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Testi integrali degli Atti Parlamentari della XII Legislatura

Documento


1058
DDL0069-0002
Progetto di legge Camera n. 69 - testo presentato - (DDL12-69)
(suddiviso in 13 Unità Documento)
Unità Documento n.2 (che inizia a pag.1 dello stampato)
...C69. TESTIPDL
...C69.
RELAZIONE
ZZDDL ZZDDLC ZZNONAV ZZDDLC69 ZZ12 ZZRL ZZPR
    Onorevoli  Colleghi! -- L'attività estrattiva di cava
  (le torbiere altro non sono se non cave di torba), che ha
  potuto esplicarsi al di fuori di ogni controllo
  urbanistico-ambientale, ha raggiunto, soprattutto negli ultimi
  decenni, livelli quantitativi vertiginosi e ha provocato danni
  all'ambiente di proporzioni e gravità eccezionali,
  segnatamente nei territori collinari, negli alvei dei fiumi ed
  in pianura.
    L'espansione e la dilapidazione territoriale sono state
  favorite dall'applicazione di tecniche estrattive in cui i
  mezzi meccanici hanno espulso progressivamente aliquote sempre
  più elevate di lavoratori.
    Per quanto attiene alle quantità dei lapidei e litoidi
  estratti dai giacimenti di vario tipo, corsi d'acqua compresi,
  non si dispone attualmente di dati ufficiali tranne che per i
  materiali destinati alla produzione del cemento,
  complessivamente ammontanti nel 1991 ad oltre 80 milioni di
  tonnellate con un incremento percentuale medio nazionale
  rispetto al 1989 e con punte massime in Lombardia, in Sicilia,
  nel Lazio, in Puglia e nel Piemonte.
    Convegni di studio e indagini scientifiche hanno
  concordemente individuato in una legislazione statale di
  riferimento del tutto superata e largamente permissiva, la
 
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  causa fondamentale dei profondi squilibri territoriali e
  idraulici arrecati dalle escavazioni peraltro favoriti da un
  uso distorto dei poteri discrezionali da parte della pubblica
  amministrazione a tutti i livelli.
    La materia delle cave di pianura e di collina è tuttora
  disciplinata, a livello di normativa statale, dall'articolo 45
  del regio decreto 29 luglio 1927, n. 1443 (noto con
  l'appellativo di "legge mineraria"), modificato dall'articolo
  7 del decreto del Presidente della Repubblica 28 giugno 1955,
  n. 620, dagli articoli 826 e 840 del codice civile e dalle
  eventuali attività di di programmazione, di pianificazione e
  di attuazione della disciplina delle attività estrattive
  previste dalla legge 18 maggio 1989, n. 183, nonché, in
  previsione dell'ordinamento regionale, dall'articolo 11,
  quinto comma, della legge 16 maggio 1970, n. 281, e dal
  decreto del Presidente della Repubblica 14 gennaio 1972, n. 2,
  con il quale si è attuato il trasferimento della materia dallo
  Stato alle regioni a statuto ordinario; le escavazioni nei
  corsi d'acqua sono regolate dalla lettera  m)  del primo
  comma dell'articolo 97 del regio decreto 25 luglio 1904, n.
  523.
    In base alle predette disposizioni, salvo quanto statuito
  dalle leggi regionali, le cave sono lasciate nella
  disponibilità del proprietario del suolo che è libero di
  sfruttarle a suo piacimento, essendo sufficiente la denuncia
  dell'attività al competente ufficio del distretto minerario ai
  soli fini statistici e di polizia mineraria; anzi, il cavatore
  è stimolato dalla legislazione vigente a sviluppare la
  cosiddetta "coltivazione" del giacimento al punto che, in caso
  di mancato o insufficiente sfruttamento, la cava viene
  sottratta alla sua disponibilità e passa nel patrimonio
  indisponibile della pubblica amministrazione: lo Stato, prima,
  ed ora le regioni a statuto ordinario.  Senonché, il menzionato
  articolo 45 della legge mineraria - che riflette una
  situazione di limitate escavazioni e di tecniche estrattive
  artigianali - si è dimostrato totalmente incapace di
  disciplinare escavazioni, praticate, specie nel dopoguerra,
  con l'uso di attrezzature e di esplosivi di straordinaria
  potenza.
    Le carenze normative sono balzate più evidenti in seguito
  al trasferimento dei poteri alle regioni.  Sollecitate a
  dirimere i contrasti sempre più acuti fra le esigenze
  produttive e quelle di tutela, le amministrazioni regionali
  hanno incontrato un limite invalicabile e paralizzante
  nell'arcaica disciplina di riferimento statuale tuttora
  vigente, talché le leggi regionali in materia si sono rivelate
  inadeguate: situazioni di grave disagio sono state denunciate
  dalle comunità locali, dalle stesse regioni e dagli operatori
  del settore convinti della necessità di pervenire ad un
  traguardo normativo che assicuri certezza giuridica.
    Di qui l'indifferibilità di una normativa-cornice statuale
  che, in adempimento della disposizione costituzionale
  contenuta nell'articolo 117, stabilisca i princìpi
  fondamentali entro i cui limiti di carattere generale le
  singole regioni possano emanare norme legislative dirette a
  contemperare le diverse esigenze emergenti.
    L'articolo 3 della presente proposta di legge contiene
  l'enunciazione dei princìpi fondamentali ai quali dovrà
  uniformarsi l'attività legislativa delle regioni.
    Il primo anacronismo da superare è quello relativo
  all'incorporazione del diritto di escavazione in quello di
  proprietà del suolo: nel sancirne la separazione, la norma di
  principio si armonizza con il nuovo regime dei suoli e con
  l'istituto concessorio dallo stesso introdotto (lettera  a)
  del comma 1 dell'articolo 3).
    L'escavazione può essere lecitamente esercitata soltanto
  previo rilascio della concessione, onerosa, da parte dei
  competenti organi regionali che dovranno attenersi alle
  previsioni del piano regionale delle attività estrattive.
    Per una esigenza di equità sociale, qualora destinatario
  della concessione sia persona fisica o giuridica diversa dal
  titolare di un diritto reale di proprietà o di usufrutto
  sull'area ricompresa nel progetto di escavazione approvato
  dalla regione, ovvero se il fondo sia affittato, proprietario,
  usufruttuario e conduttore avranno diritto
 
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  ad un corrispettivo che graverà sul destinatario della
  concessione nella misura che sarà determinata da un collegio
  di esperti considerato il valore della superficie agraria,
  nonché quello del giacimento (articolo 4).
    La coltivazione di cave e torbiere sarà consentita solo
  nelle aree comprese dal piano regionale delle attività
  estrattive che terrà conto delle previsioni degli strumenti
  urbanistici e paesistico-ambientali, raccordandosi così la
  volontà politica dell'ente locale con quella della regione.
    Dal piano regionale delle attività estrattive saranno
  escluse le entità immobiliari oggetto di tutela ambientale per
  fini di interesse paesistico, naturalistico, storico,
  archeologico e artistico (lettera  d,  comma 1,
  dell'articolo 3), venendosi così ad eliminare i motivi di più
  acceso contrasto e di più aspra contestazione che hanno sinora
  incontrato le escavazioni in Italia.
    La proposta introduce inoltre l'obbligatorietà: dei
  progetti di coltivazione e di risistemazione ambientale, che
  dovrà conformarsi alle previsioni di destinazione d'uso per la
  zona, contenute nello strumento urbanistico (lettera  f,
  comma 1, dell'articolo 3), del collaudo (lettera  g,
  comma 1, dell'articolo 3), della cauzione (lettera  h,
  comma 1, articolo 3) e della direzione dei lavori sia per
  l'attività estrattiva che per la risistemazione ambientale
  (lettera  i,  comma 1, dell'articolo 3).
    I comuni e gli altri enti competenti in materia di
  pianificazione urbanistica e territoriale potranno esercitare
  il controllo delle attività estrattive approvando entro dodici
  mesi dalla data di entrata in vigore della legge le varianti
  che contemplino le eventuali zone in cui l'escavazione sia
  consentita, nonché la destinazione delle stesse al termine
  della concessione, con esclusione, per evidenti esigenze di
  interesse pubblico, delle discariche di rifiuti.  Nei territori
  sprovvisti di strumenti urbanistici o nei quali non si
  adottino le varianti di destinazione d'uso previste nella
  presente proposta di legge, le escavazioni non potranno
  iniziare o proseguire (articolo 5).
    La previsione dell'inquadramento dell'attività di cava
  negli strumenti urbanistici non attua soltanto un obiettivo
  essenziale di governo del territorio, ma rappresenta anche un
  interessante momento di raccordo tra l'ente territoriale
  locale e quello regionale.
    La regione è chiamata ad un censimento dei giacimenti del
  suo territorio e a un piano regionale pliuriennale delle
  attività estrattive.
    In attesa dei piani regionali delle attività estrattive è
  affidato a ciascuna regione il compito di emanare disposizioni
  transitorie per il rilascio dei permessi e delle concessioni
  sulla base dei princìpi fondamentali dettati dalla presente
  proposta di legge e per l'adeguamento delle attività in
  esercizio al regime concessorio (articolo 6).
    Incuranti del richiamo esercitato sul turismo straniero
  dalle risorse naturali, climatiche e paesistiche del nostro
  Paese, e dell'importanza per l'economia nazionale
  dell'afflusso in Italia di valuta pregiata, in questi anni
  abbiamo assistito inerti al fenomeno irreversibile del
  saccheggio di ambienti collinari irripetibili e non
  ricostituibili, consentendo l'esportazione di materiali vili
  persino in Stati diversi da quelli appartenenti alla Comunità
  europea, come la Svizzera, che preferisce importare
  dall'Italia piuttosto che compromettere, dilapidando il suo
  prezioso patrimonio montano, risorse paesaggistiche alle quali
  sono legate, sia pure in parte, le sue fortune economiche.
    La constatazione di tale situazione di fatto impone di
  vietare l'esportazione (con esclusione degli Stati verso i
  quali esistono impegni internazionali collegati con il
  Trattato di Roma) quantomeno dei materiali cosiddetti non
  ornamentali, vuoi per il loro minor pregio economico vuoi per
  i guasti più massicci che la loro estrazione comporta
  (articolo 9).
    Per connessione di materia più che per analogia di regime
  giuridico, appare opportuno rivedere la normativa vigente in
  tema di escavazione di inerti dai corsi d'acqua, risalente ad
  una legge delegata dei primi anni del secolo.
 
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    L'articolo 97, primo comma, lettera  m),  del regio
  decreto 25 luglio 1904, n. 523, e successive modificazioni ed
  integrazioni, consente l'estrazione dei materiali litoidi dai
  greti dei fiumi e dei torrenti, ma le modalità dell'uso che
  sinora si è fatto del demanio idraulico e le proporzioni del
  fenomeno estrattivo hanno cagionato danni incalcolabili in
  termini di dissesto idraulico e geologico, di inquinamento
  della falda freatica, con grave pregiudizio per l'economia
  agricola, essendo ormai accertato il rapporto di causa-effetto
  fra escavazione in alveo, aumento della velocità di
  corrivazione e alluvioni.
    Appelli autorevoli e prestigiosi suggeriscono di rovesciare
  la logica che sin qui ha presieduto alle facili autorizzazioni
  e di permettere la rimozione degli inerti, a giudizio
  dell'autorità tecnico-amministrativa istituzionalmente
  preposta alla manutenzione idraulica, soltanto nei casi in cui
  essa sia indispensabile ai fini del mantenimento delle
  condizioni di sicurezza e di stabilità dell'assetto idraulico
  del corso dell'acqua; l'affidamento dell'incarico di
  esecuzione delle opere a seguito di appalto e, soprattutto,
  l'alienazione dei materiali di risulta con la procedura dei
  pubblici incanti sono due garanzie ai fini del perseguimento
  degli obiettivi di interesse generale voluti dalla
  legge.
    L'entità delle sanzioni pecuniarie è equamente commisurata
  al valore economico del profitto dell'attività illecita: la
  confisca dei materiali lapidei e litoidi e delle attrezzature,
  nonché l'ordine di risistemazione dei luoghi mirano ad
  accrescere l'efficacia dissuasiva che la nuova legge pone al
  centro di un'azione tesa a prevenire prima ancora che a
  reprimere (articolo 10).
    Il regime così introdotto dalla presente proposta di legge,
  della quale si sollecita l'approvazione, costituisce un quadro
  armonico e corretto nel quale gli enti locali svolgono i ruoli
  e le funzioni che ad essi competono in base alla Costituzione
  e alle altre leggi, restando demandata allo Stato - secondo la
  lettera e lo spirito dell'articolo 17, primo comma, lettera
  a),  della legge 16 maggio 1970, n. 281 -, per
  l'attuazione da parte delle regioni a statuto ordinario, la
  "funzione di indirizzo e di coordinamento delle attività delle
  regioni che attengono ad esigenze di carattere unitario, anche
  in riferimento agli obiettivi del programma economico
  nazionale ed agli impegni derivanti dagli obblighi
  internazionali".
 
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