delle aziende municipalizzate che è sul punto
di essere avviato; quanto alla collocazione delle azioni
dell'ENEL sul mercato, sarebbe meglio che tale operazione
venisse prospettata sulla base di una riorganizzazione delle
funzioni di produzione, di trasporto e di commercializzazione
dell'energia elettrica svolte dall'ente stesso. Nel settore
assicurativo andrebbe, invece perseguita una politica dl
raggruppamento delle attività in capo all'INA al fine di
costituire un gruppo capace di competere sul mercato.
Le previste forme di controllo dello Stato sulle imprese
considerate strategiche lascia aperta la porta ad una
ingerenza dello Stato sulla gestione, in quanto non viene
definito il contenuto delle azioni speciali. Lo sbocco del
programma di riordino delle partecipazioni statali doveva
vedere la fine del ruolo dello Stato imprenditore a favore
dello Stato regolatore; sembra, però, che la finanziaria
Pag. 46
pubblica di partecipazioni, che richiama in qualche misura le
super holding, possa determinare un'ulteriore
stratificazione dei livelli di governo, che risulta
inconcepibile. Una volta che le partecipazioni pubbliche
saranno riordinate per settori omogenei, tutto deve essere
posto in capo al Ministero del tesoro; deve essere quindi
abolito il Ministero delle partecipazioni statali, senza che
per questo si ravvisi la necessità di creare ulteriori
amministrazioni centrali.
Ricorda quindi che il suo gruppo è favorevole ad una
struttura di gestione del processo di privatizzazione sul
modello delle agenzie indipendenti o delle authorities,
le quali, inglobando le competenze necessarie per il governo
di tali fenomeni, sarebbero in grado di evitare che le
divergenze tra i diversi ministri portino ad una paralisi
della decisione.
Esprime quindi preoccupazioni circa l'effettivo apporto
del processo di privatizzazione alla riduzione del debito
pubblico e sottolinea l'esigenza che venga valutato in modo
adeguato l'impatto occupazionale e sociale di tale processo.
Ribadisce in conclusione il voto contrario del suo gruppo
sulla proposta di parere formulata dai relatori.
Il deputato Angelo MUZIO (gruppo di rifondazione
comunista), dopo aver rilevato che il carattere non
vincolante, ritenuto tale anche dal Presidente Tiraboschi,
delle condizioni contenute nella proposta di parere formulata
dai relatori indica la confusione esistente in seno alla
maggioranza, osserva che vi è una precisa scelta ideologica da
parte della maggioranza e di parte delle opposizioni in ordine
alle privatizzazioni; essa si concreta in un giudizio a
priori positivo dell'iniziativa privata, cui corrisponde un
giudizio negativo dell'iniziativa statale in economia. Questa
affermazione ideologica nasconde la vera posta in palio,
costituita da una vera rivoluzione destinata a cambiare i
rapporti di forza al vertice del potere economico. Si tratta
di una rivoluzione della stessa portata di quella che avvenne
con la nazionalizzaione dell'energia negli anni 60. Si è ora
alla resa incondizionata dello Stato imprenditore, ad una vera
a propria Caporetto. Si sta per procedere ad una
ristrutturazione profonda del capitalismo del nostro paese che
costerà più di duecentomila posti di lavoro.
Ricorda la vicenda di cui fu protagonista Enrico Cuccia,
artefice della ristrutturazione dei grandi gruppi del
capitalismo privato negli anni 70, resa possibile dal
trasferimento massiccio di risorse pubbliche, dei contribuenti
e delle casse dello Stato, alle poche grandi famiglie del
capitalismo italiano.
Il processo di privatizzazione non può esser condotto con
la sola intenzione di fare cassa. Infatti, in tutta Europa le
privatizzazioni effettuate non solo sono avvenute in un lungo
arco di tempo, ma nessuna ha avuto un ritorno di cassa. Del
resto, considerata la mole del debito pubblico italiano, i
proventi delle privatizzazioni potrebbero costituire solo un
granello di sabbia nel deserto.
Si rischia di innestare un processo come mero automatismo,
come cartina di tornasole, in ossequio agli adempimenti
imposti dal trattato di Maastricht, che, del resto, è messo in
discussione in vari Paesi europei.
La maggioranza si trova ora nella necessità di compiere
scelte che siano sorrette dagli interessi finanziari dei
gruppi dominanti, trascurando che esse determineranno una
svolta complessa. Non si intende difendere i boiardi e
l'assistenzialismo di Stato, ma bisogna capire quali linee
strategiche potranno nascere dal documento del Governo. In
realtà, quest'ultimo appare completamente carente sotto il
profilo una qualsivoglia linea di sviluppo dell'economia e ciò
è tanto più grave se si considerano la fragilità e le
contraddizioni dell'apparato industriale italiano.
Il momento odierno costituisce un importante occasione per
riflettere su nuovi modelli di sviluppo e per delineare nuovi
indirizzi.
L'articolo 43 della Costituzione contiene disposizioni
atte ad indirizzare l'intervento dello Stato nell'economia per
garantire lo sviluppo dei settori industriali, del Mezzogiorno
Pag. 47
e delle zone arretrate del Paese, al fine di soddisfare i
bisogni della collettività. Invece nel programma in esame e
nella proposta di parere presentata dai relatori non si
tengono assolutamente presenti queste esigenze. Ad esempio,
per quanto riguarda il settore elettrico, al momento della
nazionalizzazione furono perseguiti gli obiettivi di una
idonea programmazione energetica sul territorio nazionale e
della soddisfazione del fabbisogno energetico generale. Ora
invece il documento del Governo sembra trascurare questi
obiettivi e il punto 15 della proposta di parere predisposta
dai relatori appare assolutamente insoddisfacente. In altri
termini, manca la preoccupazione di assicurare l'utilità
generale garantendo un sano sviluppo economico e sociale.
Dal programma presentato dal Governo non risulta
l'indicazione di fini precisi né dei mezzi necessari per
raggiungerli, né, infine, alcuna soluzione in merito
all'interrogativo circa la volontà di procedere a diritto
invariato o meno. Inoltre i criteri indicati nel piano per lo
svolgimento del processo di privatizzazione appaiono a volte
illogici e contraddittori. Anche qui vale il paragone con
quanto fu fatto all'epoca della nazionalizzazione dell'energia
elettrica: la legge n. 1643 del 1962 mostrava chiaramente gli
intendimenti e gli scopi che si intendeva raggiungere e i
mezzi di cui ci si voleva avvalere. L'articolo 1 enunciava, a
fini di utilità generale, che l'Enel, vale a dire lo Stato,
avrebbe provveduto alla utilizzazione coordinata ed al
potenziamento degli impianti, avendo come scopo quello di
assicurare costi minimi di gestione perseguendo l'obiettivo di
un equilibrato sviluppo economico del Paese. Vi era cioè
sotteso il concetto di utilità della collettività, considerata
non come somma di individui e di gruppi, ma come complesso
unitario.
La scelta ideologica che sorregge il piano presentato dal
Governo non tiene assolutamento conto del fatto che lo Stato
si è dovuto sobbarcare degli oneri fallimentari
dell'iniziativa privata e che l'operatore pubblico ha
funzionato da polmone per l'iniziativa privata, sostenendo la
domanda e creando mercato.
Ricorda il disastro economico creato dai decreti varati
dal Governo per la liquidazione dell'EFIM con danno delle
banche, dell'indotto industriale e degli stessi interessi
dell'Efim e dei suoi dipendenti. Le ripetute denunce della
Corte dei conti relative alla gestione dell'EFIM hanno
evidenziato quali risorse, provenienti dai contribuenti, i
grandi gruppi privati abbiano utilizzato e continuino ad
utilizzare senza controlli.
Dal documento del Governo manca una indicazione dei
settori nei quali la presenza dello Stato ha carattere
strategico; la SME ha un peso ed un valore che possono essere
considerati strategici più delle imprese che producono
armamento. Un conto poi è svendere come si sta facendo con i
monopoli dello Stato che vengono consegnati a grandi interessi
di mercato, come insegnano le vecchie logiche
dell'economia.
Lo stesso Raoul Gardini afferma che la privatizzazioni
costituiranno una svendita. Occorrerebbe invece chiedere ai
privati di rischiare nello Stato come lo Stato finora ha fatto
nel privato.
La proposta di parere presentata dai relatori prevede che
il processo di privatizzazione possa continuare dai settori
bancario ed assicurativo: ma cedere le banche significa
trascurare la loro natura di importanti strumenti di liquidità
finanziaria per il riassetto; inoltre, la previsione di un
intreccio tra banca ed industria è foriera di disastri
economici.
Il patrimonio immobiliare delle imprese pubbliche è in
grandissima parte sottostimato; ciò comporterà un regalo al
momento della dismissione delle imprese i privati ed una
devastazione del tessuto industriale ed economico per la
nazione. La sottostima dei patrimoni è evidente nel caso
dell'INA, per il quale si parla di 3.000 miliardi, trascurando
che una stima effettiva conduce ai 15.000 miliardi. In realtà
solo mirate smobilizzazioni, con adeguata valorizzazione del
patrimonio, consentirebbero vere ricapitalizzazioni delle
imprese pubbliche.
Occorrerebbe chiarezza e precisione in ordine alle
procedure da seguire, nonché regole certe che garantiscano la
Pag. 48
trasparenza e che indichino le condizioni, i costi e i prezzi
delle dismissioni. In poche parole, occorre un nuovo progetto
senza quelle ideologia di fondo cui sopra si è fatto cenno e
senza la difesa di boiardi vecchi o nuovi.
Occorre la costituzione di una commissione di esperti di
chiara fama che verifichi la congruità delle operazioni per le
garanzie che debbono essere prestate per la cessione.
Il processo di privatizzazione così come impostato,
trascurando la crescente internazionalizzazione delle
economie, pone il rischio di colonizzazione dell'economia
italiana attraverso la proprietà straniera dei pacchetti
azionari. Altri Paesi, per difendersi da questo rischio, hanno
stabilito riserve, hanno costituito diritti su posizioni
strategiche, hanno apprestato misure difensive, hanno previsto
filiere di servizio e hanno considerato alcuni settori
strategici stabilendo precisi tetti alle quote azionarie.
In definitiva, appare la totale assenza delle condizioni
tecniche e giuridiche per assicurare un vero processo di
riordino, in cui l'intervento pubblico garantisca gli
interessi nazionali di solidarietà. Ciò non significa
rimpiangere l'assistenzialismo elettorale o mafioso dei
corrotti e dei carrozzoni pubblici.
Occorre la creazione di un ministero "dell'economia"; al
momento si può individuare nel ministero del bilancio e della
programmazione il centro che possa garantire il razionale
svolgimento del processo.
Il piano risulta carente sotto il profilo della tutela
dell'occupazione, la cui importanza risulta evidente se si
tiene presente, a fronte dell'attuale situazione di
recessione, l'inadeguatezza degli strumenti disponibili,
l'esigenza di una riforma degli ammortizzatori sociali
esistenti e la necessità di prevedere strumenti contigui ai
meccanismi indicati dal piano che permettano di affrontare una
ingente disoccupazione già da tempo annunciata; occorre una
gestione della mobilità effettiva, creando prospettive certe
sui problemi di formazione e riconversione professionale; si
dovrebbe altresI prevedere una "cassa per il lavoro". Le
questioni dell'occupazione debbono essere tenute in adeguata
considerazione, altrimenti si rischiano soluzioni simili a
quelle predisposte recentemente per la crisi aziendale della
Olivetti e della Maserati, di carattere improvvisato e non
risolutivo in quanto non inserite in un progetto di politica
industriale che tenga anche conto del divario di sviluppo
economico esistente tra il Nord e d il Sud.
L'operazione che si sta per intraprendere costituisce una
importante occasione per affrontare la questione meridionale,
razionalizzandola e voltando pagina.
Il deputato Massimo SCALIA (gruppo dei Verdi) ritiene che
la proposta di parere presentata dai relatori non recepisca i
punti qualificanti del dibattito svoltosi presso le
Commissioni e, ove fosse approvata, è suscettibile di
determinare gravi conseguenze sull'intero processo di
privatizzazione.
Dopo aver rammentato che, nel suo intervento in sede di
discussione aveva paragonato il programma di riordino al
passaggio dal sistema tolemaico a quello copernicano, osserva
che, evidentemente, è ancora assai forte la voce degli
aristotelici, come conferma la lettura della proposta di
parere presentata dai relatori, che non consente l'avvio della
riduzione della presenza pubblica nell'economia.
Ritiene infatti che prevedere la posticipazione dell'avvio
delle privatizzazioni a data successiva a quella
dell'approvazione di una nuova normativa per gli assetti
societari, rende assai difficoltoso iniziare realmente il
processo di privatizzazione e rende eterna l'immobilità del
sistema delle partecipazioni statali come luogo di potere dei
partiti. Talune delle giuste motivazioni che hanno ispirato la
proposta di parere dei relatori sono state interpretate in
modo tale da procrastinare sine die l'inizio del
processo di privatizzazione.
Illustrando la proposta di parere presentata dal suo
gruppo, fa presente che essa consente non solo di verificare
la reale volontà del Governo di dar corso alle privatizzazioni
Pag. 49
ma anche di fornire ai mercati finanziari quei necessari
segnali per la credibilità finanziaria del sistema Italia.
Il suo gruppo, considerato che il programma di riordino è
evasivo in ordine alle aziende che si vogliono privatizzare,
propone che il Governo presenti un nuovo programma recante
dettagliato elenco delle aziende da porre in vendita entro 30
giorni, partendo dalle banche e dalle società di assicurazione
ed escludendo le aziende di carattere strategico; le relative
alinazioni dovranno consentire entrate per un ammontare non
inferiore al 10 per cento di quello del valore delle aziende
stesse. Il Governo dovrebbe successivamente, ed entro 4 mesi,
presentare un ulteriore e più generale programma di riordino
con precisi impegni in ordine agli obiettivi di politica
industriale che intende perseguire.
Dopo aver ritenuto che occorre porre grande attenzione
anche ai compratori poiché, ad esempio, l'alienazione della
SME al gruppo Berlusconi innescherebbe un circuito tale da
determinare l'intervento dell'Autorità garante, per la
concorrenza e il mercato, e rammentato che la legge n. 9 del
1991, ha eliminato i vincoli all'autoproduzione di energia,
osserva che il problema della produzione e distribuzione di
energia elettrica sul territorio nazionale è complicato dalla
configurazione del territorio stesso e, pertanto, occorre una
adeguata riflessione in ordine alle scelte da assumere per il
comparto energetico.
Contestualmente al piano generale di riordino il Governo
dovrebbe presentare i necessari provvedimenti diretti
principalmente a farsi carico dei problemi occupazionali,
della riforma del diritto societario, delle nuove regole del
regime tariffario e del risanamento ambientale delle aree
nelle quali le aziende a partecipazione statale da dismettere
abbiano determinato inquinamento, degrado, danni all'ambiente
e al territorio.
In conclusione, ritiene che la proposta di parere
presentata dai relatori manchi di coraggio e ponga in serio
dubbio la volontà della maggioranza di procedere
effettivamente alle privatizzazioni; in considerazione del
particolare rilievo del parere che le Commissioni sono
chiamate ad esprimere preannuncia quindi che il suo gruppo
intende chiedere che si proceda alla votazione del parere
mediante appello nominale.
Il deputato Hubert CORSI (gruppo della Dc), relatore per
la X Commissione, dopo aver ringraziato i deputati intervenuti
nel corso del dibattito, che hanno recato prezioso apporto, fa
presente che la proposta di parere presentata dai relatori
intende costituire un meditato indirizzo politico che
rappresenta in qualche modo anche una vera e propria
"frustata" al Governo a procedere prontamente sul sentiero
delle privatizzazioni, considerando che occorre creare un
terreno favorevole, un humus fertilizzato da
indicazioni, quali il completamento della riforma dei mercati
finanziari per favorire la destinazione del risparmio delle
famiglie verso il capitale di rischio, i fondi di pensione, i
fondi chiusi, le azioni di risparmio ed altro, che nel parere
sono vere e proprie condizioni, insieme alla ricerca di regole
ed incentivi per sviluppare, diffondere e garantire
l'azionariato popolare, per la migliore e più trasparente
allocazione sul mercato delle partecipazioni pubbliche.
La data del 31 marzo prevista per l'adeguamento di tali
condizioni, quindi, non rappresenta un rinvio, come qualcuno
ha inteso maliziosamente commentare, ma un termine
indispensabile per creare il terreno favorevole ad un
risultato ottimale. Una data che, considerata la complessità e
la delicatezza dei temi in esame, richiede una fortissima
accelerazione degli impegni del Governo e del Parlamento. Per
questo motivo si tratta di una vera e propria "frustata" e di
una sfida per un impegno affinché in tempi brevissimi e certi
si realizzino le condizioni per dare segnali credibili e non
equivoci al mercato interno ed internazionale sulla volontà di
ridurre effettivamente la presenza dello Stato nell'economia,
Pag. 50
affidando ad esso un prevalente ruolo regolatore da cui
discende conseguentemente la necessità di una più ampia
strumentazione per assicurare la tutela degli interessi
pubblici e la garanzia dei consumatori indipendentemente
dall'assetto proprietario dell'impresa.
Non poteva inoltre mancare una adeguata segnalazione degli
effetti del processo di privatizzazione sull'occupazione e dei
provvedimenti conseguenti di difesa che dovranno essere
effettuati specialmente nelle aree svantaggiate.
Occorre cogliere questa straordinaria occasione, segno
peraltro della profondità della crisi che reclama una stagione
intensa di complessivo rinnovamento dell'assetto istituzionale
ed economico del Paese, per esaltare l'efficienza complessiva
del sistema produttivo nazionale, determinando nuovi equilibri
tra capitale pubblico e privato che pongano le basi per la
creazione di gruppi imprenditoriali competitivi.
In questo quadro di atteso cambiamento è essenziale che il
parere che le Commissioni sono chiamate ad esprimere
sottolinei l'esigenza di superare un apparato istituzionale
dell'economia ormai inadeguato, anzi obsoleto. Dalle ceneri
del Ministero delle Partecipazioni statali e dal carbone del
Ministero dell'industria dovrà sorgere un Ministero della
produzione o dell'economia, il nome poco importa, che,
coordinando tutte le istanze che provengono dal mondo della
produzione, oggi frammentate e disperse in una miriade di
Ministeri e di enti, possa modernamente svolgere un ruolo
centrale di coordinamento, propulsione, servizio e sintesi
degli indirizzi più efficaci a sostegno del nostro sistema
produttivo ed a garanzia dei consumatori.
Senza un diverso e più efficace coordinamento dei
molteplici strumenti che influenzano la politica industriale
italiana, oggi costruita pezzo dopo pezzo da una pluralità di
Ministeri e indirizzata e controllata da una pluralità di
Commissioni parlamentari il nostro apparato istituzionale
dell'economia rishierebbe di costituire un vincolo oggettivo,
una vischiosità lontana dalle esigenze di una economia di
mercato che misura ormai azioni e reazioni in tempo reale.
Il deputato Giuliano CELLINI (gruppo del PSI) dichiara a
nome del suo gruppo, il voto favorevole sulla proposta di
parere predisposta dai relatori, esprimendo consenso
all'impostazione e alle linee di indirizzo in esso
formulate.
Il programma di riordino delle partecipazioni statali
delinea un passaggio importante, un momento destinato a
determinare una svolta nelle caratteristiche del sistema
produttivo e, più in generale, dell'assetto economico del
nostro paese.
Occorre dare atto al Governo della determinazione e
dell'impegno profusi nell'affrontare questa complessa e
delicata materia, con l'obiettivo di stimolare e favorire
l'ammodernamento e il potenziamento della nostra struttura
produttiva e del sistema Italia nel suo complesso, dinanzi
alle sfide e alle sollecitazioni derivanti dall'integrazione
comunitaria e dell'accresciuta competitività
internazionale.
Il programma presentato ha evidenziato, com'è stato
sottolineato dai relatori, una struttura aperta e
problematica, lasciando, con riguardo ad alcune opzioni di
fondo, degli spazi forse eccessivi di approssimazione, in
larga parte chiariti e definiti, attraverso il dibattito
parlamentare e la replica del Governo, nella proposta di
parere predisposta dai relatori.
Due esigenze di fondo debbono costituire criteri guida del
processo di riassetto delle partecipazioni statali: in primo
luogo, quella di evitare che la strada delle privatizzazioni
passi attraverso quella che, con linguaggio colorito, ma
eloquente, è stata definita una sorta di liquidazione e di
svendita; in secondo luogo, quella di puntare al mantenimento
della presenza dello stato nei settori di interesse pubblico e
strategico, anche se non necessariamente in posizione di
controllo.
Un punto cruciale è quello di una tempestiva e incisiva
riforma dei mercati finanziari.
Inoltre, acquista una valenza vitale la necessità di
predisporre tutte le iniziative idonee a consentire e
Pag. 51
realizzare un più consistente orientamento del risparmio verso
le imprese.
La possibilità di attingere capitali sui mercati
finanziari rappresenta una delle chiavi di volta per uno
sviluppo lineare, solido e per un compiuto dispiegamento del
potenziale innovativo del piano di privatizzazione e
costituisce anche il terreno su cui si misura l'opportunità
che il piano offre in direzione della promozione e
dell'affermazione di spazi più ampi di democrazia
industriale.
In questo senso, va sostenuta l'indicazione in favore
della realizzazione di public companies, così come va
sollecitata e favorita la partecipazione dei dipendenti al
capitale di rischio delle imprese.
Pertanto, occorre apprestare con rapidità le modifiche al
nostro ordinamento giuridico in materia di società, vanno
promossi gli investitori istituzionali (fondi pensione; fondi
chiusi), vanno create le norme per la utilizzazione delle
golden share.
Particolarmente delicato appare il problema del rapporto
tra banca e industria. Il principio della separatezza tra
questi due soggetti deve essere rivisto e ripensato. E' una
scelta che va fatta con riguardo alla partecipazione
finanziaria, permettendo così alle banche di svolgere un ruolo
importante nella ricapitalizzazione delle imprese (sulla base
anche di quanto previsto dalla seconda direttiva bancaria CEE)
favorendo in tal modo le condizioni anche per una loro
riorganizzazione. Tutto ciò infatti costituisce un necessario
presupposto.
Accanto ed in via preliminare rispetto al ruolo da
asegnare alle banche vi è i problema di definire le linee di
fondo del riordino del sistema bancario pubblico; a questo
proposito la direzione di marcia indicata nella proposta di
parere pare utile ed opportuna.
Sempre con riguardo al principio della separatezza,
osserva che va condivisa e sostenuta l'indicazione esplicitata
nel programma del Governo di affermare tale principio con
legge con riferimento alla separatezza tra capitale
industriale e finanziario e proprietà dei mezzi di
informazione.
Uno dei temi ricorrenti che ha accompagnato il dibattito e
che ha trovato riscontro anche nelle posizioni manifestate dal
Governo è costituito dalla preoccupazione e dai timori sul
versante occupazionale.
Il rischio di processi di deindustrializzazione con
conseguenti riflessi negativi sui livelli occupazionali è
purtroppo concreto; a ciò si aggiungono i contraccolpi di
egual segno derivanti dai recuperi di efficienza che
necessariamente saranno perseguiti nell'ambito delle imprese.
In questo modo rischia di piovere sul bagnato. La situazione
dell'occupazione nel nostro paese sta vivendo un momento
particolarmente critico e vi sono aree in cui il tasso di
disoccupazione sta facendo registrare dimensioni
drammatiche.
I dati usciti in questi giorni riferiti all'anno in corso
confermano un quadro di grande difficoltà e la tendenza ad un
progressivo aggravamento della situazione con riguardo
soprattutto ad alcuni settori e ad alcune aree
territoriali.
Indubbiamente, c'è un fondo di verità nelle affermazioni
di chi dichiara che non saranno le privatizzazioni in quanto
tali a creare la disoccupazione nel nostro paese, ma è
altrettanto vero che questo processo di riorganizzazione della
presenza pubblica e di apertura ai privati determina con molta
probabilità un'accelerazione e un'acutizzazione del
problema.
Per questo è indispensabile uno sforzo contestuale in
favore di una politica attiva di sostegno e di promozione
dell'occupazione.
Nel programma il Governo indica, a questo proposito, la
possibilità di utilizzare una serie di strumenti già noti e da
tempo in uso per stimolare la reindustrializzazione e il
riassorbimento di manodopera; forse sulla base dell'esperienza
che se ne è fatta è bene che vengano introdotti dei correttivi
e nuove forme di intervento che assicurino un'azione più
efficace ed incisiva.
Con riferimento alla questione della definizione
dell'organo che dovrà gestire il processo di privatizzazione,
rileva che la proposta di parere predisposta dai relatori, che
Pag. 52
assegna al comitato composto dai ministri del tesoro, del
bilancio , dell'industria, con il coordinamento del Presidente
del Consiglio tale funzione, soddisfa l'esigenza di assicurare
la collegialità del Governo nella fase di gestione delle
privatizzazioni.
Sottolinea l'esigenza di garantire che il Parlamento sia
posto in condizione di esercitare la funzione di controllo
durante l'attuazione dell'intera fase di privatizzazione.
Per quanto attiene alla realizzazione del piano e
all'attuazione degli indirizzi del Governo, ritiene giusto
perseguire l'obiettivo di una piena responsabilizzazione del
management delle imprese ed in questa ottica rileva che
non appare congrua l'ipotesi di fare ricorso al consorzio di
rilievo.
Infine, ritiene condivisibile la previsione contenuta nel
programma di riordino circa la costituzione di una
"Finanziaria pubblica di partecipazione".
In conclusione, per le valutazioni esposte, ribadisce il
voto favorevole del gruppo socialista sulla proposta di parere
formulata dai relatori.
Il deputato Egidio STERPA (gruppo Liberale), parlando per
dichiarazione di voto, dopo aver rammentato che il suo gruppo
ha presentato una proposta di parere, fa presente che taluni
aspetti della proposta presentata dai relatori sono
apprezzabili mentre su altri essa suscita perplessità se non,
addirittura, contrarietà; ritiene che talune delle condizioni
previste costituiscano un alibi per rinviare il processo di
privatizzazione, come quella di definire, prima del suo avvio,
indirizzi e modalità dei nuovi assetti societari.
Osserva quindi che la condizione di cui al punto 2 attenua
la volontà del Governo di dismettere le banche dell'IRI e che
quella di cui al punto 3 presenta il rischio di rendere i
boiardi di Stato padroni delle società.
Rammenta quindi che il suo gruppo ha proposto di riservare
maggiore attenzione alla tutela delle minoranze azionarie
nelle società dove lo Stato non ha la totalità del capitale
sociale.
Soffermandosi sulla condizione di cui al punto 10 ritiene
che essa, in sostanza, non permetterà l'assunzione di alcuna
decisione sulla discussione delle partecipazioni detenute nel
settore dell'informazione e che quella di cui al punto 15
andrebbe meglio precisata nel senso di una liberalizzazione
delle concessioni nella prospettiva che prevede la
privatizzazione delle aziende municipalizzate.
La condizione di cui al punto 16, inoltre, può condurre
alla determinazione di tariffe non in linea con il mercato e
quella di cui al punto 18 non precisa adeguatamente che i
proventi delle privatizzazioni dovranno principalmente essere
destinati alla riduzione del debito pubblico.
La proposta di parere presentata dal suo gruppo offre
soluzioni alternative maggiormente conformi con la volontà
dichiarata dal Governo di procedere alle privatizazioni.
In conclusione, dichiara che il suo gruppo non intende
esprimersi favorevolmente sulla proposta di parere presentata
dai relatori e, non volendo tuttavia votare contro di essa, si
asterrà.
Il deputato Antonio CIAMPAGLIA (gruppo del PSDI)
sottolinea che, rispetto alla rilevanza delle questioni in
esame, il parere presenta i segni della fretta e di una certa
carenza di approfondimento delle tematiche connesse al piano
di riordino delle privatizzazioni. Il suo gruppo tuttavia,
voterà a favore con convinzione e in coerenza agli
orientamenti della maggioranza. Restano tuttavia perplessità
sugli aspetti riguardanti gli organismi dirigenziali delle
imprese e degli enti pubblici che dovrebbero essere, al
contrario, oggetto prioritario del riordino. Per il resto il
parere recepisce molte delle questioni sollevate dal suo
gruppo; esso lascia peraltro aperto il confronto su taluni
nodi critici che dovranno essere chiariti entro il 31 marzo
prossimo. e sui quali si potrà ulteriormente intervenire.
Il deputato Raffaele VALENSISE (gruppo del MSI-destra
nazionale) dichiara, a nome del suo gruppo, il voto contrario
sulla proposta di parere presentata dai relatori. Essa infatti
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appare assolutamente carente di quegli elementi fondamentali
per conferire significato ad un processo di privatizzazione e
per costituirne un'idonea base di partenza per lo sviluppo e
il successo dell'operazione. L'intero sistema nel quale il
processo di privatizzazione si dovrebbe collocare non presenta
i necessari strumenti per valorizzare le risorse esistenti,
per la presenza di diseconomie esterne quali l'assenza di
idonee infrastrutture. Inoltre, il documento presentato dal
governo non contiene alcuna valutazione realistica delle
risorse finanziarie che si possono ottenere dal processo di
privatizzazione. Vi è anche una assoluta mancanza di
previsioni in ordine agli strumenti da attivare per far fronte
ai problemi dell'occupazione. Fra l'altro, un efficace
processo di privatizzazione non dovrebbe produrre costi
sociali se non in via transitoria. Dissente dalla previsione
contenuta nel punto 18 della proposta di parere formulata dai
relatori che prevede che "si dovrà procedere ad una
valutazione dei costi sociali derivanti dalle dismissioni con
una articolazione per aree regionali e provvedere nelle aree
più svantaggiate del paese con il concorso delle regioni più
interessate alla definizione di politiche attive del lavoro e
di programmi di sviluppo produttivo e di
reindustrializzazione". Questa previsione infatti sembra
trasferire l'onere di occuparsi dei costi sociali derivanti
dalla privatizzazione alle regioni. In definitiva, constata
l'inidoneità del documento presentato dal Governo e della
proposta di parere formulata dai relatori a delineare il
processo di privatizzazione come percorso in grado di esaltare
le possibilità di sviluppo economico del Paese.
Il deputato Alfredo REICHLIN (gruppo del PDS), parlando
per dichiarazione di voto, sottolinea che il dibattito
svoltosi presso le Commissioni, al quale il suo gruppo ha
offerto un contributo non secondario, è stato assai proficuo
ed ha consentito di mettere a fuoco il vero tema sotteso al
programma di riordino, che non è quello di una semplice
adesione o rifiuto delle privatizzazioni ma quello, assai più
profondo e significativo, di un ripensamento delle modalità
dell'intervento dello Stato nell'economia, necessario a causa
della fine di un ciclo storico di economia mista.
La questione di fondo è quella di definire un indirizzo di
lungo periodo non solo per la politica economica ma anche per
quella istituzionale, poiché ogni giorno restare fermi
significa in realtà regredire.
Nel corso del dibattito sono emerse più posizioni, la
prima delle quali postula semplicemente un rapido ritiro delle
presenza pubblica nell'economia sull'incalzare del ciclo
economico avverso e, in questa logica, le alienazioni
costituiscono l'obiettivo principale; un'altra posizione
emersa, rappresentata dal ministro dell'industria,
sostanzialmente propone di ripetere in altri termini
l'operazione di ristrutturazione effettuata negli anni
trenta.
Il suo gruppo ha compiuto, invece, una scelta
profondamente innovativa, che vuole appoggiare le nuove
modalità dell'intervento pubblico nell'economia sul fulcro
della trasformazione della proprietà statale in proprietà
diffusa determinando un allargamento sociale, economico ed
istituzionale del quadro di riferimento. Dopo aver rammentato
che il risparmio diffuso consente la realizzazione di tale
prospettiva, osserva che sarebbe preliminarmente
indispensabile la predisposizione dei necessari strumenti
normativi.
Ritiene quindi che il parere presentato dai relatori sia
il frutto di una faticosa composizione di posizioni
contrastanti all'interno della maggioranza e che ciò
costituisce la sua principale debolezza, potendo essere
interpretato in una pluralità di modi.
Per tale ragione, il suo gruppo, pur apprezzando numerosi
aspetti della proposta di parere presenta dai relatori, voterà
contro di essa.
Il deputato Gianni RAVAGLIA (gruppo Repubblicano) fa
presente che dalle risposte alle questioni sollevate dal suo
gruppo, circa il fatto che le condizioni poste nel parere
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proposto dai relatori di fatto vincolano la realizzazione del
piano di riordino delle partecipazioni statali ad inziative
parlamentari che difficilmente troveranno esito positivo entro
i tempi previsti, emerge da parte della maggioranza una scarsa
volontà a muoversi verso un processo di privatizzazione serio.
La cultura di cui è intrisa la proposta di parere dei relatori
è di natura pubblicistica e assistenziale e non tende verso
una cultura industriale moderna; cioè, non si intende
utilizzare il processo di privatizzazione per rilanciare una
politica industriale e per togliere la manomorta dei partiti
sulle partecipazioni statali. Il parere presenta poi un vero e
proprio ricatto nei confronti del gruppo liberale, cioè di un
gruppo facente parte della maggioranza che sostiene il
Governo, che aveva fatto della separazione tra industria e
stampa una bandiera, riducendo tale questione ad un
compromesso che finge di ignorare che una normativa in materia
già esiste. Il suo gruppo ha apprezzato in modo positivo il
primo documento presentato dal ministro del tesoro al
Consiglio dei ministri, che se fosse stato presentato alle
Camere nella sua versione originaria avrebbe ricevuto il voto
favorevole del suo gruppo. Il piano che invece è uscito dal
Consiglio dei ministri non può ricevere il voto favorevole del
gruppo repubblicano, il quale pertanto, a maggior ragione, non
può esprimere un voto favorevole sulla proposta di parere
formulata dai relatori che vincola ulteriormente tale piano.
Rammaricandosi per il fatto che il gruppo liberale non abbia
preso una posizione di contrarietà sul piano di riordino delle
partecipazioni statali in modo conseguenziale a quanto
prospettato nello schema di parere proposto, ribadisce il voto
contrario sulla proposta di parere dei relatori e invita le
Commissioni a confrontarsi con i contenuti del parere proposto
dal suo gruppo.
Il deputato Michele VISCARDI (gruppo della DC), dopo aver
espresso preliminarmente apprezzamento per l'eccellente lavoro
svolto dai relatori e dai presidenti delle tre Commissioni
riunite, dichiara l'adesione convinta del suo gruppo allo
schema di parere predisposto dai relatori. Il voto favorevole
corrisponde alla costatazione che tale schema fornisce una
adeguata risposta alle questioni poste dal suo gruppo in
relazione ai tempi, ai modi e agli strumenti del processo di
riordino delle imprese pubbliche. Esprime rammarico per la
dichiarazione di astensione del gruppo liberale motivata da
questioni, a suo avviso, del tutto marginali, se riferite alla
rilevanza delle decisioni all'esame del Parlamento che
riguardano un complesso processo di risanamento e di
ammodernamento tale da influenzare i futuri assetti economici
e sociali del Paese.
Esprime piena soddisfazione per le garanzie disposte,anche
per il futuro,per le prrogative di indirizzo e di controllo
spettanti al Parlamento sull'attuazione del piano di riordino
delle imprese pubbliche.
Le preoccupazioni espresse nel corso del dibattito per i
problemi occupazionali hanno trovato sufficienti indicazioni
nel punto contenuto nella proposta di parere dei relatori che
prevede iniziative per la determinazione di politiche attive
del lavoro e di un programma di sviluppo e di
reindustrializzazione.
Con riferimento alle perplessità esposte dal deputato
Valensise, chiarisce che il concorso delle Regioni alla
definizione di politiche attive del lavoro e di programmi di
sviluppo produttivo e di reindustrializzazione non costituisce
altro che un loro coinvolgimento in interventi esterni nelle
aree regionali di crisi industriale.
Con riferimento, infine, alla preoccupazione del deputato
Reichlin in ordine ad una insufficiente attenzione alla
esigenza prioritaria di favorire un azionariato diffuso
osserva che essa appare ingiustificata alla luce delle
previsioni contenute nella proposta di parere dei relatori.
Quanto all'esigenza di una miglior regolamentazione del
rapporto dei gruppi finanziari-industriali con i mezzi
dell'informazione, esprime soddisfazione per le indicazioni
contenute nel parere che ritiene corrispondenti alle
aspettative di una informazione sempre più indipendente.
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Il Presidente Agostino MARIANETTI avverte che sarà posta
in votazione la proposta di parere formulata dai relatori,
avvertendo che la sua approvazione comporterà la preclusione
delle altre proposte di parere.
Il deputato Massimo SCALIA (gruppo dei Verdi) chiede che
si proceda alla votazione per appello nominale.
Il Presidente Agostino MARIANETTI constata che la
richiesta del deputato Scalia risulta appoggiata dal
prescritto numero di deputati. Pone quindi in votazione per
appello nominale la proposta di parere dei relatori.
Si procede alla votazione.
Il Presidente Agostino MARIANETTI comunica il risultato
della votazione:
Presenti 110
Votanti 105
Astenuti 5
Maggioranza 53
Hanno votato si: 61
Hanno votato no: 44
(Le Commissioni approvano).
Hanno votato sì: Aliverti, Angelini Piero Mario (in
sostituzione di Iannuzzi), Antoci, Astori, Bianco Gerardo (in
sostituzione di Tabacci per la X Commissione), Biasutti,
Borgia, Borsano, Bottini (in sostituzione di Salerno), Breda,
Cancian, Carta Clemente, Castellotti, Cellini, Ciampaglia,
Cimmino (in sostituzione di De Gennaro), Coloni, Corrao,
Corsi, Costa Silvia (in sostituzione di Sbardella), Ferrari
Francesco (in sostituzione di Cirino Pomicino), Ferrari Wilmo,
Ferrauto, Fincato, Fortunato, Frasson (in sostituzione di
Varriale), Garesio, Grippo, Gualco, Iodice, Lombardo,
Manfredi, Mannino, Margutti (in sostituzione di Patria per la
X Commissione), Marianetti, Marzo, Meleleo (in sostituzione di
Sanese per la X Commissione), Mengoli (in sostituzione di
Foti), Moioli, Napoli, Nenna D'Antonio, Nicolosi, Nonne,
Pagano, patria, Perani (in sostituzione di Bertoli), Pinza,
Riggio, Roich, Rosini, Rotiroti, Russo lvo (in sostituzione di
D'Acquisto), Sanese, Santuz (in sostituzione di Maira),
Stornello, Tabacci, Tarabini, Torchio, Viscardi, Zarro, Zoppi
(in sostituzione di Sangalli).
Hanno votato no:
Arrighini, Bergonzi, Campatelli, Castagnetti Guglielmo,
Castagnola, Cellai, Conti (in sostituzione di Parigi),
Costantini, Crucianelli, De Benetti, Di Prisco (in
sostituzione di Vozza), Dolino (in sostituzione di Carcarino),
Farassino, Fredda (in sostituzione di D'Alema), Gasparri,
Giuliari, Gnutti, Grassi Ennio, Guerra, Larizza (in
sostituzione di Sartori Lanciotti), Latronico, Lo Porto (in
sostituzione di Pasetto), Mantovani Silvio, Marino, Massano,
Matteja, Modigliani, Muzio, Ongaro, Ostinelli, Parlato,
Pellicani, Peraboni, Pioli, Prevosto, Ravaglia, Reichlin,
Scalia, Solaroli, Soriero, Strada, Turci, Valensise,
Vannoni.
Si sono astenuti:
Baccarini, Dalla Via, Marcucci, Scarfagna, Sterpa (in
sostituzione di Patuelli).
La seduta termina alle 18,20.
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