| Onorevoli Colleghi! -- L'attività estrattiva di cava
(le torbiere altro non sono se non cave di torba), che ha
potuto esplicarsi al di fuori di ogni controllo
urbanistico-ambientale, ha raggiunto, soprattutto negli ultimi
decenni, livelli quantitativi vertiginosi e ha provocato danni
all'ambiente di proporzioni e gravità eccezionali,
segnatamente nei territori collinari, negli alvei dei fiumi ed
in pianura.
L'espansione e la dilapidazione territoriale sono state
favorite dall'applicazione di tecniche estrattive in cui i
mezzi meccanici hanno espulso progressivamente aliquote sempre
più elevate di lavoratori.
Per quanto attiene alle quantità dei lapidei e litoidi
estratti dai giacimenti di vario tipo, corsi d'acqua compresi,
non si dispone attualmente di dati ufficiali tranne che per i
materiali destinati alla produzione del cemento,
complessivamente ammontanti nel 1991 ad oltre 80 milioni di
tonnellate con un incremento percentuale medio nazionale
rispetto al 1989 e con punte massime in Lombardia, in Sicilia,
nel Lazio, in Puglia e nel Piemonte.
Convegni di studio e indagini scientifiche hanno
concordemente individuato in una legislazione statale di
riferimento del tutto superata e largamente permissiva, la
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causa fondamentale dei profondi squilibri territoriali e
idraulici arrecati dalle escavazioni peraltro favoriti da un
uso distorto dei poteri discrezionali da parte della pubblica
amministrazione a tutti i livelli.
La materia delle cave di pianura e di collina è tuttora
disciplinata, a livello di normativa statale, dall'articolo 45
del regio decreto 29 luglio 1927, n. 1443 (noto con
l'appellativo di "legge mineraria"), modificato dall'articolo
7 del decreto del Presidente della Repubblica 28 giugno 1955,
n. 620, dagli articoli 826 e 840 del codice civile e dalle
eventuali attività di di programmazione, di pianificazione e
di attuazione della disciplina delle attività estrattive
previste dalla legge 18 maggio 1989, n. 183, nonché, in
previsione dell'ordinamento regionale, dall'articolo 11,
quinto comma, della legge 16 maggio 1970, n. 281, e dal
decreto del Presidente della Repubblica 14 gennaio 1972, n. 2,
con il quale si è attuato il trasferimento della materia dallo
Stato alle regioni a statuto ordinario; le escavazioni nei
corsi d'acqua sono regolate dalla lettera m) del primo
comma dell'articolo 97 del regio decreto 25 luglio 1904, n.
523.
In base alle predette disposizioni, salvo quanto statuito
dalle leggi regionali, le cave sono lasciate nella
disponibilità del proprietario del suolo che è libero di
sfruttarle a suo piacimento, essendo sufficiente la denuncia
dell'attività al competente ufficio del distretto minerario ai
soli fini statistici e di polizia mineraria; anzi, il cavatore
è stimolato dalla legislazione vigente a sviluppare la
cosiddetta "coltivazione" del giacimento al punto che, in caso
di mancato o insufficiente sfruttamento, la cava viene
sottratta alla sua disponibilità e passa nel patrimonio
indisponibile della pubblica amministrazione: lo Stato, prima,
ed ora le regioni a statuto ordinario. Senonché, il menzionato
articolo 45 della legge mineraria - che riflette una
situazione di limitate escavazioni e di tecniche estrattive
artigianali - si è dimostrato totalmente incapace di
disciplinare escavazioni, praticate, specie nel dopoguerra,
con l'uso di attrezzature e di esplosivi di straordinaria
potenza.
Le carenze normative sono balzate più evidenti in seguito
al trasferimento dei poteri alle regioni. Sollecitate a
dirimere i contrasti sempre più acuti fra le esigenze
produttive e quelle di tutela, le amministrazioni regionali
hanno incontrato un limite invalicabile e paralizzante
nell'arcaica disciplina di riferimento statuale tuttora
vigente, talché le leggi regionali in materia si sono rivelate
inadeguate: situazioni di grave disagio sono state denunciate
dalle comunità locali, dalle stesse regioni e dagli operatori
del settore convinti della necessità di pervenire ad un
traguardo normativo che assicuri certezza giuridica.
Di qui l'indifferibilità di una normativa-cornice statuale
che, in adempimento della disposizione costituzionale
contenuta nell'articolo 117, stabilisca i princìpi
fondamentali entro i cui limiti di carattere generale le
singole regioni possano emanare norme legislative dirette a
contemperare le diverse esigenze emergenti.
L'articolo 3 della presente proposta di legge contiene
l'enunciazione dei princìpi fondamentali ai quali dovrà
uniformarsi l'attività legislativa delle regioni.
Il primo anacronismo da superare è quello relativo
all'incorporazione del diritto di escavazione in quello di
proprietà del suolo: nel sancirne la separazione, la norma di
principio si armonizza con il nuovo regime dei suoli e con
l'istituto concessorio dallo stesso introdotto (lettera a)
del comma 1 dell'articolo 3).
L'escavazione può essere lecitamente esercitata soltanto
previo rilascio della concessione, onerosa, da parte dei
competenti organi regionali che dovranno attenersi alle
previsioni del piano regionale delle attività estrattive.
Per una esigenza di equità sociale, qualora destinatario
della concessione sia persona fisica o giuridica diversa dal
titolare di un diritto reale di proprietà o di usufrutto
sull'area ricompresa nel progetto di escavazione approvato
dalla regione, ovvero se il fondo sia affittato, proprietario,
usufruttuario e conduttore avranno diritto
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ad un corrispettivo che graverà sul destinatario della
concessione nella misura che sarà determinata da un collegio
di esperti considerato il valore della superficie agraria,
nonché quello del giacimento (articolo 4).
La coltivazione di cave e torbiere sarà consentita solo
nelle aree comprese dal piano regionale delle attività
estrattive che terrà conto delle previsioni degli strumenti
urbanistici e paesistico-ambientali, raccordandosi così la
volontà politica dell'ente locale con quella della regione.
Dal piano regionale delle attività estrattive saranno
escluse le entità immobiliari oggetto di tutela ambientale per
fini di interesse paesistico, naturalistico, storico,
archeologico e artistico (lettera d, comma 1,
dell'articolo 3), venendosi così ad eliminare i motivi di più
acceso contrasto e di più aspra contestazione che hanno sinora
incontrato le escavazioni in Italia.
La proposta introduce inoltre l'obbligatorietà: dei
progetti di coltivazione e di risistemazione ambientale, che
dovrà conformarsi alle previsioni di destinazione d'uso per la
zona, contenute nello strumento urbanistico (lettera f,
comma 1, dell'articolo 3), del collaudo (lettera g,
comma 1, dell'articolo 3), della cauzione (lettera h,
comma 1, articolo 3) e della direzione dei lavori sia per
l'attività estrattiva che per la risistemazione ambientale
(lettera i, comma 1, dell'articolo 3).
I comuni e gli altri enti competenti in materia di
pianificazione urbanistica e territoriale potranno esercitare
il controllo delle attività estrattive approvando entro dodici
mesi dalla data di entrata in vigore della legge le varianti
che contemplino le eventuali zone in cui l'escavazione sia
consentita, nonché la destinazione delle stesse al termine
della concessione, con esclusione, per evidenti esigenze di
interesse pubblico, delle discariche di rifiuti. Nei territori
sprovvisti di strumenti urbanistici o nei quali non si
adottino le varianti di destinazione d'uso previste nella
presente proposta di legge, le escavazioni non potranno
iniziare o proseguire (articolo 5).
La previsione dell'inquadramento dell'attività di cava
negli strumenti urbanistici non attua soltanto un obiettivo
essenziale di governo del territorio, ma rappresenta anche un
interessante momento di raccordo tra l'ente territoriale
locale e quello regionale.
La regione è chiamata ad un censimento dei giacimenti del
suo territorio e a un piano regionale pliuriennale delle
attività estrattive.
In attesa dei piani regionali delle attività estrattive è
affidato a ciascuna regione il compito di emanare disposizioni
transitorie per il rilascio dei permessi e delle concessioni
sulla base dei princìpi fondamentali dettati dalla presente
proposta di legge e per l'adeguamento delle attività in
esercizio al regime concessorio (articolo 6).
Incuranti del richiamo esercitato sul turismo straniero
dalle risorse naturali, climatiche e paesistiche del nostro
Paese, e dell'importanza per l'economia nazionale
dell'afflusso in Italia di valuta pregiata, in questi anni
abbiamo assistito inerti al fenomeno irreversibile del
saccheggio di ambienti collinari irripetibili e non
ricostituibili, consentendo l'esportazione di materiali vili
persino in Stati diversi da quelli appartenenti alla Comunità
europea, come la Svizzera, che preferisce importare
dall'Italia piuttosto che compromettere, dilapidando il suo
prezioso patrimonio montano, risorse paesaggistiche alle quali
sono legate, sia pure in parte, le sue fortune economiche.
La constatazione di tale situazione di fatto impone di
vietare l'esportazione (con esclusione degli Stati verso i
quali esistono impegni internazionali collegati con il
Trattato di Roma) quantomeno dei materiali cosiddetti non
ornamentali, vuoi per il loro minor pregio economico vuoi per
i guasti più massicci che la loro estrazione comporta
(articolo 9).
Per connessione di materia più che per analogia di regime
giuridico, appare opportuno rivedere la normativa vigente in
tema di escavazione di inerti dai corsi d'acqua, risalente ad
una legge delegata dei primi anni del secolo.
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L'articolo 97, primo comma, lettera m), del regio
decreto 25 luglio 1904, n. 523, e successive modificazioni ed
integrazioni, consente l'estrazione dei materiali litoidi dai
greti dei fiumi e dei torrenti, ma le modalità dell'uso che
sinora si è fatto del demanio idraulico e le proporzioni del
fenomeno estrattivo hanno cagionato danni incalcolabili in
termini di dissesto idraulico e geologico, di inquinamento
della falda freatica, con grave pregiudizio per l'economia
agricola, essendo ormai accertato il rapporto di causa-effetto
fra escavazione in alveo, aumento della velocità di
corrivazione e alluvioni.
Appelli autorevoli e prestigiosi suggeriscono di rovesciare
la logica che sin qui ha presieduto alle facili autorizzazioni
e di permettere la rimozione degli inerti, a giudizio
dell'autorità tecnico-amministrativa istituzionalmente
preposta alla manutenzione idraulica, soltanto nei casi in cui
essa sia indispensabile ai fini del mantenimento delle
condizioni di sicurezza e di stabilità dell'assetto idraulico
del corso dell'acqua; l'affidamento dell'incarico di
esecuzione delle opere a seguito di appalto e, soprattutto,
l'alienazione dei materiali di risulta con la procedura dei
pubblici incanti sono due garanzie ai fini del perseguimento
degli obiettivi di interesse generale voluti dalla
legge.
L'entità delle sanzioni pecuniarie è equamente commisurata
al valore economico del profitto dell'attività illecita: la
confisca dei materiali lapidei e litoidi e delle attrezzature,
nonché l'ordine di risistemazione dei luoghi mirano ad
accrescere l'efficacia dissuasiva che la nuova legge pone al
centro di un'azione tesa a prevenire prima ancora che a
reprimere (articolo 10).
Il regime così introdotto dalla presente proposta di legge,
della quale si sollecita l'approvazione, costituisce un quadro
armonico e corretto nel quale gli enti locali svolgono i ruoli
e le funzioni che ad essi competono in base alla Costituzione
e alle altre leggi, restando demandata allo Stato - secondo la
lettera e lo spirito dell'articolo 17, primo comma, lettera
a), della legge 16 maggio 1970, n. 281 -, per
l'attuazione da parte delle regioni a statuto ordinario, la
"funzione di indirizzo e di coordinamento delle attività delle
regioni che attengono ad esigenze di carattere unitario, anche
in riferimento agli obiettivi del programma economico
nazionale ed agli impegni derivanti dagli obblighi
internazionali".
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