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Testi integrali degli Atti Parlamentari della XII Legislatura

Documento


1021
DDL0066-0002
Progetto di legge Camera n. 66 - testo presentato - (DDL12-66)
(suddiviso in 12 Unità Documento)
Unità Documento n.2 (che inizia a pag.1 dello stampato)
...C66. TESTIPDL
...C66.
RELAZIONE
ZZDDL ZZDDLC ZZNONAV ZZDDLC66 ZZ12 ZZRL ZZPR
    Onorevoli Colleghi! -- La presente proposta di legge nasce
  dall'iniziativa, sviluppata dal 1989, dell'Assemblea nazionale
  permanente per la sostituzione della legge 2 aprile 1968, n.
  482, e per il diritto al lavoro, organismo interassociativo
  che raccoglie l'adesione di una decina di associazioni
  nazionali e regionali per la sostituzione della legge n. 482
  del 1968 e l'integrazione lavorativa dei disabili.
  L'Assemblea, ritenendo che un elemento essenziale per la
  modifica dell'impostazione culturale, tecnica e sociale che
  riguarda i cittadini disabili sia quello di consentire una
  corretta valutazione delle loro possibilità e capacità, ha
  elaborato un testo di legge che, come sottoscrittore della
  presente proposta di legge, ho deciso di presentare in
  Parlamento.
    L'attuale legislazione riguardante gli accertamenti di
  invalidità, sia legata ad un risarcimento (invalidità sul
  lavoro, di
  guerra, per servizio, eccetera) sia legata ad interventi
  assistenziali (invalidi civili, sordomuti, eccetera) sia
  legata ad un accertamento di idoneità (marittimi, varie
  patenti di guida: automobilistica, aerea, eccetera) ha
  ereditato l'impostazione teorica scaturita dopo la prima
  guerra mondiale, in Italia e all'estero.
    In Italia, dopo l'unità, il problema del trattamento dalle
  persone colpite da minorazioni fisiche, psichiche o
  sensoriali, era stato delegato quasi totalmente ad istituzioni
  religiose private, le cosiddette IPAB (istituzioni pubbliche
  di assistenza e beneficenza).  Solo dopo la prima guerra
  mondiale il gran numero di invalidi colpiti da minorazioni
  durante la guerra pose il problema di un intervento dello
  Stato.  Una prima risposta affrontò il problema dal punto di
  vista del risarcimento del danno: legge 10 agosto 1950, n.
  648; legge 11 marzo 1926, n. 416; testo unico delle
 
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  norme in materia di pensioni di guerra approvato con decreto
  del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978, n. 915;
  legge 6 ottobre 1986, n. 656, solo per citare alcune norme più
  significative; avendo il militare o l'impiegato pubblico
  (unici titolari del beneficio) subìto una minorazione durante
  un servizio prestato allo Stato o alla patria, doveva essere
  riconosciuto un risarcimento commisurato alla gravità della
  lesione anatomica accertata.  Furono così elaborate le prime
  tabelle di valutazioni percentuali del danno anatomico subìto
  legate a lesioni ed infermità che davano diritto a pensione
  vitalizia o assegno temporaneo: veniva così introdotta per la
  prima volta una categorializzazione degli aventi diritto non
  basata sul tipo di minorazione funzionale.  Inoltre l'elenco
  delle minorazioni era esclusivamente medico e serviva ad
  individuare quale parte del corpo umano fosse stata lesa,
  prevedendo un risarcimento monetario equivalente al danno.  In
  tal modo veniva sancita l'impostazione teorica di spezzettare
  il corpo umano in tante parti, perdendo di vista l'intero
  individuo o cancellando il problema delle sue capacità
  funzionali, dal momento che era presa in considerazione solo
  la sua "malattia".  Questa visione portò, come conseguenza
  "scientifica", alla possibilità di definire astrattamente la
  capacità "ottimale" del corpo umano, come capacità dell'uomo
  astratto di essere al cento per cento delle proprie capacità
  lavorative.  Ogni lesione anatomica accertata dunque veniva
  definita in termini percentuali.  Quale funzione avesse
  l'organo colpito in rapporto con tutta la persona veniva
  completamente trascurato.  Questa impostazione venne seguita
  successivamente anche per gli infortuni sul lavoro (regio
  decreto 17 agosto 1935, n. 1765, e successive modificazioni):
  si basava anch'essa sullo spezzettamento del corpo umano,
  sulla percentualizzazione delle capacità di lavoro, sul
  risarcimento ad un danno anatomico-funzionale e sulla
  creazione di una nuova categoria di beneficiari, gli invalidi
  sul lavoro.  In seguito l'elenco delle categorie beneficiarie
  si estese, ma
  sempre seguendo un criterio di individuazione basato sulla
  causa che produceva la minorazione.  Si dimenticava così la
  reale gravità funzionale del danno accertato.  Nacquero così
  gli invalidi civili di guerra, gli equiparati (per esempio le
  vittime del terrorismo), eccetera.  Ogni postulante che voleva
  essere riconosciuto beneficiario di una provvidenza assegnata
  ad una determinata categoria veniva sottoposto ad un
  accertamento di invalidità da parte di commissioni diverse che
  utilizzavano criteri di valutazione diversi, più o meno
  rigorosi.  Qui nacquero le prime disparità di benefìci: a
  parità di minorazioni venivano erogate provvidenze diverse a
  seconda della causa che produceva il danno.  Va aggiunto che la
  stessa definizione di invalidità e quindi di invalido colpiva
  l'avente diritto con un marchio indelebile di incapacità e
  negatività.  Un secondo filone legislativo da cui derivano gli
  attuali criteri di accertamento dell'invalidità si occupò di
  accertare l'idoneità allo svolgimento di determinate mansioni
  lavorative (esempio: l'imbarco per i marittimi) o per
  particolari abilità (patente di guida), brevetti di volo
  (decreto ministeriale 9 gennaio 1938).  Anche in questo caso
  era l'elenco "delle infermità e delle imperfezioni" che
  definiva l'idoneità alla mansione.  Veniva ancora utilizzato un
  elenco di patologie o di deficienze fisiche, scambiando
  un'eventuale disabilità per gli esiti di una malattia o di un
  trauma ignorando completamente - anche perché all'epoca
  inesistente - il ricorso a soluzioni tecniche (protesi,
  ortesi, eccetera) che limitassero il danno.
    L'ultimo intervento legislativo si sviluppò sulla base del
  riconoscimento dell'esistenza di persone minorate che non
  fossero né invalidi di guerra, né per servizio, né per lavoro.
  Si inventò così la categoria degli invalidi civili.
  L'impostazione teorica di questa normativa, basata sulla
  necessità di un intervento assistenziale a sostegno per fasce
  sociali deboli - rafforzato successivamente dalle logiche
  connesse a un modello di stato assistenziale - individuava
  attraverso una percentualizzazione della
 
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  diminuita capacità lavorativa, la gravità del danno anatomico
  e il conseguente intervento economico (pensione, indennità di
  accompagnamento, eccetera).  Anche qui si confuse il danno
  causato da trauma o da malattia (con un ampliamento
  descrittorio delle patologie a cui veniva fatta corrispondere
  una percentuale di diminuita capacità lavorativa, legge 30
  marzo 1971, n. 118, di conversione del decreto-legge 30
  gennaio 1971, n. 5, e legge 11 febbraio 1980, n. 18 e decreto
  ministeriale 25 luglio 1980) con la capacità di svolgimento di
  funzioni e di attività di lavoro.  A questa impostazione
  sostanzialmente medicalizzante vennero collegate sia le
  pratiche di internato in istituto, sia interventi
  previdenziali e assistenziali.
    Il limite di invalidità al cento per cento - teoricamente
  impossibile, ma praticamente accertato - rappresentò l'assurdo
  teorico della percentualizzazione delle patologie che, con
  questa definizione estrema e del tutto priva di significato,
  dette effettivamente i numeri.  L'accertamento dell'invalidità
  così raggiunto sembrava aver conseguito il carattere
  scientifico di "oggettività", perdendo però per strada la
  corretta valutazione delle reali disabilità della persona
  concreta.  Questo criterio basato sulla patologizzazione
  dell' handicap  e sulla percentualizzazione delle capacità
  funzionali, venne purtroppo usato sia per la definizione di
  prestazioni mediche (riabilitazione, protesi, ricoveri
  eccetera) sia per l'erogazione di interventi economici
  (pensioni, indennità varie, eccetera), sia per l'accertamento
  di benefìci sociali (integrazione lavorativa, barriere
  architettoniche, eccetera).  La confusione così divenne totale.
  Il criterio della percentualizzazione - apparentemente
  oggettivo - si dimostrò invece funesto: l'impostazione
  assistenzialistica alla base dei motivi per cui venivano
  richiesti accertamenti di invalidità civile produsse un
  accrescimento incontrollato degli aventi diritto alle varie
  prestazioni, favorito sia dalla compiacenza
  politico-assistenziale delle commissioni mediche e dei
  padrinati politici, sia dall'unicità di accesso ai benefìci
  della legge consentiti
  dall'unico criterio di accertamento basato sulle percentuali
  di invalidità.  L'incremento dei falsi invalidi veniva così
  causato proprio dalla mancanza di distinzioni tra valutazioni
  per il conseguimento di diritti a provvidenze sanitarie,
  economiche e sociali.
    Gli interventi legislativi successivi per combattere il
  fenomeno dei "falsi invalidi", lungi dall'affrontare il
  problema dei criteri di accertamento, si basarono prima sul
  tentativo di ripetere a campione le visite di accertamento
  (legge 12 giugno 1984, n. 222); essendo però le stesse
  commissioni a fare le visite con gli stessi tabellari
  percentuali il provvedimento non sortì alcun esito
  significativo; poi sull'idea di affidare le competenze di
  accertamento ad altre commissioni mediche, ritenute meno
  influenzabili di quelle delle unità sanitarie locali
  (decreto-legge 30 maggio 1988, n. 173, convertito, con
  modificazioni, dalla legge 26 luglio 1988, n. 291), creando
  nella sostanza una grande confusione ed un lungo blocco delle
  certificazioni di invalidità.  Il non intervenire sui criteri
  di valutazione degli aventi diritto vanificò la gran parte di
  questi interventi di bonifica, il cui spirito del resto era
  non tanto quello di valutare correttamente i disabili, quanto
  quello di risparmiare sulla spesa previdenziale e
  assistenziale.
    Pertanto l'attuale legislazione ha prodotto ambiguità
  nell'accertamento dei diritti (previdenziali, assistenziali e
  sociali), disparità di trattamento a parità di minorazione
  (tra invalidi di guerra, per servizio, sul lavoro e invalidi
  civili), confusione tra accertamento della minorazione e
  accertamento della disabilità, mancanza di un corretto
  intervento terapeutico-riabilitativo all'atto dell'emergenza
  per la prima volta del problema  handicap.
    La necessità di modificare gli attuali criteri di
  accertamento dell'invalidità è stata evidenziata dalla recente
  legge-quadro sull' handicap,  che ha introdotto criteri
  valutativi di tipo qualitativo (per esempio la definizione
  handicappato in situazione
  di gravità), anziché unicamente i tradizionali criteri
  percentuali.
 
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    Questi nuovi criteri di accertamento, da cui scaturiscono
  diritti e benefìci, anche con implicazioni economiche, entrano
  in contraddizione con la precedente legislazione in materia.
  Non a caso il decretolegge n. 320 del 1992, decaduto e più
  volte reiterato, fino a giungere al decreto-legge 27 agosto
  1993, n. 324, convertito, con modificazioni, dalla legge 27
  ottobre 1993, n. 423, sono stati emanati d'urgenza per sanare
  una delle contraddizioni più evidenti relativa alle
  certificazioni per l'integrazione scolastica degli alunni
  handicappati.
    Ad una analisi attenta, la legge n. 104 del 1992, invece di
  creare una nuova categoria di disabili - come era avvenuto
  finora ogni volta che si interveniva nell'ambito degli
  accertamenti di invalidità - ha recepito l'indicazione più
  volte sostenuta dalle associazioni di criteri qualitativi di
  valutazione.  Così, invece di valutare gli aventi diritto sulla
  base delle percentuali di invalidità, le persone handicappate
  beneficiarie degli interventi della legge-quadro vengono
  individuate sulla base delle conseguenze che una minorazione
  produce come "difficoltà di apprendimento, di relazione e di
  integrazione lavorativa (...in una misura) tale da determinare
  un processo di svantaggio sociale o di emarginazione"
  (articolo 3, comma 1) e "qualora la minorazione, singola o
  plurima, abbia ridotto l'autonomia personale, correlata
  all'età, in modo da rendere necessario un intervento
  assistenziale permanente continuativo e globale nella sfera
  individuale o in quella di relazione, la situazione assume
  connotazione di gravità" (articolo 3, comma 3).  Egualmente in
  altri punti della legge n. 104 del 1992, come quello sul
  lavoro (articolo 19: "ai fini dell'avviamento al lavoro, la
  valutazione della persona handicappata tiene conto della
  capacità lavorativa e relazionale dell'individuo e non solo
  della minorazione fisica o psichica"), vengono introdotti
  criteri di valutazione che vanno ben al di là di quello
  esclusivamente clinico dei tabellari percentuali.
    Non a caso le commissioni delle unità sanitarie locali
  competenti per gli accertamenti
  di invalidità, ai sensi della legge n. 295 del 1990,
  vengono integrate con nuove figure professionali non mediche
  (vedi articoli 4 e 19 della legge n. 104 del 1992).
    In questo modo il legislatore è intervenuto individuando la
  necessità di introdurre criteri di valutazione basati sulla
  individuazione di diritti, di bisogni e di capacità e
  potenzialità funzionali presenti in handicappati, ravvisando
  l'impossibilità a misurare l' handicap  con parametri
  esclusivamente clinici e quantitativi.  D'altra parte lo stesso
  decreto-ministeriale 5 febbraio 1992, che ha emanato la nuova
  tabella indicativa delle percentuali di invalidità, quando si
  è posto il problema di accertare le potenzialità lavorative,
  ha dovuto riferirsi a criteri, per quanto ancora generici e
  superficiali, certo non percentuali.
    In pratica così già sono operanti benefìci di legge, anche
  a carattere economico o che comunque comportano oneri di spesa
  pubblica, goduti in base ad accertamenti non percentualizzati.
  In questo modo l'obiezione più volte sollevata dai ministeri
  competenti per difendere il criterio di valutazione basato
  sulle percentuali - una soglia certa ed oggettiva per valutare
  gli aventi diritto - è superata sia per le agevolazioni di cui
  all'articolo 33 della legge n. 104 del 1992 sia per
  l'assegnazione degli insegnanti di sostegno per gli alunni
  handicappati (decreto-legge n. 324 del 1993).
    La proposta di legge qui presentata si basa su una corretta
  lettura della classificazione più recente OMS, che individua
  una valutazione medica per l'accertamento delle minorazioni
  (patologie, esiti di malattie, eccetera), una valutazione
  funzionale per l'accertamento delle conseguenti disabilità
  (legate alle funzioni anatomico-funzionali del corpo) e una
  valutazione sociale per l'accertamento dell' handicap
  (cioè di come determinate disabilità interagiscono con
  l'ambiente fisico e sociale di vita (articoli 1 e 2).
    Per esempio un poliomelitico agli arti inferiori è affetto
  da paralisi alle gambe (minorazione), e impossibilitato, senza
 
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  ausili, a salire le scale (disabilità) ed è svantaggiato
  nell'uso dei mezzi di trasporto il cui accesso è possibile
  solo superando alcuni gradini  (handicap).  Le commissioni
  multidisciplinari, che la proposta prevede siano create presso
  ogni unità sanitaria locale, novità che supera le attuali
  commissioni di accertamento esclusivamente medico, valutano
  sia le minorazioni sia le disabilità, sia gli impedimenti
  sociali e strutturali che producono situazioni di  handicap
  (articolo 2).
    Un'altra importante novità è il superamento delle
  categorializzazioni ereditate dalle legislazioni corporative
  settoriali: infatti la valutazione proposta non si basa più
  sulle cause che hanno prodotto minorazione - superando così le
  categorie di invalidi di guerra, per servizio sul lavoro,
  eccetera - quanto sulla reale condizione psico-fisica dei
  soggetti richiedenti, garantendo un uguale trattamento ed
  uguale tipo di minorazione.  E' prevista anche l'istituzione di
  un registro degli esperti che rende più facile il reperimento
  di figure professionali rappresentanti l'utenza qualificando
  in maniera seria il lavoro delle commissioni pluridisciplinari
  (articolo 3).
    Il problema dell'individuazione di una "soglia"
  oggettivamente definita per individuare gli aventi diritto è
  risolta con l'accertamento di una determinata patologia.
  Questo accertamento però diventa solo una parte della
  fotografia delle persone disabili, dei loro problemi di
  integrazione e delle loro potenzialità funzionali e possibili.
  In questo modo viene restituita integralmente, con criteri
  scientifici, la totalità della persona alla dimensione della
  sua complessiva vita di società.  E' evidente che
  l'impostazione teorica e pratica proposta modifica
  profondamente i tradizionali metodi di valutazione dei
  disabili.  Molte saranno le resistenze corporative, accademiche
  e burocratiche che incontrerà la proposta, che è l'unica
  impostazione corretta che rispetti le esigenze dei disabili e
  consenta di arrestare il fenomeno delle false invalidità.  Data
  la complessità della materia, è stata prevista una delega al
  Governo (articolo 7) per l'emanazione di un testo unico che
  raccordi le diverse normative in modo da ordinare
  amministrativamente le procedure e le competenze finalmente
  unificate.  E' previsto infine un articolo che salvaguardi i
  procedimenti di accertamenti già in istruttoria (articolo
  10).
 
DATA=940415 FASCID=DDL12-66 TIPOSTA=DDL LEGISL=12 NCOMM= SEDE=PR NSTA=0066 TOTPAG=0016 TOTDOC=0012 NDOC=0002 TIPDOC=L DOCTIT=0000 COMM= FRL PAGINIZ=0001 RIGINIZ=008 PAGFIN=0005 RIGFIN=044 UPAG=NO PAGEIN=1 PAGEFIN=5 SORTRES= SORTDDL=006600 00 FASCIDC=12DDL0066 SORTNAV=0006600 000 00000 ZZDDLC66 NDOC0002 TIPDOCL DOCTIT0002 NDOC0002



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