| La vicenda che ha interessato, e tutt'ora interessa, il
comune di Niscemi è emblematica ed offre spunti di riflessione
per il Parlamento che, sulla base delle esperienze maturate
in quel territorio, è chiamato a riconoscere la validità e
l'efficacia degli strumenti normativi dei quali ha dotato gli
organi competenti per la lotta alla criminalità
organizzata.
Inoltre, costituisce occasione per il Ministero degli
Interni e per le Prefetture per rivedere i criteri di ordine
generale e le misure di carattere organizzatorio da adottare
nei confronti dei Consigli Comunali nei quali vengono
registrate infiltrazioni mafiose.
Si nota, infatti, una carenza di coordinamento e di
direttive che possono rendere uniforme l'attività delle
Prefetture nelle decisioni di scioglimento degli organi
elettivi degli Enti locali. Non è possibile - ancor prima che
sul piano giuridico, dal punto di vista politico - che
provvedimenti così delicati di sospensione degli strumenti e
delle garanzie di democrazia e degli organi di
rappresentanza, vengano lasciati a valutazioni troppo
discrezionali di organi di polizia.
La uniformità di decisioni non solo garantisce tutti gli
Enti locali senza penalizzare o premiare chi cade sotto la
giurisdizione di un prefetto più o meno "severo" od
"attento", ma vale soprattutto ad individuare, con criteri di
obiettività, gli indici di riconoscimento di presenze mafiose
che impongono, senza sospetti di voler delegittimare alcuna
forza politica, i provvedimenti di scioglimento.
Dopo così gravi sanzioni non possono a lungo proporsi
interrogativi e dubbi sulla opportunità o no dello
scioglimento.
Peraltro, una volta sciolto il Consiglio comunale l'Ente
locale deve essere dotato di una gestione commissariale
efficiente ed al di sopra di
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ogni sospetto o vicinanza con l'amministrazione, in grado,
non solo di ben amministrare, ma soprattutto di restituire
prima fiducia, anzi certezza nelle istituzioni.
Ciò non è avvenuto per Niscemi. E ciò non tanto per
dirette responsabilità della gestione commissariale ma perchè
la scelta dei commissari non è stata pienamente oculata e non
ha tenuto conto della imprescindibile esigenza non solo di
"essere" ma anche di "sembrare" lontana da interessi ed
amicizie locali.
L'inopportunità della scelta coinvolge dirette
responsabilità dell'autorità che ha provveduto alla
designazione.
Dopo lo scioglimento di ben 80 Consigli comunali e dopo
il rinnovo di .....Consigli, a distanza di circa cinque anni
dalla legge n. 55 del 1990, le esperienze di questa
Commissione antimafia e quelle delle Commissioni della
trascorsa legislatura, portano a considerare che tutti i
Consigli collusi presentano caratteri distintivi e ricorrenti
che consentono di individuare gli "indici di mafiosità" che
consigliano lo scioglimento.
Con impegno da parte di questa Commissione di tornare con
maggiore approfondimento sul tema dei Consigli comunali
disciolti, può osservarsi che, in modo pressochè costante, in
ogni Ente interessato si riscontrano:
1) una carenza di organico con ricorso a gran numero di
personale precario assunto in maniera clientelare e quindi
legato agli organi di direzione politica;
2) una diffusa tendenza degli amministratori a non
curare gli adempimenti connessi alla riscossione dei tributi
sicchè - a parte il sempre più grave indebitamento dell'Ente
- si diffonde, anche nella cittadinanza, la pratica
dell'illegalità ed intorno ai mancati esborsi a titolo di
imposte, si forma una sorta di "consenso sociale" sulla
attività degli amministratori ed una sorta di resistenza al
ripristino della legalità da parte dei cittadini
"beneficati";
3) una pressochè totale mancanza di normative secondarie
(piani regolatori, regolamenti della polizia urbana,
regolamenti per l'esercizio delle attività artigianali e del
commercio) che obbliga la cittadinanza a ricercare la
protezione o la collusione anzichè revendicare i propri
diritti;
4) una situazione di sostanziale monopolio (od
oligopolio) tra poche famiglie nella gestione degli appalti e
dei servizi comunali;
5) una eccessiva onerosità dei servizi municipali che
presentano costi normalmente più elevati della media e qualità
di beni e servizi modestissimi;
6) l'assunzione in prima persona, da parte della
criminalità organizzata del governo del Comune, mediante la
diretta partecipazione alla vita politica di soggetti facenti
parte o collegati ad organizzazioni mafiose. L'assunzione,
cioè, da parte della mafia del ruolo di autonomo soggetto
politico che interagisce e concorre alla pari, con gli altri
soggetti politici, tendendo ad identificarsi con le forze al
potere.
Pag. 1477
Queste sembrano essere le principali "regole" del
governare mafioso; il collaudato sistema per impadronirsi di
una intera città.
Un'ultima riflessione si impone per il Parlamento.
Lo strumento dello scioglimento degli Enti locali e quello
della certificazione antimafia nel settore degli appalti,
sembrano avere fatto il loro tempo.
Dopo le esigenze di sospensione degli organi elettivi e di
commissariamento, il più delle volte si è ripristinata la
situazione quo ante, con il sostanziale ritorno della vecchia
classe dirigente collusa al governo della città.
Le burocrazie comunali hanno assicurato continuità al
sistema mafioso e, di fatto, spesso con veri e propri
boicottaggi, hanno fatto naufragare i tentativi di ripristino
delle regole del bene amministrare.
Ciò ha generato (e genera) nei cittadini la convinzione
della ineluttabilità della presenza mafiosa; della
impossibilità di accedere al mondo dei diritti senza dovere
richiedere benefito favori.
Ne è riprova che, a parte alcune situazioni locali, quasi
sempre, quando si torna a votare nei comuni disciolti, tendono
a riaffermarsi le stesse forze che sorreggevano i consigli
disciolti. Nella stessa Niscemi - a parte la personale
affermazione del Sindaco - nel nuovo consiglio comunale vi è
una maggioranza che sostanzialmente si rifà alle forze in
passato presenti.
Tale circostanza deve indurre il Parlamento a
riconsiderare con attenzione la intera normativa,
verificandone la sua validità ed individuando nuovi strumenti
di contrasto che, senza mortificare i momenti di democrazia
ed i sistemi di rappresentanza, siano idonei a colpire
efficacemente la criminalità organizzata.
RELAZIONE SULLA SITUAZIONE DELLA CRIMINALITA' ORGANIZZATA NEI
COMUNI DI SAN GIUSEPPE JATO E CORLEONE
Una delegazione della Commissione, guidata dal
Presidente onorevole Tiziana Parenti e composta dal V.
Presidente onorevole Giuseppe Arlacchi. dal Segretario
onorevole Nicola Vendola, dai Commissari onorevole Flavio
Caselli, onorevole Michele Caccavale, onorevole Antonio Del
Prete, onorevole Giovanni Zen, onorevole Gaetano Grasso,
onorevole Giuseppe Scozzari, nonchè dal Vice Presidente
senatore Luigi Ranponi e dai Commissari senatore Pietro
Giurickovic, senatore Cesare Mariani e senatore Ferdinando
Imposimato, al fine di avere una diretta conoscenza della
situazione criminale e della pressione mafiosa insistente sui
luoghi, il giorno 6 dicembre 1994 si è recata in missione
presso i comuni di San Giuseppe Jato e Corleone ove sono stati
ascoltati i rispettivi sindaci, alcuni amministratori e
consiglieri comunali, i comandanti dei presidi delle forze
dell'ordine competenti territorialmente, appartenenti alle
categorie produttive, tra cui alcuni colpiti da azioni
intimidatorie di matrice mafiosa, nonchè i sacerdoti operanti
nelle parrocchie del corleonese.
Pag. 1478
San Giuseppe Jato
1) Il comune di San Giuseppe Jato conta circa 10.000
abitanti. Incentra la propria economia sull'agricoltura e
sull'allevamento del bestiame. Altre attività economiche sono
nel commercio e nell'artigianato. Si tratta, tuttavia, di
presenze non rilevanti e che non riescono ad assorbire
l'occupazione locale (25 per cento circa di disoccupati sulla
popolazione totale con 2.500 iscritti all'ufficio di
collocamento).
L'amministrazione fa attualmente capo ad una giunta
guidata dal sindaco Maria Vitaliana MANISCALCO (PDS), eletta a
seguito delle consultazioni elettorali amministrative del
dicembre 1993 ottenendo, in ballottaggio con altro candidato
(centro destra), oltre il 70 per cento dei voti.
Prima di tale competizione elettorale, all'inizio del
1993, le opposizioni di sinistra avevano sollecitato al
Ministro dell'Interno una inchiesta amministrativa al fine di
accertare eventuali infiltrazioni mafiose nel consiglio
comunale, all'epoca quasi interamente composto da esponenti
della Democrazia Cristina. A seguito di ciò - nelle more
dell'inchiesta ministeriale attuata dal Prefetto di Palermo
con un accesso ispettivo - 10 consiglieri su 20 si dimisero
provocando lo scioglimento dell'organo e quindi il
commissariamento dello stesso, avvenuto il 17 luglio.
La trasmissione del rapporto redatto dagli ispettori
prefettizi ha indotto la Procura della Repubblica del
Tribunale di Palernmo, in data 2 marzo 1994, a disporre il
sequestro di tutta la documentazione esistente presso quel
Municipio relativa a un certo numero di lavori di pubblico
interesse: realizzazione della scuola media e del centro
diurno per anziani; ripristino del salone parrocchiale;
completamento degli impianti sportivi; ristrutturazione del
Corso Umberto, delle scuole elementari, della rete fognaria e
della discarica dei rifiuti. Il relativo procedimento penale
risulta tuttora pendente.
L'assenza di delitti ascrivibili a contrasti tra gruppi
criminali, registrata sia nel 1993 che nel 1994, induce a
ritenere che permanga una situazione di indiscusso dominio dei
"corleonesi" all'interno del tessuto delinquenziale locale,
prevalentemente dedito all'estorsione. Anche per quanto
concerne le condizioni della sicurezza pubblica, si contrasta
un'apparente tranquillità e un apparentemente ordinato
svolgersi della vita sociale, che sono tipici. di ambienti
soggetti a una forte pressione di potere mafioso.
Gli unici episodi, riconducibili ad un contesto di
criminalità organizzata sono rappresentati dal sequestro di
Francesco REDA, che il 13 agosto 1994 è stato prelevato nella
propria abitazione da tre persone armate che si sono poi
dileguate a bordo di una autovettura, e dalla scomparsa
dell'imprenditore edile Girolamo PALAZZOLO, allontanatosi da
San Giuseppe Jato con la propria auto il 23 ottobre 1994. I
due episodi potrebbero essere collegati in quanto entrambi gli
scomparsi erano ritenuti amici di Baldassarre Dl MAGGIO,
collaboratore della giustizia, anch'egli di San Giuseppe
Jato.
Circa le altre manifestazioni delittuose, nel 1994 si sono
verificati due attentati dinamitardi, 6 attentati incendiari
ed una rapina, mentre nel 1993 è stato registrato un solo caso
di attentato incendiario. Nel quadriennio 1989-1992,
complessivamente considerato, si sono invece
Pag. 1479
registrate solo quattro rapine e un attentato dinamitardo.
Per gli anni precedenti il quadro statistico è il seguente:
anno 1989: una rapina;
anno 1990: una rapina;
anno 1991: due rapine ed un attentato dinamitardo;
anno 1992: nessun fatto delittuoso di rilievo.
Alcuni episodi criminosi, riconducibili a tentativi di
condizionamento di natura mafiosa, si sono verificati nel
corso del 1994 nei confronti di amministratori pubblici. E
precisamente:
il 20 febbraio 1994, ignoti hanno incendiato
l'autovettura del sindaco MANISCALCO Maria Vitaliana;
il 23 aprile 1994, ignoti sono penetrati nell'abitazione
di campagna di Gioacchino LO GIUDICE, Presidente del Consiglio
comunale, ed hanno collocato in una stanza un involucro
contenente polvere esplodente, privo di detonatore;
il 17 giugno 1994, la predetta MANISCALCO Maria ha
ricevuto minacce di morte con una lettera anonima pervenuta
presso l'agenzia ANSA di Palermo.
Per quanto concerne la condizione della sicurezza
pubblica, si registra il tranquillo ed ordinato svolgersi
della vita sociale tipici di ambienti fortemente condizionati
dal potere mafioso. Nonostante la presenza di vari attentati
ad impianti produttivi, segnale inequivocabile di una intensa
attività estorsiva, le aggressioni ai beni non vengono
denunciate. La delinquenza minorile è praticamente nulla e gli
unici episodi che vedono protagonisti i giovani, sono in una
diffusa evasione scolastica.
A San Giuseppe Jato, per tradizione considerato mandamento
di primo piano nel panorama della cosca dei "corleonesi", lo
scettro del comando mafioso è attualmente detenuto dalla
famiglia BRUSCA, una delle più autorevoli nell'ambito
dell'organizzazione criminale "Cosa Nostra", che estende il
suo dominio anche sulle famiglie di San Cipriello, Altofonte,
Piana degli Albanesi e Monreale.
I BRUSCA succedono, con il loro esponente Bernardo, a capo
del mandamento all'indomani dell'emigrazione in Brasile di
SALAMONE Antonino, capofamiglia e componente della commissione
provinciale del ventennio compreso tra gli anni sessanta e gli
anni ottanta.
Già vice del citato SALAMONE, BRUSCA Bernardo, grazie alle
sue imprese criminali, riesce a consolidare un incontrastato
potere sul proprio territorio, ad estendere le proprie
illecite attività economiche creando un impero finanziario,
nonchè ad intessere sempre più stretti rapporti con le
famiglie di Corleone - RIINA, BAGARELLA, PROVENZANO -
guadagnandosi un solido collocamento nelle alte gerarchie
mafiose fino a far parte della cosiddetta "Cupola".
A seguito dell'arresto di BRUSCA Bernardo, le redini sono
passate nelle mani del figlio Giovanni, attualmente rientrante
nel gruppo dei più pericolosi latitanti e coinvolto negli
episodi di via Fauro a Roma e via dei Georgofili a Firenze,
nella strage di Capaci, negli
Pag. 1480
omicidi del finanziere Ignazio SALVO e dell'europarlamentare
Salvo LIMA.
In particolare, Giovanni BRUSCA, già condannato a 6 anni
di reclusione per associazione di stampo mafioso in data 10
dicembre 1990 dalla Corte di Assise di appello di Palermo e
poi raggiunto da diverse misure restrittive per lo stesso
reato e per vari omicidi, il 14 marzo 1994 e divenuto
destinatario di una ulteriore ordinanza di custodia cautelare
in carcere per l'omicidio dell'eurodeputato Salvo LIMA. Con
lui sono state rinviate a giudizio, in data 12 aprile 1994,
altre 29 persone tutte appartenenti, con funzioni di
organizzazione e direzione, dell'associazione mafiosa "Cosa
Nostra". Nell'ambito delle indagini sugli attentati di Roma,
Milano e Firenze, inoltre, il BRUSCA è stato colpito da due
ordinanze di custodia cautelare In carcere per il reato di
strage, in qualità di mandante, emesse il 7 luglio 1994 ed il
6 febbraio 1995.
Egli viene attualmente considerato capo della famiglia di
San Giuseppe Jato in sostituzione del padre Bernardo,
arrestato.
2) Il comune di San Giuseppe Jato si inserisce a pieno
titolo nella cerchia di quei centri dell'entroterra
palermitano le cui vicende storiche si legano e si intrescano
inevitabilmente con l'evoluzione del fenomeno mafioso.
Nonostante, infatti, si registrino numerosi e
significativi elementi che indicano la presenza di "forze"
uname estrinsecanti buone potenzialità e sane energie, non si
può sottacere che San Giuseppe Jato ha conquistato gli onori
delle cronache sia per aver dato i natali ad alcuni esponenti
delle cosche siciliane che colà hanno anche vissuto e vivono
organizzando, promuovendo e gestendo tutte le molteplici
attività criminali, sia per essere il luogo ove hanno trovato
rifugio latitanti di spicco del passato e del presente.
Fino al 1993, sebbene a San Giuseppe Jato la vita, in ogni
sua espressione pubblica o privata, venisse sostanzialmente
dominata dalla presenza mafiosa, nessun fatto eclatante era
stato denunciato.
Per contro, all'indomani dell'insediamento del nuovo
consiglio comunale, avvenuto il 5 dicembre 1993, sono stati
compiuti gravi atti intimidatori, rivolti sia ad
amministratori comunali che ad imprenditori, artigiani e
commercianti: oltre all'incendio dell'autovettura del sindaco,
alle minacce commesse a mezzo telefono nei suoi confronti, al
rinvenimento di una rudimentale bomba nella casa di campagna
del presidente del consiglio comunale, va rammentato il taglio
a forma di croce del vitigno appartenente al padre del
capogruppo del PDS con contemporanea deposizione di una
girlanda di fiori sulla porta di casa; nonchè gli incendi
dolosi ai danni di un magazzino adibito a deposito di legname,
di un negozi o di pasticceria e di varie attrezzature
meccaniche appartenenti a un imprenditore edile.
Nel corso delle audizioni sia i pubblici amministratori
che gli imprenditori hanno mostrato una certa comprensibile
resistenza a fornire plausibili motivazioni sulla natura e
matrice di tali attentati. Non sussistono, infatti, prima
facie, elementi chiari ed univoci cui siano direttamente
riconducibili le azioni criminose sopra descritte. Ma, al di
là di questo, le evidenze emergenti da una lettura globale
delle audizioni, viste alla luce del complesso delle
condizioni materiali, sociali e
Pag. 1481
culturali del luogo, forniscono dati sufficienti a
ricostruire un quadro logico-consequenziale degli
avvenimenti.
Il programma di governo comunale è stato improntato s
posizioni vigorosamente antimafiose ed in netto contrasto con
le pregresse gestioni.
Di questa nuova impostazione sono rappresentanti e
promotori in modo inequivoco il sindaco, il presidente del
consiglio comunale e il capogruppo del partito di maggioranza
in seno allo stesso. Su di loro si è appuntata l'attenzione
degli "oscuri oppositori" e contro di loro dovevano essere
intraprese le azioni intimidatorie: colpendo i simboli si è
voluto realizzare un pubblico monito finalizzato a porre un
freno ai tentativi di contrapposizione al potere mafioso.
A giustificare la preoccupazione in capo ai gruppi mafiosi
emerge anche la vitalità con cui imprenditori, commercianti,
artigiani e liberi cittadini hanno espresso il loro consenso a
questa classe politica manifestando, nel contempo, un profondo
desiderio di liberazione e di cambiamento.
In questo contesto, trovano una loro ben precisa
collocazione che gli attentati portati a questa fascia di
popolazione che altra responsabilità non ha se non quella di
aver proferito in pubblico parole di condanna nei confronti
dei gravi atti criminosi accaduti, o di aver sostenuto con
affermazioni ed atteggiamenti l'operatività antimafiosa della
nuova amministrazione.
In effetti, le nuove presenze politiche ed il diverso
atteggiarsi delle forze politiche non potevano essere
"tollerate" da un sistema di potere che prevede il controllo
totale ed assoluto sul territorio di competenza e che non può
consentire di essere messo in discussione da alcun soggetto
ivi operante pena la sua stessa esistenza. Di qui la rabbiosa
reazione contro la nuova amministrazione ed i suoi
sostenitori.
La palese intensificazione dell'attività intimidatoria
abbisogna, però, di una interpretazione ulteriore.
Gli atti sopra menzionati vanno infatti inseriti in un
ambito assai più vasto che comprende numerosi episodi
delittuosi analoghi mai denunciati, le cui vittime formano
quel corpo dei "silenziosi esempi" strategicamente voluto per
seminare terrore e soggezione. La consumazione di reati ad
effetto ammonitivo manifesta, altresì, una reazione
incontrollata delle organizzazioni criminali di stampo mafioso
le quali, orfane di molti capi storici caduti nelle maglie
della giustizia e rimpiazzati da sostituti non altrettanto
"capaci", non hanno saputo conservare quello "status quo"
fondato su antiche condizioni di omertà ed hanno dovuto di
fronte ai primi colpi di riscossa sociale, ricorrere ad atti
di intimidazione diretta più o meno "mirati".
Sono inoltre da sottolineare alcune emergenze che si
connettono direttamente alla serie di attentati registratisi
nei comuni e che ineriscono agli atteggiamenti assunti dalle
società assicuratrici e dagli istituti di credito.
Le prime non mostrano più disponibilità a coprire i danni
provocati dagli attentati mafiosi ed a stipulare nuove
polizze, con evidenti ripercussioni negative sullo sviluppo
dell'imprenditoria. Dal conto loro, le banche frappongono
crescenti ostacoli alla concessione di crediti nei confronti
di coloro che, colpiti nel patrimonio, tentano di sollevarsi
Pag. 1482
e ripristinare le loro attività economiche. Peraltro,
dalle audizioni è emersa, che il sostegno finanziario degli
istituti di credito, non viene a mancare nei confronti delle
persone legate al sistema di potere mafioso.
3) Il comune di San Giuseppe Jato appare essere
gravemente deficitario in quanto a presenza di organi di
polizia. Vi è materialmente ubicata solo una stazione dei
Carabinieri che riceve rinforzo, all'occorrenza, dai più
consistenti presidi collocati nei paesi vicini, mentre, per
quanto concerne la Polizia di Stato e la Guardia di Finanz,
queste garantiscono nei limiti del possibile alcuni servizi
predisposti rispettivamente dal Commissariato e dalla Tenenza
siti a Partinico e competente territorialmente.
Il Commissariato di pubblica sicurezza di Partinico
estende la propria giurisdizione in un ambito assai vasto che
comprende 13 comuni, nessuno dei quali immune da attività
criminali riferibili al potere mafioso.
4) I minimi accenni ad una contrapposizione da parte di
amministratori e cittadini hanno ricevuto una immediata ed
efficace risposta da parte del potere mafioso: il capogruppo
del PDS in seno al consiglio comunale ha ritenuto di
dimettersi a seguito dell'intimidazione esperita nei confronti
del padre; gli imprenditori colpiti nel patrimonio si sono
trovati in gravi difficoltà finanziarie e alcuni di essi, pur
essendo forse in grado di identificare i mafiosi, sembrano
attestarsi in un atteggiamento di sfiducia e di silenzio.
Viene difficile attribuire agli attentati dell'ultimo
periodo un significato diverso da quello di un severo
ammonimento, valido erga omnes, a non contrastare, con
qualsiasi comportamento, il potere esercitato dalla cosa.
L'operatività criminale della "famiglia" si estrinseca,
come ormai esaurientemente riferito da numerosi collaboratori
di giustizia e comprovato da intense indagini giudiziarie, nel
controllo di tutte le attività economiche presenti sul
territorio e dalle quali prevengono enormi profitti;
soprattutto, dagli appalti pubblici, dal traffico di sostanze
stupefacenti, dalle estorsioni. Profitti che, poi vengono
riciclati in altre attività economiche, talvolta lecite con
una preoccupante alterazione del sistema economico,
squilibrato da investimenti di denaro non proveniente dai
canali finanziari e da un mercato non governato dalle regole
della concorrenza.
Con riguardo ai pubblici appalti, alcuni elementi
interessanti sono stati riscontrati in sede di accesso presso
il comune di San Giuseppe Jato dai commissari prefettizi nel
giugno del 1993. Le risultanze degli accertamenti non hanno
condotto ad univoche decisive conclusioni. Tuttavia, è stato
rilevato come sia assai limitata la concorrenzialità nelle
procedure di aggiudicazione delle gare d'appalto e come sia
pressochè sistematico il ricorso alla redazione di perizie di
variante, con il risultato di rendere più oneroso il costo
delle opere da realizzarsi, con indubbio vantaggio per le
imprese appaltatrici.
A ciò si aggiungano i problemi derivanti da una forte
carenza dell'apparato amministrativo e da una lunga tradizione
di acquiescenza
Pag. 1483
a pressioni provenienti da forze politiche fortemente
condizionante (e, talvolta espressione) del potere mafioso.
Da rilevare che 8 opere pubbliche oggetto di appalto dal
1990 nessuna è stata ancora terminata ed i relativi fondi
stanziati sono rimasti assolutamente insufficienti.
5) Un contributo non trascurabile al consolidamento del
potere mafioso vien fornito anche dalle condizioni
economico-sociali in cui versa la zona.
Cultura ed occupazione sono ancora ben lontani dal
raggiungere una soglia di sufficienza. Le strutture
scolastiche sono pressochè inesitenti, mentre la
disoccupazione si alza a livelli assai preoccupanti (la
provincia di Palermo possiede un tasso di disoccupazione pari
al 25 per cento della popolazione rispetto ad una media
nazionale dell'11 per cento) con un reddito procapite che
scende a circa 17 milioni rispetto ai 30 milioni delle regioni
settentrionali.
Tale substrato socio-economico costituisce un humus ideale
da cui la mafia attinge la "manovalanza": la arruola, la
addestra, la utilizza e fra essa sceglie i "migliori"
premiandoli con facili guadagni e con la concessione di
potere.
In tale contesto non può meravigliare il fatto che sui
10.000 abitanti, le famiglie mafiose (i Brusca, i Di Maggio,
gli Enca, i Ganci, i Genovese, i Tolizzi ed i Pullara),
contino di un forza pari a circa il 7 per cento della
popolazione.
E' una forza considerevole e di cui non si può non tenere
conto perchè, come si evince dalle varie audizioni, è presunte
dalle più importanti manifestazioni economiche: banche,
assicurazioni, imprese, pubblica amministrazione.
Dalla viva voce del sindaco sono state rappresentate le
preoccupazioni inerenti alla massiccia presenza, nell'organico
del personale in servizio presso il municipio, di soggetti
vicini alla mafia per ragioni di parentela, di amicizia o
comunque di interesse. Tra gli stessi componenti della
precedente amministrazione, ve ne erano alcuni aventi
collegamenti con soggetti mafiosi ritenuti addirittura facenti
parte della "Cupola".
6) Tuttavia non mancano segnali incoraggianti. Un vivo
spirito di solidarietà e di rivincita antimafiosa è stato
dimostrato dalla cittadinanza in occasione dell'incendio
dell'automobile del sindaco, nella quale circostanza è stata
promossa una colletta il cui ricavato è stato utilizzato per
l'acquisto di una autoambulanza. Inoltre, i recenti successi
ottenuti dallo Stato hanno inferto sicuramente duri colpi
all'organizzazione mafiosa: l'arresto di Bernardo BRUSCA e di
vari suoi affiliati (i figli Emanuele ed Enzo Salvatore, il
cugino BRUSCA Mariuccio ed il figlio di quest'ultimo
Calogero), unitamente al sequestro di beni appartenenti
direttamente o indirettamente alla famiglia, hanno certamente
indebolito la forza del gruppo criminale dominante.
Vanno menzionate, a questo proposito, alcune positive
operazioni che testimoniano anche come gli interessi delle
famiglie mafiose originari di San Giuseppe Jato, esulano dal
contesto strettamente "paesano", per rivolgersi alla città di
Palermo e ad altre provincie siciliane con collegamenti con
altre organizzazioni criminali.
Pag. 1484
3 settembre 1992 - Palermo - Sequestro beni.
Il Tribunale di Palermo, ha disposto nei confronti di
Cataldo FARINELLA, appartenente alla cosca mafiosa di San
Giuseppe Jato, sequestro di beni costituiti da circa 300
ettari di terreno, siti nel comune di Ganci (PA) e
Caltanissetta; 12 autoveicoli; numerose azioni della società
"Costruzioni Farinella S.p.a." di Catania, "Cataldo Farinella
s.p.a." di Catania, "Cataldo Farinella s.p.a." di Ganci e "La
Pineta s.p.a." di Nicosia (EN), nonchè quote del capitale
sociale della "Cooperativa Agricola Portelle s.c.r.l.", delle
ditte "S.l.F. e.c.r.l." e "Presidiana S.c.r.l." di Palermo,
della "Azienda Agricola Mimiani S.D.F." di Caltanissetta,
"F.A.G. s.c.r.l." di Catania e "Savaff s.r.l." di Nicosia.
21 marzo 1994 - Palermo - Sequestro di beni nella
disponibilità di elementi di spicco della mafia
palermitana.
La Polizia di Stato ha eseguito 41 decreti di sequestro
beni emessi dal Tribunale di Palermo nei confronti di
altrettante persone appartenenti alle cosche "San Giuseppe
Jato", "Noce" ed "Altofonte", operanti nel palermitano, tra le
quali figurano Giuseppe AGRIGENTO, Giuseppe BRUSCA, Santo DI
MATTEO e Raffaele GANCI.
I beni oggetto del provvedimento sono costituiti da
appartamenti, magazzini, fabbricati rurali, lotti di terreno,
autoveicoli, depositi bancari, società e ditte individuali,
per un valore complessivo di oltre 100 miliardi di lire.
Nel corso dell'operazione è stata sequestrata, anche,
documentazione bancaria afferente alla concessione di prestiti
e di finanziamenti da parte di vari istituti di credito.
7) Per controverso, è a tutti nota la formidabile
capacità della mafia di risollevarsi, di trasformarsi, di
adattarsi costantemente alle nuove situazioni.
Così come non possono ignorarsi le difficoltà operative
incontrate dalle forze dell'ordine (e denunciate nel corso
delle audizioni) nel condurre una indagine sul territorio:
impossibilità di espletare servizi riservati, rigide norme
procedurali da rispettare, assoluta mancanza di collaborazione
da parte dei cittadini ed in particolare di quelli danneggiati
da reati di mafia, i quali, peraltro, a causa della loro
omertà, non possono neppure ottenere i risarcimenti in denaro
previsti dalle leggi dello Stato in caso di fattiva
collaborazione con gli organi inquirenti.
La latitanza di Giovanni BRUSCA costituiscono l'esempio
della perdurante vitalità di "Cosa Nostra" e sono di oggettivo
ostacolo nella ricerca di fattive collaborazioni da parte
della cittadinanza che non avverte una reale forza dello
Stato.
Certo la Commissione non può non rilevare come il coraggio
e la volontà mostrati dalla nuova giunta abbiano incrinato il
sistema di potere mafioso. Hanno prodotto un varco nel
delicato intreccio tra mafia e pubbliche istituzioni riponendo
un vecchio e radicato equilibrio.
E' da rilevare, tuttavia, che - perchè tale opera non sia
vana - occorre un forte sostegno da parte dello Stato da
concretarsi non solo con una maggior presenza delle forze
dell'ordine, ma anche e soprattutto
Pag. 1485
con una convinta e credibile opera di risanamento
sociale, economico e culturale. Nella sua accorata audizione
il sindaco ha dichiarato che i concetti di libertà e
democrazia debbono ancora affermarsi in San Giuseppe Jato.
A tutt'oggi, nonostante i segnali di nuova presa di
coscienza sociale e l'impegno delle forze dell'ordine mancano
ancora elementi concreti e tangibili su cui riporre fiducia e
speranza.
8) Il quadro emerso dall'analisi della realtà di San
Giuseppe Jato porta la Commissione antimafia a svolgere le
seguenti considerazioni:
a) è fonte di grave preoccupazione l'apparente
pace sociale ed ordinato svolgersi della vita cittadina che
regna nel comune. Nonostante la mancanza di denunce sui
delitti più gravi vi sono indubbie manifestazioni di una
intensa attività estorsiva che controlla tutte le attività
economiche.
Il clima omertoso che caratterizza i rapporti tra vittime
ed estorsori, non sembra derivare da una radicata mentalità
collusiva negli abitanti ma, piuttosto, da un diffuso timore
di ritorsione. La schiacciante vittoria del nuovo gruppo
dirigente del comune, che ha condotto la campagna elettorale
all'insegna della lotta alla mafia "l'attuale sindaco fa parte
del direttivo dell'Associazione delle Donne Siciliane per la
lotta alla mafia), dimostra la volontà della popolazione di
liberarsi dal potere mafioso. Tuttavia manca ancora un
corretto raccordo con le istituzioni ed un clima di fiducia
nei confronti delle forze dell'ordine e della magistratura;
b) le forze del cambiamento presenti nella nuova
amministrazione si scontrano contro una burocrazia comunale
formatasi sotto una classe politica fortemente condizionata
dal potere mafioso. Alcuni dipendenti comunali, tra i quali lo
stesso comandante dei vigili urbani, risultano avere leggi di
parentela con le famiglie mafiose. Ne derivano incrostazioni e
resistenza ad un modo di amministrare che vorrebbe
caratterizzare la sua attività più sulla rivendicazione del
"diritto" che sulla ricerca del "favore". Peraltro, la
vicinanza (se non immedesimazione) che, soprattutto nel
passato, ha caratterizzato potere legale e potere illegale, ed
il diretto coinvolgimento della impresa criminale nelle
attivita economiche finanziate con pubblico denaro,
costituiscono inequivocabili segnali che la mafia di San
Giuseppe Jato non si limita al controllo delle attività
economiche che si realizzano nel territorio, ma è, essa
stessa, soggetto politico ed economico;
c) per altro verso, lo stesso potere illegale nel
passato, ha ricercato forme di consenso presso la popolazione
assicurando un regime di diffusa illiceità mediante la
concessione di vantaggi costituenti veri e propri
benefit (abusivismo edilizio; mancato pagamento delle
tasse di circolazione; mancato pagamento delle utenze acqua e
luce) che, in qualche modo, sono stati interpretati dai
cittadini come vere e proprie forme risarcitorie del pagamento
di tangenti e "pizzi" vari. All'attualità, l'opera di
risanamento della giunta municipale, che giustamente non può
più tollerare tali "vantaggi risarcitori", (ad esempio
l'attività relativa all'abusivismo edilizio è pressochè
scomparsa: 114 casi nel 1993 8 casi nel 1994 e 3 nel
Pag. 1486
1995) viene denunciata come dannosa dalle forze di
opposizione ancora legate al vecchio sistema di potere.
Si teme che, in assenza di altri accadimenti,
principalmente un nuovo impulso alle attività economiche con
la disponibilità di maggiore occupazione, la popolazione sia
nuovamente indotta a scegliere i nuovi amministratori tra
coloro legati al sistema di potere illegale.
Corleone
1) Il comune di Corleone ha poco più di 11.000 abitanti
e una economia prevalentemente agricola e pastorale. E' un
centro che si estende per circa 23.000 ettari sito in una
depressione montana distante da Palermo 60 Km. E' sede di un
commissariato di Pubblica sicurezza, di una compagnia di
Carabinieri e di una brigata della Guardia di Finanza. Ospita
una Pretura e scuole superiori dei principali indirizzi.
La crisi occupazionale esistente, specie nel campo
dell'edilizia, ha determinato, negli anni passati, una
massiccia emigrazione verso la Germania, la Svizzera ed il
Belgio. La popolazione attuale, di conseguenza, è
rappresentata in gran parte da anziani. Altra fonte di
occupazione è rappresentata dagli Ospedali ubicati a Corleone
e nel vicino paese di Palazzo Adriano. Un serbatoio
professionale è costituito dalla locale scuola per infermieri
professionali che diploma ogni anno circa 25 allievi.
Negli ultimi anni larghi strati della popolazione, per lo
più giovani, sono stati impegnati in un'azione di
contrapposizione politica ai vecchi amministratori della
Democrazia Cristiana che, guidati dal sindaco Michele La
Torre, hanno gestito il municipio per lunghissimi anni. 1
questo contesto, nel febbraio del 1993, i progressisti tra i
quali Giuseppe Cipriani poi diventato sindaco, promossero una
raccolta di firme al fine di sollecitare una inchiesta
sull'amministrazione locale volta ad evidenziarne le
infiltrazioni mafiose e proporre il commissariamento della
stessa. Senonchè, nelle more dell'inchiesta amministrativa poi
disposta dal Prefetto di Pale", 15 consiglieri si dimisero
provocando automaticamente la caduta del consiglio comunale e
quindi il commissariamento del comune, durato fino alle
elezioni del 1993.
Dall'accesso ispettivo disposto dal Prefetto di Palermo è
comunque risultato che alcuni amministratori comunali erano in
rapporto di parentela e di frequentazione con esponenti, anche
di rilievo, di "Cosa Nostra".
A seguito delle consultazioni del dicembre 1993, è stato
eletto Sindaco Giuseppe Cipriani, che guida una giunta
progressista.
Le opposizioni sono rappresentate da ex consiglieri della
Democrazia Cristiana e del Partito Socialista Italiano legai
all'ex sindaco La Torre.
2) Nella Corleone dell'inizio secolo, caratterizzata dal
latifondo, dove i proprietari assenteisti affidavano
l'amministrazione dei beni a campieri e gabellotti, si assiste
ad un'ascesa di questi ultimi che finirono per assumere un
rilievo sociale tale da diventare arbitri di una convivenza
civile basata su privilegi, ingiustizie e soprusi. Accanto ad
Pag. 1487
essi vi erano i contadini poveri e i salariati agricoli che
coltivavano le terre del ricchi "massari", che vivevano in
condizioni di assoluta miseria essi erano, pertanto, soggetti
alle prepotenze di campieri e gabellotti, che spesso
riuscivano a raggiungere alti gradi nell'amministrazione
comunale.
Questo è l'assetto sociale in cui si inseriscono le prime
lotte agrarie capeggiate da Bernardino Verro, che aveva
interpretato l'aspirazione e la volontà dei contadini di
lottare contro lo sfruttamento mafioso che aggravava la loro
condizione già precaria. Proprio per aver dato coraggio e
fiducia ad essi, il Verro venne ucciso nel 1915 da elementi
legati alla mafia.
La mafia di Corleone, rinata dopo le repressioni del
Prefetto Mori, riprese potere nel dopoguerra infiltrandosi e
ramificandosi nei più vari settori, tra cui quello della
pubblica amministrazione, e legò a quell'epoca le sue vicende
a quelle del medico capo-mafia Michele Navarra.
Ben presto si assistette allo scontro di potere tra il
Navarra ed i campieri, fra cui emergeva la figura di Luciano
Leggio, campiere del feudo Strasatto. L'ampia libertà d'azione
e la protezione accordata dal Navarra al Leggio, quando questi
era suo affiliato, unite alla natura prepotente ed ambiziosa
di quest'ultimo, fecero si che costui mirasse a sostituirsi al
suo stesso capo. La conseguenza fu che da parte del Navarra si
ricorresse ai ripari decretando l'eliminazione del Leggio e
organizzando un attentato contro di lui, in località Piano di
Scala, agli inizi dell'estate del 1958. Il Leggio riuscì
miracolosamente a sfuggire all'attentato e la sua reazione non
tardò ad arrivare: infatti il Navarra venne ucciso nell'agosto
dello stesso anno.
Seguì una lotta sanguinosa tra i due gruppi rivali,
contrassegnata da omicidi, sequestri e sparizioni di persone,
che sii concluse con l'affermazione del Leggio come indiscusso
capo della mafia locale.
La spregiudicatezza sanguinaria del Leggio si era già
manifestata sin dagli anni Quaranta. Nel 1945, a soli
vent'anni, egli aveva ucciso, nei pressi della sua abitazione
in Corleone, una guardia giurata che l'aveva arrestato l'anno
prima in flaganza di furto, mentre nel 1948 aveva partecipato
al sequestro di persona ed alla successiva eliminazione del
segretario della locale camera del lavoro Placido Rizzotto che
si era prodigato a favore del movimento contadino per la
revisione della politica agraria, incontrando la forte
resistenza dei proprietari terrieri, e che si era impegnato
decisamente contro lo strapotere mafioso.
In seguito a tali omicidi, e più ancora 2 seguito
dell'eliminazione del Navarra, il prestigio mafioso del Leggio
crebbe notevolmente. Con lui la mafia di Corleone spostò i
suoi interessi verso Palermo agganciandosi agli esponenti
mafiosi del capoluogo, dove la mafia, con un salto di qualità,
era passata a forme speculative più redditizie legate ai
mercati, ai trasporti, all'edilizia e al traffico degli
stupefacenti. E' così che, a Palermo, Leggio si allea con i La
Barbera, Buscetta, Greco e con altre famiglie mafiose,
diventando egli stesso un capo dell'associazione "Cosa
Nostra".
Pur riuscendo a uscire indenne dalla maggior parte del
processi di mafia degli anni '60, il Leggio trascorse molti
anni in carcere. Dopo un primo periodo di detenzione dal 1964
al 1969 seguii un quinquennio
Pag. 1488
di latitanza che terminò con il suo arresto definitivo,
avvenuto a Milano il 17 maggio 1974. Leggio morrà in carcere
nel 1993 essendo ormai raggiunto da due condanne definitive:
quella all'ergastolo irrogatagli a Bari per l'omicidio Navarra
e quella a vent'anni di reclusione irrogatagli a Milano per
associazione per delinquere e sequestri di persona a scopo di
estorsione.
Il naturale successore di Luciano Leggio nella guida della
mafia Corleonese fu Salvatore Riina, nato a Corleone il 16
novembre 1930.
Persona astuta, determinata e pronta a non perdere
occasioni per dimostrare le sue qualità criminali, Riina è
stato sicuro compagno di viaggio del Leggio nella
realizzazione di programmi criminosi e nell'ascesa del gruppo
di appartenenza ai vertici del sistema mafioso siciliano.
Arrestato pure lui per molti dei delitti attribuiti al Leggio,
tra cui gli omicidi del sindacalista corleonese Placido
Rizzotto (10 marzo 1948) e del dottore Navarra (2 agosto 1958)
viene scarcerato nel 1969 e fugge, il 7 luglio di quell'anno,
dalla sede di soggiorno obbligato.
Da quel momento, il Riina viene raggiunto da numerosi
mandati di cattura, figurando imputato o sospettato di aver
organizzato, spesso partecipandovi, numerosi omicidi
verificatisi nell'ultimo ventennio nell'isola. Protagonista
dell'avanzata della cosca corleonese nel capoluogo palermitano
è, via via, in contesti geografici sempre più ampi, è
risultato coinvolto in gravi episodi, tra i quali vanno
ricordati, in particolare, la strage di viale Lazio (10
dicembre 1969), l'omicidio del Procuratore della Repubblica
Pietro Scaglione (5 maggio 1971), il sequestro
dell'imprenditore Luciano Cassina (16 agosto 1972).
Il 16 aprile 1974 contrae matrimonio, mediante il solo
rito religioso, con Antonina Bagarella, sorella dei noti
"uomini d'onore" Leoluca e Calogero, che lo seguirà durante la
latitanza.
Nello stesso anno, l'arresto di Luciano Leggio gli
consente di diventare membro effettivo e permanente della
"commissione", organo supremo di decisione del consesso
mafioso siciliano. E dal 1974 in poi, il Riina viene indicato
dai collaboratori Buscetta, Cantorno e Calderone come
l'ispiratore ed il regista di tutte le imprese criminali e dei
rapporti con la malavita campana (clan "Nuvoletta") e nord
americana ("Cosa Nostra"). Contestualmente, è un sicuro
negoziatore degli affari e della vita economica della cosca,
sorretta da intese e condizionamenti riferiti dall'apparato
politico-amministrativo siciliano (Vito Ciancimino).
A partire dagli anni '80 dopo la conquista di spazi anche
a livello internazionale, nella gestione dei traffici di
droga, il Riina è conduttore del processo di rinnovamento del
sistema mafioso palermitano, iniziato con le eliminazioni di
Stefano Bantade (23 aprile 1981) e Salvatore Inzerillo (11
maggio 1981). Nella "guerra di mafia", il Riina viene
coadiuvato da un altro personaggio di rilievo della cosca
corleonese, Bernardo Provenzano, ed è considerato dagli
investigatori il mandante di gravi omicidi, a partire da
quello del Prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa (3 settembre
1982). L'affermazione della cosiddetta "mafia vincente"
palermitana riconosciuta in sede investigativa e processuale,
avrebbe portato il Riina a ridisegnare, nel 1986, la struttura
di "Cosa Nostra", guidata fino ad allora da Michele Greco
detto "il Papa", e, sempre sulla base delle dichiarazioni dei
pentiti, egli viene considerato l'indiscusso capo
dell'organizzazione criminale siciliana.
Pag. 1489
3) Anche a Corleone, come a San Giuseppe Jato, si respira
di fatto un'aria di apparente tranquillità sul piano
dell'ordinato vivere civile e delle attività criminali. Non
circola droga, non si verificano molti furti nè grossi reati e
gli ultimi omicidi per regolamenti di conti tra cosche mafiose
sono avvenuti diversi anni fa. Tutto induce a ritenere che
questa singolare tranquillità si dovuta ad una situazione di
ostentata compattezza interna dell'ambiente mafioso
dominante.
Così, nel 1990 c'è stato soltanto l'omicidio dovuto ad una
lite di confine; il 1991 ha registrato un tentato omicidio 2
attentati incendiari e due rapine; nel 1992 si è verificato un
solo attentato incendiario, e così anche nel 1993.
Peraltro, il 28 gennaio 1994 è stato ucciso un
commerciante di articoli di abbigliamento, Giuseppe Giammola,
fatto su cui sono in corso indagini e su cui non è stato
ancora possibile far luce.
Nel 1994 non si sono verificati altri reati di rilievo -
salvo un attentato incendiario ed una rapina - ma appare
significativo che il 4 novembre 1994 di quell'anno, durante la
notte, ignoti abbiano asportato la targa toponomastica della
piazza intitolata a Falcone e Borsellino, rinvenuta in pezzi
una ventina di giorni dopo in un fondo sito dietro una scuola
elementare. Le indagini relative hanno consentito di deferire
all'A.G. alcuni giovani del luogo tra i quali i figli di
Salvatore Riina, Giovanni e Giuseppe.
Altrettanto sintomatico e che la relativa "pax mafiosa"
corleonese sia stata scandita, sempre nel 1994, da alcuni
chiarissimi tentativi di condizionamento di natura mafiosa nei
confronti di amministratori pubblici, in particolare del
sindaco Giuseppe Cipriani, che è stato oggetto dei seguenti
fatti delittuosi:
nel febbraio e nel marzo del 1994 il sindaco ha ricevuto
minacciose intimazioni telefoniche a dimettersi dalla
carica;
il 4 marzo 1994, la fidanzata del sindaco Miceli Maria
Rita, ha rinvenuto, davanti la porta di ingresso della propria
abitazione, una testa mozzata di vitello;
il 9 marzo 1994, presso la sede provinciale della CGIL,
di Palermo, è pervenuta una telefonata con la quale un anonimo
ha proferito minacce di morte nei confronti del Cipriani;
il 27 maggio 1994, con una telefonata giunta presso la
redazione palermitana del quotidiano "La Sicilia", il predetto
è stato nuovamente minacciato di morte;
il 17 giugno 1994, presso l'agenzia "ANSA" di Palermo, e
pervenuta una lettera anonima, su carta intestata del sindaco
di Corleone, contenete minacce di morte nei confronti di
magistrati, politici, sacerdoti, appartenenti alle forze di
polizia ed altri;
il 3 luglio 1994, ignoti hanno decapitato la statua di
Bernardino Verro, sindacalista del PSI e sindaco del comune,
ucciso dalla mafia nel 1915;
il 13 dicembre 1994, presso il municipio di Corleone è
pervenuta una lettera anonima contenete minacce di morte nei
confronti del
Pag. 1490
sindaco e di due funzionari del locale Commissariato di
Pubblica sicurezza.
Nel 1995 sembra riprendere vigore l'attività omicida. Il
25 febbraio 1995 vengono uccisi all'interno della propria
autovettura i coniugi Giammona Giovanna e Saporito
Francesco.
Tutti questi episodi sono chiarissimi segnali di come
"Cosa Nostra", oggi dominata dallo "schieramento" corleonese,
tema la mobilitazione civile e l'azione di rinnovamento
promossa dalla nuova amministrazione comunale. E colpisce come
a questa escalation di atti intimidatori, e carichi di
simbolismi chiaramente mafiosi, parte dei consiglieri comunali
- nelle dichiaraziani da loro rese a questa Cammissiane
parlamentare - abbia mostrato di dare scarsissima importanza,
sino al punto che alcuni di essi hanno tentato addirittura di
negarne l'esistenza.
4) Per quanto riguarda gli attentati ai danni di
imprenditori, i rappresentanti delle forze di polizia hanno
riferito alla Commissione che la diffusa omertà sulle cause
degli stessi rende assai difficile il lavoro di indagine. Tra
l'altro, si tratta molto spesso di attentati dalle modalità
semplicissime, come l'incendio dell'automobile o del cantiere,
che possono essere realizzati con pochissimo materiale a
disposizione (una tanica di benzina e dei fiammiferi) ed in
tempi brevissimi.
Il titolare di una ditta di costruzioni di San Cipriello,
che subì uno di questi attentati, riferì ai carabinieri di
aver ricevuto qualche tempo prima la richiesta di aderire ad
un determinato servizio di vigilanza. Tuttavia, le indagini
effettuate sulla ditta esercente il servizio di vigilanza - la
cui attività non si estende a tutti i comuni interessati da
questi attentati - non hanno dato esiti significativi.
5) Quanto all'applicazione della normativa antimafia,
infatti, si segnalano le seguenti operazioni positive.
3 luglio 1993 - Palermo - sequestro di beni nei confronti
di esponenti dell'organizzazione mafiosa dei "Corleonesi". Il
Tribunale di Palermo ha disposto, il sequestro dei beni nei
confronti di Salvatore Riina, Bernardo Provenzano ed altri 12
esponenti dell'organizzazione mafiosa dei "Corleonesi". I
beni, sono costituiti da numerosi immobili ubicati nel
capoluogo, in Corleone, Monreale, Piana degli Albanesi, da
quote azionarie di società operanti nel settore sanitario,
agro-alimentari, chimico-farmaceutico e tessile, da ditte
individuali intestati ad Arturo Lipari e Francesco Grizzaffi,
nonchè da conti correnti e depositi bancari per oltre 700
milioni di lire. Il valore complessivo dei beni ammonta circa
80 miliardi di lire.
22 marzo 1994 - Palermo - sequestro beni.
Nel corso del procedimento per l'applicazione della
misura di prevenzione patrimoniale nei confronti di Riina
Salvatore ed altre 10 persone, sono stati eseguiti più
provvedimenti di sequestro di beni, disposti dalla locale A.G.
ai sensi della legge 575/65, risultati nella disponibilità dei
prevenuti. I beni oggetto del sequestro sono costituiti da due
Pag. 1491
appezzamenti di terreno agricolo, uno edificabile, 145
appartamenti, 20 villette, 39 cantine, 199 garages, 49 uffici,
30 locali negozi, 60 automezzi, 15 conti correnti, 5 depositi
titoli, 7 libretti al portatore, pacchetti di partecipazione
relativi a n.33 imprese, crediti verso società e patrimoni
societari per un valore complessivo di circa 153,726 miliardi
di lire.
In proposito, è utile rilevare came i beni oggetto di
sequestro che sono nella disponibilità di personaggi di
rilievo, originari di Corleone, si trovino allocati fuori dal
suddetto centro, nel comprensorio palermitano.
Questi provvedimenti sono il risultato di un preciso
impegno da parte di vari uffici locali e nazionali, che teso
principalmente al controllo del territorio ed alla ricerca dei
latitanti, ha portato anche all'analisi dei rapporti economici
e criminali esistenti tra le varie famiglie, ed ha inoltre,
permesso grazie anche alle dichiarazioni di alcuni pentiti, di
redigere un elenco di personaggi appartenenti alla famiglia di
Corleone.
La strategia di conquista del potere assoluto, messa in
atto da Totò Riina, si è svolta in due momenti: il primo ha
visto l'eliminazione di tutti gli esponenti più
rappresentativi dello schieramento avversario alla coalizione
dei Greco-Corleonesi; nel secondo si è svolta una graduale
opera di selezione interna al gruppo dei Corleonesi,
realizzata attraverso la progressiva eliminazione degli
"uomini d'onore" non ritenuti più affidabili.
Tali manovre hanno condotto alla formazione di una
ristretti oligarchia costituita dalla famiglia di Corleone, da
quella dei Madonia, dei Brusca, dei Ganci, dei Galatolo,
nonchè da quelle guidate da Gambino Giacomo Giuseppe e da
Pippo Calò che nel corso degli anni, ha gradatamente assorbito
e neutralizzato i gruppi rivali. A tutt'oggi, nonostante la
cattura dei suoi principali esponenti, lo schieramento
creatosi intorno a Riina appare ancora in grado di far fronte
all'azione repressiva dello Stato. La forza dei corleonesi
deriva anche dal fatto che, all'interno di Cosa Nostra, sembra
non esistere alcun schieramento in grado di sfidare la
coalizione guidata da Riina e di sostituirla nel "governo"
della mafia, ne la "Stidda", insieme di gruppi criminali che
in alcune situazioni potrebbero approfittare di momenti di
crisi di Cosa nostra, può rappresentare un serio pericolo.
L'impegno delle istituzioni si è manifestato anche in
controlli sull'aspetto fiscale di un centinaio di attività
economiche, controlli, che hanno consentito, tra l'altro, di
focalizzare l'attenzione su alcuni imprenditori edili legati
alla criminalità organizzata da vincoli di parentela o di
altro genere. Si è così scoperto che molte delle cooperative,
nate per sviluppo agricolo e per dare nuovi posti di lavoro ai
giovani non hanno mai raggiunto il loro scopo, nonostante
l'erogazione dei contributi da parte della regione; chiaro
sintomo di deviazione del denaro pubblico verso altri scopi.
Il pubblico denaro, cioè, è stato dapprima stornato verso
scopi non consentiti, successivamente sono mancati i dovuti
controlli.
Gli interessi tra imprenditoria, pubblica amministrazione
e criminalità organizzata hanno quindi trovato coincidenza in
questo che in altri affari riguardanti finanziamenti
pubblici.
La carenza di controlli e di sostanziale avvallo alla
diffusa illiceità si riscontra in tutti i settori della vita
cittadina dove vengono violate le
Pag. 1492
più elementari norme del vivere civile, dal pagamento delle
tasse a quello delle assicurazioni obbligatorie.
6) Circa le infiltrazioni mafiose nell'ambito degli Enti
locali, il sindaco di Corleone ha riferito che in passato si
era verificata una spartizione dei centri di potere costituiti
dalla USL e dal Comune, con gli uomini di Ciancimino che erano
in possesso della USL ed altri, appartenenti a un gruppo
diverso, che di fatto controllavano il Comune. Lo stesso
sindaco aveva chiesto l'invio di ispettori della Regione per
effettuare una verifica sul personale del comune.
Il sindaco, in particolare, ha richiamato l'attenzione
della Commissione sulla mancata approvazione del piano
regolatore e sul fatto che le assunzioni pubbliche siano
rimaste bloccate per anni.
Il comune, infatti, nonostante l'obbligo sancito nel 1978
di dotarsi di piano regolatore, non ha provveduto.
Nell' iter burocratico previsto per l'approvazione dello
stesso, iniziato, tra l'altro, solo nel 1988, si sono
evidenziate gravi lentezze ed inerzie delle amministrazioni
comunali che si sono succedute, nell'adozione dei
provvedimenti necessari. Per lungo tempo si mancò di fornire
ai progettisti gli elementi indispensabili (cartografie,
relazione sulle direttive di massima) per la realizzazione del
piano medesimo". Semplicemente, in passato la direttiva
implicita è stata quella di non far approvare il piano
regolatore perchè la sua assenza favorisce la speculazione ed
il disordine edilizio.
La mancata adozione del piano regolatore non ha consentito
di disporre, nell'ambito del comune, di terreni edificabili
che avrebbero dato a molti cittadini la possibilità di
costruire le proprie case ed alla stessa amministrazione
camunale di intervenire nel settore edilizio
economico-popolare per sopperire alla carenza degli alloggi
inoltre, tale inottemperanza ha fatto si che i prezzi delle
poche aree edificabili aumentassero tanto da renderli
inaccessibili al ceto medio. Si è appurato, però, che nei
terreni ubicati in queste aree, esistono edifici di civile
abitazione di proprietà di soggetti indiziati di appartenere
ad ambienti mafiosi. Peraltro, il dato concernente
l'abusivismo edilizio (1.100 domande per la sanatoria del 1985
e 250 per la sanatoria del 1994) testimoniano che la mancata
adozione del piano regolatore è stata interpretata dai
cittadini non come la impossibilità di edificare ma come la
mancanza di alcuni limiti alla realizzazione di opere. La
irregolare situazione ha reso complici i cittadini della
diffusa illegalità. La cattiva gestione si è trasformata in
consenso.
Nella stessa ottica si spiega anche la volontà di
ostacolare le assunzioni pubbliche. Infatti è strategia dei
capi mafia impedire che posti di responsabilità vengano
occupati da persone non "amiche". In Corleone si ha così una
situazione dell'organico comunale che, a fronte di una
accentuata esigenza di organico di 150 unità prevede una forza
effettiva di appena 84 dipendenti di ruolo. La debolezza della
struttura consente di adottare (e di giustificare) una
politica improntata sulla ricerca del favore, anzichè sulla
rivendicazione dei diritti.
7) Le dichiarazioni rese alla Commisione antimafia dagli
amministratori di Corleone hanno fatto emergere come
l'equivalenza "corleonese" uguale "mafioso", scomodo retaggio
storico che grava
Pag. 1493
sui cittadini di questo centro, venga vissuto come fattore
gravemente penalizzante.
Alcuni membri del consiglio comunale hanno segnalato alla
Commissione l'insensibilità di alcune amministrazioni
precedenti, che non hanno saputo dare risposte adeguate alle
molteplici richieste della cittadinanza, come investimenti
corretti e mirati alla soluzione dei principali problemi del
paese: mancano scuole, strade, posti di lavoro, strutture
sportive e tutto ciò che potrebbe portare i giovani ad
allontanarsi dalla mentalità mafiosa.
Sulla questione della viabilità ha insistito il sindaco di
Corleone, facendo alla Commissione la richiesta precisa di
impegnarsi specificamente, e comunque rimettere allo studio
una puntuale ricerca della soluzione più efficace, onde
rendere finalmente possibile e sollecitamente attuabile senza
condizionamenti mafiosi la costruzione della strada
Corleone-Sciacca-Palermo, di vitale importanza per la comunità
cittadina e la cui realizzazione è da lungo tempo bloccata. La
mafia si combatte anche costruendo strade e scuole,
assicurando l'istruzione ed un lavoro ai giovani, dando
fiducia ai cittadini e dimostrando loro can i fatti che le
opere di interesse pubblico si possano realizzare rapidamente
e tenendone rigorosamente fuori i mafiosi.
E tanto maggiore sarà il vantaggio se un
esperimento-pilota di questo genere si verificherà nella
città-simbolo di "Cosa Nostra".
Conclusioni
L'esito delle audizioni rese alla Cammissione antimafia,
l'esame dei documenti e degli altri elementi raccolti dalla
Cammissione (in particolare la relazione sugli accertamenti
disposti presso il comune di Corleone dal Prefetto di Salerno
nel gennaio 1993), portano a svolgere le seguenti
considerazioni:
a) la pur interessante volontà di rinnovamento
manifestata dalla popolazione comunale, che nel dicembre del
1993 si è liberata delle vecchie presenze politiche colluse (o
acquiscienti) con la mafia, si scontra con una realtà
amministrativa e con una radicata cultura di potere che, di
fatto, ostacolano l'attività amministrativa promossa dalla
giunta ed impostata ad una maggiore trasparenza ed alla
cessazione del diffuso stato di illegalità che da anni
caratterizza il rapporto tra cittadini e pubblici poteri.
Da una parte, infatti, al rinnovamento degli
amministratori non ha fatto luogo un pari rinnovamlento della
burocrazia comunale che è tuttora espressione della vecchia
classe dirigente e dei consolidati sistemi di "padrinati" e di
clientele.
L'inchiesta amministrativa ha messo in luce i rapporti dei
vecchi amministratori (in gran parte appartenenti alla ex
Democrazia Cristiana) con organizzazioni mafiose.
A Corleone, la mafia oltre all'intimidazione al clima di
terrore ha ricercato il consenso degli elettori coinvolgendo i
cittadini in un clima di illegalità diffusa che in qualche
modo ha "compensato" le vittime della prepotenza.
E', quindi, il diffuso abusivismo edilizio e commerciale;
la pressochè generale mancanza di pagamento delle tasse di
circolazione e
Pag. 1494
delle altre tasse statali e comunali; l'erogazione del
favore; l'aiuto per la concessione del contributo pubblico; il
lavoro nero e quant'altro.
La Commissione antimafia segue con grande interesse il
lavoro della nuova giunta; tuttavia, è vivamente preoccupata
che l'intrapresa opera di risanamento dalla diffusa illegalità
(il contenimento dell'abusivismo edilizio, il pagamento dei
tributi) non porti la popolazione a sentirsi penalizzata dal
"nuovo" sistema di amministrare. Le forze dell'opposizione,
ancora legate ai vecchi patronati politici, sembrano volere
alimentare questo scontento. Ne sono riprova le resistenze che
si frappongano all'approvazione del piano regolatore che
porterebbe ad un più ordinato (e legale) svolgersi della vita
economica cittadina;
b) la Commissione auspica che il Parlamento ed il
Governo riconsiderino con attenzione e responsabilità i
problemi che derivano dalla sostanziale inamovibilità della
burocrazia comunale nei comuni che si presentano ad alto
rischio mafioso.
Come primo elemento per rendere più efficiente e più
trasparente l'attività amministrativa del comune andrebbe
considerata la possibilità di poter integrare gli organi
mancanti mediante lo svolgimento di concorsi pubblici condotti
con rigorosissimi criteri che consentano serie selezioni di
soggetti altamente professionali e non compromessi con sistemi
di potere illegali.
Nello stesso tempo la Commissione ritiene che debbano
essere rese operativi - nel rispetto e con l'accordo delle
organizzazioni di categoria - piani di progressiva mobilità
(eventualmente limitata nell'ambito dei distretti) del
personale appartenente alle forze dell'ordine, in quanto il
radicarsi e l'operare troppo a lungo nello stesso comune
genera, oggettivamente. un indebolimento dell'azione di
contrasto dei dirigenti e degli agenti delle forze
dell'ordine;
c) l'azione di contrasto non può rimanere
monopolio delle sole forze dell'ordine e della magistratura.
Oltre gli aspetti militari e giudiziari della lotta alla mafia
occorre curare la crescita e la presa di coscenza della
popolazione che si deve coinvolgere nella grande impresa.
Ma per ottenere positivi risultati ed, anzi, per non
regredire nella strada già intrapresa dal tormentato popolo
dei corleonesi, occorre rompere la cerchia di isolamento in
cui vive la città; promuovere ulteriori scambi; fare circolare
idee; dare dimostrazione del forte ed operoso clima di
solidarietà che vige nei confronti di coloro che sono
assoggettati al potere mafioso.
In primo luogo, dunque, è assolutamente necessario che
questo paese, sito ad appena 60 Km dalla capitale siciliana,
sia dotato di un sistema di collegamenti meno penalizzante di
quello attuale.
La strada statale Corleone-Sciacca-Palermo deve essere al
più presto realizzata. Debbono essere sbloccati i lavori e
colpite le responsabilità di gravissimi ritardi.
L'occasione di scambi più fitti e più agevoli produrrà
certamente una più forte cultura antimafia; faciliterà i
mercati; darà maggiore lavoro; renderà più indipendenti le
coscienze; indebolirà lo stato omertoso che costituisce il
terreno di coltura della mafia;
d) la audizione delle forze sociali operanti del
territorio e gli elementi raccolti sulla presenza
dell'associazionismo, inducono la Commissione
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a ritenere che nel corleonese al momento sussistono
le condizioni per dare avvio ad un reale processo di
liberazione.
Vi sono, infatti, segnali che testimoniano come i
cittadini stiano al momento cercando punti di riferimento
intorno ai quali aggregarsi per combattere insieme la
mafia.
I parroci di Corleone e lo stesso Sindaco hanno
riconosciuto che ormai sembrano essere cadute alcune barriere
ideologiche che nel passato hanno impedito alle forze sane di
unirsi nella lotta alla criminalità organizzata. Le stesse
convergenze di tanti consensi sul nuovo Sindaco da parte di
una popolazione che sostanzialmente è rimasta ancorata ai
valori cristiani, è segnale che le barriere e le divisioni di
allora non esistono più.
I nuovi punti di riferimento tuttavia, oltre ad essere
credibili, debbono essere forti e debbono potere vivere senza
condizionamenti di sorta.
In questo la Commissione ritiene che da parte delle
autorità regionali, debba essere intrapresa una attenta e
responsabile politica di supporto (e di controllo) alle
attività delle associazioni di volontariato aventi finalità
culturali, educative sportive e assistenziali.
Le occasioni educative e di solidarietà che scaturiscono
da tali tipi di associazioni costituiscono, per i giovani e i
meno giovani, occasioni di approfondimento, di crescita
culturale, di presa di coscienza, di democrazia. In presenza
di tali valori il potere mafioso non può vivere.
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