| Onorevoli Colleghi! -- L'Italia non ha nessuna legge che
regolamenti la produzione, il commercio e l'uso dei
clorofluorocarburi (CFC) e delle altre sostanze chimiche che
distruggono lo strato di ozono e che contribuiscono al
surriscaldamento del nostro pianeta. Inoltre, nel nostro
Paese, vige il segreto industriale su tutta la materia, per
cui non solo l'opinione pubblica, ma neanche il Parlamento può
verificare effettivamente la quantità delle sostanze dannose
che viene prodotta ogni anno nel nostro Paese.
L'Associazione ambientalista internazionale Greenpeace
stima che nel 1991, in
Italia, sono state prodotte circa 32.000 tonnellate di CFC e
22.000 di HCFC.
Mentre la Germania cesserà la produzione dei CFC entro la
fine del 1993, l'Italia segue passivamente le scadenze decise
dalla CEE, cioè l'arresto della produzione dei CFC entro il
1997.
Ogni anno di produzione in più ci costa cinquant'anni di
eccessiva concentrazione di cloro nell'atmosfera, e da qui al
2000, secondo gli accordi internazionali, sarà consentito di
immettere nell'atmosfera altri 7 milioni di tonnellate di CFC
(la produzione dal 1930 ad oggi ammonta a 17 milioni di
tonnellate).
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Milioni di persone soffriranno gli effetti della
distruzione dell'ozono: secondo una recente stima dell'Unep
(il Programma ONU per l'ambiente) la perdita di ozono causerà
un aumento di 300.000 casi di tumori alla pelle e 1.500.000 di
casi di cataratta ogni anno.
Fare a meno dei CFC è possibile.
Greenpeace ha presentato nei giorni scorsi un modello
di frigorifero studiato e realizzato dal Politecnico del South
Bank a Londra che utilizza come gas refrigerante 29 grammi di
gas propano al posto dei CFC 12, usati solitamente per i
frigoriferi.
Lo scienziato che ha scoperto nel 1985 il buco nell'ozono
in Antartide, Joseph Farman, ha avvertito che
l'assottigliamento dello strato d'ozono in Europa potrebbe
raggiungere nel 2000 il 30 per cento.
Nel corso della X legislatura sono state presentate 4
proposte di legge dai deputati Rutelli (novembre 1987), Strada
(maggio 1989), D'Addario (novembre 1989) e Matulli (febbraio
1990) che non sono mai state nemmeno dibattute dalla
Commissione Ambiente della Camera dei deputati, alla quale
sono state assegnate.
Noi riteniamo ormai improcrastinabile che anche il
Parlamento italiano arrivi ad emanare una legge su questa
materia e che anzi questo sia uno dei primi temi che veda
impegnate le Commissioni parlamentari competenti. Noi crediamo
possibile (e le firme della presente proposta di legge stanno
lì a testimoniarlo) che esista una maggioranza e una volontà
politica molto ampia in grado di sostenere e raggiungere
questo obiettivo.
Questa relazione introduttiva alla proposta di legge vuole
essere, al contempo, fuori dai soliti rituali, occasione per
fare il punto sul problema "buco dell'ozono" e materiale
scientifico di approfondimento indispensabile per una seria
analisi del problema stesso. A questo proposito utilissimo è
stato (e speriamo continui molto a lungo anche per il futuro)
il lavoro di documentazione e ricerca svolto da Greenpeace,
a cui va il nostro ringraziamento.
1. L'ozono cos'è e dove si trova.
Tradizionalmente il sole è fonte di luce, di vita; nello
scorrere del tempo ha permesso che il nostro pianeta
diventasse una splendida sfera azzurra.
La luce e le radiazioni invisibili all'occhio umano hanno
scaldato la terra, provocato reazioni chimiche, innescato i
processi che hanno portato alla evoluzione di animali e
piante, al mondo che conosciamo. Ma la luce è soltanto una
delle forme attraverso le quali l'energia prodotta dal sole si
diffonde nello spazio e giunge anche sulla terra.
Oltre alla luce percepibile all'occhio umano, il sole
emette anche i raggi infrarossi, i raggi ultravioletti, i
raggi gamma, i raggi X, le onde radio, i neutrini e le
particelle elettricamente cariche.
Non tutte queste radiazioni giungono sulla terra, il campo
magnetico terrestre ne deflette gran parte e l'atmosfera
filtra questo flusso schermando soprattutto i raggi
ultravioletti e lasciando passare soltanto la luce visibile e
le onde radio.
L'ozono, un gas instabile di colore azzurro, si trova
diffuso tra i 15 ed i 25 chilometri di altitudine, concentrato
in quella parte di atmosfera terrestre chiamata
stratosfera.
Solo un effimero strato di ozono di 3 millimetri ci difende
dalla parte più pericolosa delle radiazioni solari.
E' la stessa luce solare che lo produce naturalmente,
grazie a reazioni fotochimiche con radiazioni che dissociano
l'ossigeno molecolare in due atomi liberi; quando uno di
questi atomi si lega con una molecola di ossigeno inalterata
si forma una molecola instabile costituita da tre atomi di
ossigeno, l'ozono.
L'energia assorbita da queste reazioni viene restituita
come calore all'atmosfera contribuendo così in maniera
significativa a determinare il profilo delle temperature, che
al di sopra dello strato di ozono subisce un riscaldamento.
La distribuzione dell'ozono varia anche in relazione
all'attività solare, alle stagioni e alla sua tendenza a
reagire con molte sostanze presenti nell'atmosfera.
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Queste sostanze derivano dall'emissione di fumi
industriali, dalle esplosioni nucleari, dalla semplice
combustione per riscaldamento o per incendi delle foreste, dai
gas di combustione degli aerei a reazione e, soprattutto,
dalla produzione ed uso dei clorofluorocarburi (CFC) e delle
altre sostanze chimiche contenenti il cloro, come il
metilcloroformio ed il tetracloruro di carbonio.
2. La produzione mondiale dei CFC (CFC 11 + CFC 12) (in
tonnellate accumulate dal 1930).
1930: 100.000;
1940: 200.000;
1950: 400.000;
1960: 1.000.000;
1970: 4.000.000;
1980: 10.000.000;
1990: 16.000.000;
2000: 24.000.000 (stima sulla base degli accordi dalla
conferenza di Londra).
Chi sono i produttori di CFC.
CEE: 550.000 milioni di tonnellate, pari al 39,9 per
cento;
USA: 520.000 milioni di tonnellate, pari al 37,7 per
cento;
Giappone: 170.000 milioni di tonnellate, pari al 12,3 per
cento;
Est Europa: 100.000 milioni di tonnellate, pari al 7,2
per cento;
Cina e Paesi in via di sviluppo: 40.000 milioni di
tonnellate, pari al 2,9 per cento.
3. Dove si utilizzano i CFC.
CFC 11:
Schiume espanse 55 per cento;
Aerosol 31 per cento;
Refrigerazione 7 per cento;
Solventi 7 per cento.
CFC 113-114-115:
Solventi 75 per cento;
Schiume espanse 10 per cento;
Refrigerazione 10 per cento;
Aerosol 5 per cento.
CFC 12:
Refrigerazione 50 per cento;
Aerosol 29 per cento;
Schiume espanse 15 per cento;
Altri 6 per cento.
Il metilcloroformio ed il tetracloruro di carbonio sono
utilizzati essenzialmente per i solventi delle apparecchiature
elettroniche.
4. Gli effetti dei CFC sulla vita del pianeta e sulla
salute umana.
I raggi ultravioletti causano una serie di alterazioni sui
sistemi ecologici acquatici, sulle piante e sull'uomo.
La melanina ha lo scopo di proteggere la pelle umana dai
raggi UV ma, in presenza di un loro forte aumento, non riesce
ad impedire la formazione di cellule cancerogene. La
diminuzione dell'1 per cento dello strato d'ozono porta ad un
incremento del 4 per cento dei casi di cancro.
Le proiezioni fornite dall'EPA (l'Agenzia statunitense per
la protezione ambientale) sono contenute in quanto considerano
un progressivo assottigliamento dello strato di ozono minore
di quello già riscontrato negli ultimi anni.
Questi dati prevedono 200.000 morti per cancro tra gli
americani che nasceranno entro il 2075. Oltre ai tumori alla
pelle, l'aumento dei raggi UV provoca con più facilità
disturbi genetici, nutrizionali ed oculari, soprattutto alla
cataratta: 2 milioni di casi tra gli americani che nasceranno
nei prossimi 100 anni.
L'UNEP lo scorso febbraio ha confermato la previsione di un
aumento di oltre 300.000 casi di tumori alla pelle, 150.000
casi di cecità e 1.500.000 casi di cataratta ogni anno in
tutto il mondo.
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Nelle popolazioni marine viene diminuita la fecondità e la
crescita, con aumenti di infezioni e tumori cutanei per le
specie che passano molto tempo al sole come foche e leoni
marini.
Il fitoplancton, unica risorsa di cibo per larve di
numerose specie di pesci, in presenza di una diminuzione di
ozono del 25 per cento, si ridurrà del 35 per cento. Per
alcune specie di molluschi, una riduzione dell'ozono pari al
10 per cento farebbe aumentare del 18 per cento il numero
delle larve anormali.
Nelle piante sono state osservate riduzioni di crescita,
diminuzione dell'area delle foglie e minore resistenza ai
parassiti ed agli attacchi degli insetti.
5. Il legame tra CFC e ozono.
La presenza di freon nell'atmosfera fu ipotizzata per la
prima volta nel 1971 da James Lovelock.
Nel 1974 Sherwood Rowland e Mario Molina, dell'Università
di California ad Irvine, per primi avanzarono l'ipotesi che i
clorofluorocarburi prodotti industrialmente potessero avere
effetti distruttivi sull'ozono.
La loro ipotesi, basata su misure di laboratorio, era che
tali composti, inerti a bassa quota, una volta trasportati a
quote stratosferiche potevano essere scissi nei loro
componenti elementari dall'azione della radiazione
ultravioletta.
Nel 1978 viene lanciato il satellite Nimbus 7, che
realizza per la prima volta una mappatura totale dello strato
d'ozono rivelando una diminuzione globale del 3 per cento.
Qualche anno dopo la NASA coordina un esperimento con un
costo vicino ai 10 milioni di dollari, che conferma
l'esistenza di una forte smagliatura nello strato d'ozono
antartico, rilevando che a certe quote il 95 per cento di esso
era scomparso.
Nella stessa zona l'ossido di cloro era presente in
concentrazioni 1.000 volte superiori a quelle del suolo,
confermando così l'ipotesi che l'ozono venisse distrutto da
queste molecole.
6. I primi ed unilaterali provvedimenti per la protezione
dello strato di ozono e la scoperta del buco
sull'Antartide.
Già dal 1976 alcuni Paesi (Germania e poi Svezia)
cominciano a limitare l'uso dei CFC negli spray.
Nel 1978 è la volta degli USA, e negli anni successivi
anche Olanda, Norvegia, Canada, Belgio, Portogallo e Danimarca
prenderanno provvedimenti limitativi nella produzione e nel
consumo dei CFC 11 e 12.
Nel 1985 Joe Farman del British Antarctic Survey denunciò
una riduzione del 40 per cento dello strato d'ozono
sull'Antartide.
La rilevazione avvenne usando attrezzature che risalivano
agli anni venti e da un'indagine successiva e più meticolosa
dagli archivi computerizzati emerse che l'anno prima il buco
d'ozono era più vasto degli Stati Uniti.
7. Il protocollo di Montreal.
A seguito di forti mobilitazioni dell'opinione pubblica e
all'impegno delle forze ambientaliste di tutto il mondo oltre
50 nazioni hanno siglato nel 1985 la Convenzione di Vienna e
nel 1987 il Protocollo di Montreal.
L'accordo di Montreal, firmato da alcuni dei principali
consumatori di CFC, gli USA (30 per cento del totale), il
Giappone (12 per cento) e i Paesi della CEE (20 per cento),
prevedeva una riduzione del 50 per cento della produzione e
dei consumi dei CFC entro il 1999.
L' ex Unione Sovietica e i Paesi dell'Est (15 per
cento), chiesero ulteriori ricerche ed approfondimenti del
fenomeno ed i paesi del terzo mondo (15 per cento), guidati da
Cina, India e Brasile, si dichiararono disposti ad accettare
il passaggio a tecnologie sostitutive purché i Paesi
industrializzati fossero disposti ad elargire i necessari
aiuti finanziari, ribadendo sostanzialmente la stessa
posizione già assunta sul problema delle foreste tropicali.
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All'accordo venne attribuito un grande valore politico: per
la prima volta, in un consesso internazionale, venivano
ufficialmente banditi dei prodotti chimici dannosi
all'atmosfera ed alla salute pubblica.
Dopo pochi mesi, però, molti dei Governi firmatari, oltre a
scienziati ed ambientalisti, lo dichiararono insufficiente ed
inadeguato alla dimensione ed alla gravità che il problema
andava assumendo.
8. La conferenza di Londra.
Ciò nonostante ci sono voluti tre anni prima che l'UNEP
riuscisse ad organizzare un nuovo incontro per la sua
revisione.
Si è svolto nel giugno del 1990 a Londra, ma l'industria ha
ancora una volta vinto, sconfiggendo scienza, ambiente e buon
senso.
Le decisioni prese, infatti, prevedono queste scadenze:
RIDUZIONE PERCENTUALE NEL TEMPO
... (omissis) ...
Greenpeace ha stimato che saranno prodotti altri 7
milioni di tonnellate di CFC: quasi il 50 per cento in più di
quelli finora prodotti. Va ricordato, inoltre, che dei 17
milioni di tonnellate di CFC prodotti sino ad oggi, 7 milioni
si sono già liberati nell'atmosfera ed altri 10 sono presenti
nei prodotti ancora non utilizzati.
Lo scontro più duro, alla conferenza, si è avuto
sull'istituzione di un fondo per la riconversione tecnologica
e l'utilizzo dei futuri sostituti dei CFC per i Paesi in via
di sviluppo.
Scontro che, vista l'esiguità della cifra stanziata, 240
milioni di dollari, verteva sul precedente che si andava a
costituire, anche in vista della convenzione internazionale
sui cambiamenti climatici e sul riconoscimento del principio
"chi inquina, paga".
Gli Stati Uniti, principali oppositori, rimasti isolati,
hanno dovuto cedere ed accettare la costituzione del fondo,
partecipandovi per il 25 per cento del finanziamento.
Ma cosa sono 60 milioni di dollari a fronte dei 2 miliardi
e mezzo (sempre di dollari), guadagno della sola ICI (una
delle grandi imprese produttrici di CFC) nell'ultimo anno?
L'accordo di Londra è stato quindi sottoscritto da 53 dei
98 Paesi partecipanti al meeting, ma molti dei Paesi in
via di sviluppo, Cina ed India in testa, essendo
sostanzialmente soddisfatti degli accordi presi, assicurarono
la loro adesione e la loro ratifica.
9. Cosa può fare l'Italia.
Come già in occasione di altri importanti appuntamenti
internazionali, le avanzate posizioni di partenza del nostro
Paese nel corso della conferenza di Londra del giugno 1990 si
sono perse per strada.
La CEE, infatti, aveva proposto l'eliminazione totale dei
CFC entro il 1997.
Quando l'accordo veniva, invece, siglato con scadenza al
2000, Australia, Canada, Nuova Zelanda e altri 11 Paesi
europei (compresi Germania e Gran Bretagna) dichiararono
congiuntamente che intendevano, comunque, ravvicinare la
scadenza al 1997. Come mai non c'era l'Italia tra questi
Paesi? Che fine fece l'avanguardismo di Ruffolo? Il nostro
Ministro dell'ambiente, che definì la conferenza "una presa di
coscienza davvero positiva", perse un'altra occasione per far
sì che l'Italia assumesse nella comunità internazionale un
ruolo di traino per la salvaguardia ambientale.
D'altronde sarebbe stato incoerente, visto che l'Italia non
solo non ha nessuna
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legge che regolamenta la produzione, il commercio e l'uso dei
CFC e delle altre sostanze chimiche che distruggono l'ozono,
ma ancora fino a due anni fa il 40 per cento delle oltre 300
milioni di bombolette spray contenevano CFC.
E', invece, estremamente importante ed urgente una legge
nazionale che elimini subito gli alcani completamente
alogenati (CFC, halon, eccetera), il tetracloruro di
carbonio e il metilcloroformio dal settore produttivo e da
quello distributivo; una legge che regolamenti le pericolose
sostanze sostitutive (HCFC, HBFC, NFC) e che, inoltre,
istituisca un rigoroso controllo per il recupero, lo
stoccaggio delle scorte, dei materiali e dei macchinari
contenenti le sostanze nocive.
L'approvazione di una simile legge nel nostro paese avrebbe
un duplice significato e darebbe un segno tangibile che
intervenire è possibile, sfidando quell'assurda legge per cui
sulla bilancia dei governi il piatto degli interessi
industriali pesa sempre molto di più di quello della tutela
della nostra salute e della salvaguardia del nostro pianeta.
Soprattutto in un paese che ha problemi minori di quelli che
hanno, ad esempio, gli Stati Uniti con i loro 160 milioni di
frigoriferi, 80 milioni di impianti di aria condizionata negli
edifici e ben 130 milioni nelle automobili.
10. Le prossime scadenze.
Il meeting tra i firmatari del Protocollo di Montreal
per la protezione dello strato di ozono, che si è svolto a
Nairobi dal 19 al 21 giugno 1991, non ha portato a nessun
accordo per anticipare la scadenza del divieto di produzione
dei CFC e delle altre sostanze, contenenti cloro, dannose
all'ozono. Vani tentativi per anticipare la scadenza al 1997,
così come ha deciso la Comunità europea approvando un apposito
regolamento nel marzo scorso, sono stati fatti soprattutto da
alcuni Paesi dell'EFTA (Svezia, Finlandia, Austria, Svizzera,
Norvegia ed Islanda) e dalla Germania che, da parte sua, due
mesi fa ha deciso di cessare la produzione dei CFC e di tutte
le sostanze alogenate entro il 1993.
In vista del prossimo appuntamento per la revisione del
Protocollo di Montreal, fissato per il 23-25 novembre a
Copenaghen, si è svolta a Ginevra, dal 6 al 15 aprile, la
riunione preparatoria dei tecnici.
Nel loro rapporto conclusivo si legge che i tempi previsti
dal Protocollo di Montreal per l'eliminazione delle sostanze
che "uccidono" lo strato d'ozono devono essere accelerati. Se
si vuole evitare il peggio i CFC e gli altri gas responsabili
di questo fenomeno dovranno essere totalmente eliminati già
entro il primo gennaio 1996.
"Non c'è più tempo da perdere - ha dichiarato il direttore
esecutivo dell'Unep, Mustafa Tolba - se non vogliamo pagare
cara la nostra follia in termini di malati di cancro e di casi
di cecità, l'eliminazione dei CFC deve e può essere
accelerata".
Ma alla prossima riunione di Copenaghen si arriva in una
situazione paradossale: le decisioni prese a Londra, infatti,
entreranno in vigore solo il 10 agosto, cioè tre mesi dopo
aver raggiunto le necessarie ratifiche da parte di almeno 20
Paesi: Canada, Cina, Danimarca, Finlandia, Germania, Irlanda,
Giappone, Maldive, Messico, Olanda, Norvegia, Svezia, Regno
Unito, USA, Francia, Italia, Russia, Cile, Nuova Zelanda e Sud
Africa.
Secondo un recente rapporto del segretariato del Protocollo
di Montreal sull'uso dei CFC e dei gas alogenati, alcuni Paesi
hanno addirittura aumentato la propria produzione dalla firma
del Protocollo: ad esempio, i 12 Paesi della Comunità europea
hanno aumentato l'uso dei gas alogenati del 27 per cento tra
il 1986 e il 1989 e la Thailandia ha incrementato di oltre il
300 per cento i consumi di CFC tra il 1986 ed il 1991: da
2.500 a 8.400 tonnellate.
Il fondo monetario di 240 milioni di dollari per la
riconversione tecnologica a favore dei Paesi in via di
sviluppo è ancora in via di costituzione, visto che la maggior
parte dei Paesi finanziatori è morosa.
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11. Le decisioni e la politica della CEE.
La Comunità economica europea dopo aver deciso, nel 1980,
il congelamento della capacità di produzione e la progressiva
riduzione degli usi per gli spray, due anni dopo elabora
dei "codici di buona condotta" per le schiume, i solventi ed i
prodotti refrigeranti.
Nel marzo 1991 la CEE approva un regolamento (n. 594/91)
che prevede l'eliminazione totale dei CFC e del tetracloruro
di carbonio rispettivamente entro giugno e dicembre 1997 e
degli halons entro il 2000.
A seguito delle recenti rivelazioni della NASA il
Commissario CEE per l'Ambiente, Carlo Ripa di Meana, ha
proposto nel febbraio scorso ad Estoril, in Portogallo,
durante una riunione informale dei Ministri dell'ambiente
della CEE, una serie di emendamenti per anticipare le scadenze
fissate nel regolamento dello scorso anno.
Il Parlamento europeo, il 12 marzo 1992, accoglieva queste
indicazioni ed approvava una risoluzione in cui invitava la
Comunità a cessare la produzione ed il consumo dei CFC, degli
halons, del tetracloruro di carbonio e del tricloroetano
entro il 31 dicembre 1993.
Per la prima volta in un atto istituzionale veniva chiesta
anche la regolamentazione delle sostanze sostitutive, anche se
con una formula ambigua: "...gli HCFC e gli HBFC
(idrobromofluorocarburi) debbono essere gradualmente sospesi
al più tardi entro il 31 dicembre 1995".
Il successivo Consiglio dei Ministri dell'ambiente della
CEE (23 marzo), oltre a non prendere in considerazione la
proposta di regolamentazione dei pericolosi sostituti, dava
mandato alla Commissione di formulare la revisione del
regolamento del marzo 1991, allungando nuovamente i termini di
due anni (su richiesta del Governo inglese, appoggiata da
Spagna, Irlanda e Grecia).
Se queste scadenze saranno confermate dal Parlamento
europeo al momento del dibattito sulla revisione del
regolamento 1991 (che probabilmente si terrà nel prossimo
maggio), le industrie europee saranno libere di immettere
nell'atmosfera ancora oltre un milione di tonnellate di
CFC.
Con il 40 per cento della produzione mondiale i Paesi della
Comunità sono i maggiori produttori delle sostanze dannose
allo strato di ozono.
12. Il buco anche sull'Artico.
Le previsioni, fatte già alcuni anni fa, di alcuni
scienziati per cui il buco sull'Antartico, non potendo
diventare più profondo, si sarebbe presto allargato sopra
altre parti del pianeta, paiono fondate. Una riduzione sul
Polo Artico era già stata denunciata nel corso della
conferenza di Londra (giugno 1990) ed all'inizio del 1991 il
Governo inglese rese nota una ricerca che documentava un
assottigliamento dell'8 per cento dello strato di ozono su
parte dell'Europa.
In questi primi mesi del 1992, da più parti, si sono avute
gravi conferme.
I risultati di due gruppi di ricerca, l'AASE II (Airbone
Arctic Stratospheric Expedition) della NASA e l'EASOE
(European Arctic Stratospheric Ozone Experiment) della
Comunità economica europea), resi noti contemporaneamente nel
febbraio 1992, hanno denunciato "che si sta aprendo un buco
nell'ozono anche sull'emisfero nord", documentando, inoltre,
l'indebolimento della capacità di recupero da parte
dell'atmosfera dopo i periodi di esaurimento dell'ozono.
Questo aumenta l'urgenza per azioni immediate volte alla
messa al bando dei CFC e delle altre sostanze chimiche che
causano la distruzione dello strato di ozono.
Lo studio AASE II ha rilevato le più alte concentrazioni di
monossido di cloro (1,5 parti per miliardo per volume), mai
registrate nelle due regioni polari.
La gravità della situazione, secondo il dottor Jim Anderson
dell'Università di Harvard, responsabile della ricerca
statunitense, è da collocarsi a livello otto su una scala di
gravità da uno a dieci.
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Inoltre, l'11 gennaio 1992 il satellite UARS (Upper
Atmosphere Research Satellite) della NASA ha misurato livelli
eccezionalmente alti di monossido di cloro, comparabili a
quelli riscontrati all'interno del buco dell'ozono in
Antartide, sulla Scandinavia e sulle regione eurasiatica del
nord, incluse le città di Mosca, Amsterdam e Londra.
Poi è stata la volta di rilevazioni da parte di osservatori
europei, che hanno diffuso dati preoccupanti soprattutto
sull'Europa orientale.
L'osservatorio dell'Istituto idrometeorologico boemo di
Hradec Kralove ha riscontrato il 28 gennaio in Cecoslovacchia
valori di ozono inferiori del 44 per cento rispetto alla media
calcolata negli ultimi 30 anni.
La riduzione è stata resa nota dal direttore dell'Istituto
Karel Vanicek, che ha precisato che "per la prima volta il
calo pronunciato non può spiegarsi con le oscillazioni
naturali a cui è soggetto lo strato di ozono".
Anche in Polonia si è registrato un affievolimento dello
strato di ozono.
L'Accademia polacca delle scienze ha reso noto che il
livello dell'ozono stabile per tutto il 1991 è diminuito
improvvisamente del 10 per cento in dicembre. In gennaio vi è
stata un'ulteriore caduta del 20 per cento, il più basso tasso
mai toccato da quando sono cominciate le rilevazioni in
Polonia. Lo scienziato Joseph Farman ha avvertito che
l'assottigliamento dello strato di ozono in Europa potrebbe
raggiungere nel 2000 il 30 per cento.
13. Ausimont e le altre industrie produttrici di CFC del
mondo.
Esistono circa 40 industrie, situate in 25 Paesi del mondo,
che producono i CFC e le altre sostanze che distruggono lo
strato di ozono.
Ben 5 delle prime dieci, compresa la maggiore, la DuPont,
sono statunitensi.
In Italia esiste un'unica azienda produttrice di queste
sostanze chimiche: è l'Ausimont (ex-Montefluos) del gruppo
Ferruzzi-Montedison.
E' tra le prime dieci nel mondo, la quarta in Europa, dopo
l'inglese ICI, la francese Atochem e la tedesca Hoechst.
L'Ausimont ha due impianti produttivi: a Spinetta Marengo,
in provincia di Alessandria, dove si producono i CFC 11 e 12,
ed a Porto Marghera, a Venezia, dove è cominciata la
produzione delle sostanze sostitutive, gli
idroclorofluorocarburi (HCFC) e gli idrofluorocarburi (HFC),
nel giro di due anni saranno in funzione impianti con capacità
di 30.000 tonnellate all'anno.
L'Ausimont, dopo aver dichiarato "che ha investito ingenti
energie e risorse (60 miliardi di lire, n.d.r.) per la
messa a punto di tutti questi prodotti che costituiscono oggi
le soluzioni più avanzate in assoluto per la salvaguardia
dell'atmosfera" (8 febbraio 1992), in occasione dell'informale
Consiglio dei ministri dell'ambiente della CEE di Estoril (22
febbraio 1992) ha diffuso un documento in cui si legge: "Con
un incremento significativo delle risorse dedicate sia alla
messa a punto della tecnologia di produzione che allo sviluppo
delle applicazioni e con una accettazione di aumento del grado
di rischio del programma, Ausimont ritiene di poter
contribuire alla fattibilità di phaseout dei CFC al 1^
gennaio 1996".
Inoltre, nel documento del 12 marzo 1992 si legge: "Appare
molto difficile e comunque da verificare in termini di
fattibilità la proposta di riduzione dell'85 per cento delle
produzioni al 1^ gennaio 1994".
14. Il segreto industriale e l'impossibilità del controllo
dei dati.
Le industrie ed i Paesi che riducono lo strato d'ozono sono
autorizzati a farlo in assoluta segretezza.
Anche se alcune istituzioni ed organizzazioni
internazionali stanno cominciando a rilasciarli, i dati
nazionali sulla produzione, l' import e l' export
sono segreti nella maggior parte dei Paesi.
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Più della metà dei Paesi che avrebbero dovuto presentare
all'ONU i dati sulla propria produzione delle sostanze
incriminate non lo hanno fatto o hanno presentato dati
incompleti: tra questi l'Italia, e altri tre Paesi membri
della CEE. Al nostro Ministero dell'ambiente affermano di non
esserne mai entrati in possesso.
La CEE, con il regolamento approvato nel marzo 1991, impone
"a ciascun produttore, importatore e/o esportatore di
comunicare alla Commissione, entro il 31 marzo di ogni anno, i
dati concernenti la produzione, i quantitativi riciclati,
quelli distrutti, le scorte, eccetera".
Peccato che per stessa ammissione del Commissario CEE per
l'ambiente, Carlo Ripa di Meana, la Commissione non ha nessuno
strumento per il controllo e la verifica di questi dati.
15. Le sostanze sostitutive.
Fare a meno dei CFC è possibile.
Da anni esistono bombolette spray prive di CFC e
proprio nei giorni scorsi Greenpeace ha presentato a
Londra un modello di frigorifero, studiato e realizzato dal
Politecnico londinese del South Bank, che non contiene CFC.
Il frigorifero utilizza come gas refrigerante 29 grammi di
gas propano al posto di 90 grammi di CFC 12 (il gas usato
solitamente per i frigoriferi).
Una delle grandi lacune del Protocollo di Montreal è stata
l'esclusione delle sostanze sostitutive dei CFC.
I due sostituti principali sui quali le industrie stanno
sviluppando le loro ricerche sono gli HCFC
(Idroclorofluorocarburi) e gli HFC (Idrofluorocarburi), meno
dannosi dei CFC allo strato di ozono, ma che in compenso, se
occuperanno metà del mercato dei CFC e poi cresceranno del 2,5
per cento ogni anno, saranno responsabili del 10 per cento del
riscaldamento globale nel prossimo secolo.
Non sono solo le associazioni ambientaliste a lanciare
moniti sulla loro pericolosità.
Il segretario generale dell'Organizzazione mondiale
meteorologica Obasi, ha recentemente dichiarato che "dobbiamo
non solo accelerare la messa al bando di tutte le sostanze già
incriminate, ma anche limitare l'impiego di alcuni sostituti,
come il bromo ed il bromometano, allungando così la lista dei
prodotti chimici regolamentati".
In un documento congiunto diffuso il 16 aprile dall'ENEA e
dall'ICF (Industria componenti frigoriferi) si legge: "Inoltre
i fluidi frigorigeni sostitutivi (HFC 134ha e HCFC 123)
presentano problematiche di tossicità ed hanno un impatto
ambientale presente e futuro non soltanto legato
all'impoverimento della fascia di ozono ma anche
all'incremento dell'effetto serra".
Il Commissario europeo per l'ambiente, Ripa di Meana, ha
sottolineato più volte nei primi mesi di quest'anno
l'importanza di una regolamentazione degli HCFC.
Nonostante ciò le industrie hanno continuato a svolgere un
ruolo pressante anche durante le ultime conferenze
internazionali.
La loro lobby ha preteso assicurazioni che fino al
2040 non verranno decise riduzioni sulle sostanze
sostitutive.
Come già visto (punto 11) il tentativo del Parlamento
europeo per allargare la regolamentazione anche a queste
sostanze è sinora fallito.
La questione posta all'attenzione dalle sostanze dannose
per l'ozono è considerata sintomatica di altre possibili
questioni che potranno proporsi in futuro, cosicché
l'occasione viene colta per affermare princìpi generali,
meccanismi di allarme preventivo, obblighi e incentivi.
Viene affermato il principio per il quale sono da reputarsi
in contrasto con l'utilità sociale nonché con la sicurezza
umana le attività economiche che, per le tecnologie produttive
utilizzate ovvero per le conseguenze deleterie connesse
all'uso dei beni prodotti e immessi sul mercato, arrecano
danni gravi e irreparabili a beni ambientali alla cui
conservazione è interessata l'intera collettività
internazionale.
La proposta di legge (articolo 3) prevede la istituzione
della Commissione di valutazione dell'impatto ambientale dei
prodotti industriali lesivi dell'ozonosfera (COVAIPO).
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A tale Commissione, da istituire presso il Ministero
dell'ambiente, è affidato il compito di redigere appositi
rapporti che individuino i prodotti e le tecnologie
industriali nocivi all'ambiente o alla salute dell'uomo, di
cui si rende indispensabile la eliminazione o la
regolamentazione.
Sono componenti della COVAIPO esperti in valutazioni di
impatto ambientale e in sicurezza delle produzioni
industriali; di tecnologie industriali e di materiali e
prodotti industriali; di problemi della salubrità ambientale;
nei settori della ricerca scientifica e tecnologica.
E' compito della COVAIPO promuovere annualmente una
Conferenza nazionale per la sicurezza ambientale dei prodotti
e delle tecnologie industriali cui partecipino esperti e
rappresentanti delle associazioni industriali e di quelle dei
consumatori, università e centri di ricerca.
Spetta altresì alla COVAIPO il compito di definire gli
indirizzi programmatici per la utilizzazione annuale di fondi
destinati all'innovazione tecnologica e alla riconversione di
produzioni dannose per l'ambiente.
Ai componenti della COVAIPO nell'esercizio delle proprie
funzioni è riconosciuto il potere di accesso presso tutti gli
stabilimenti industriali siti nel nostro territorio e di
controllo della loro sicurezza ambientale.
Sono reputati prodotti lesivi dell'ozonosfera e dannosi per
l'ambiente quelli per i quali si renda necessario l'impiego
delle sostanze individuate nella tabella A allegata alla
presente proposta di legge: si tratta di sostanze nei
confronti delle quali il giudizio negativo è ormai unanime sul
piano mondiale e rispetto alle quali è già possibile
prefigurare dei sostituti adeguati.
Per i prodotti che contengono tali sostanze è previsto un
severo regime di controllo sulle fasi di produzione,
circolazione e smaltimento.
Spetta alla COVAIPO individuare altresì altri prodotti
dannosi, a partire dai prodotti che facciano uso delle
sostanze individuate nella tabella B, prese in considerazione
anche dal Comitato tecnicoscientifico dell'Unep, allegata alla
presente proposta di legge.
E' prevista, tra l'altro, l'istituzione, nel bilancio del
Ministero dell'università e della ricerca scientifica e
tecnologica, di un apposito fondo per la ricerca finalizzata
alla riconversione di produzioni dannose per l'ambiente.
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