| Onorevoli Colleghi! -- La legge 11 febbraio 1992, n.
157 ("Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma
e per il prelievo venatorio"), approvata frettolosamente
nottetempo allo scadere della X legislatura, pare condizionata
da irrazionali pregiudizi, aprioristicamente contrari
all'esercizio della attività venatoria.
La previsione più incongrua, gravemente penalizzante anche
per tutte le attività economiche che ruotano attorno alla
caccia, riguarda la limitazione dei "periodi di attività
venatoria" (articolo 18) dalla "terza domenica di settembre al
31 gennaio".
Entro tale data deve cessare pertanto ogni prelievo, anche
della fauna migratoria.
L'illogicità e l'ingiustizia del dettato normativo si
configurano proprio con riferimento al divieto di esercitare
la caccia alla migratoria dopo il 31 gennaio.
Sotto un duplice profilo:
a) perché in altri Stati dell'Europa e della stessa
Comunità Europea (come la Francia, la Spagna, eccetera) i
calendari venatori spostano anche a metà marzo il termine
finale del prelievo degli uccelli migratori che spesso sono
gli stessi che sostano e transitano nel nostro territorio
nazionale;
b) perché il divieto riguarda, indiscriminatamente,
tutte le regioni d'Italia, prescindendosi dalla loro ben
differenziata posizione geografica che, per i diversi
contesti
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ambientali e climatici, comporta, come è risaputo e non
contestabile, tempi di "passaggio" della fauna migratoria
marcatamente non coincidenti.
Orbene i "periodi di attività venatoria" introdotti dalla
legge n. 157 del 1992 consumano un grave pregiudizio ed una
evidente discriminazione per chi pratica la caccia in Sardegna
e, segnatamente, per i cacciatori residenti.
Invero le specificità ambientali e venatorie della
Sardegna, quelle stesse che avevano indotto il legislatore
costituzionale ad attribuire alla Regione autonoma competenza
esclusiva o primaria in materia di caccia (articolo 3 dello
Statuto speciale), sono state del tutto dimenticate e
trascurate nel corso del lungo iter della
leggequadro.
La consultazione dei voluminosi atti preparatori evidenzia
infatti come mai, neppure una volta, si sia fatto riferimento
a situazioni peculiari al contesto venatorio sardo e come mai,
neppure in una occasione e neppure incidentalmente, si sia
parlato della Sardegna come realtà atipica sulla quale la
legge in gestazione avrebbe comunque operato.
Eppure la Sardegna, sia perché isola al centro del
Mediterraneo, più vicina all'Africa del Nord che all'Europa
continentale, sia per le sue caratteristiche ambientali,
climatiche, orografiche e geografiche, "uniche" e certamente
singolari, è interessata da "periodi di passaggio" dei
migratori del tutto sfasati e non sincroni rispetto a quelli
relativi al resto del territorio nazionale.
In Sardegna, pur volendosi determinare i periodi di
migrazione attraverso il riferimento ai "valori medi annuali",
secondo le regole comunitarie, tali periodi, per quanto
riguarda il tordo bottaccio, il tordo sassello, la beccaccia e
il colombaccio, solo raramente possono avere inizio
nell'ultima decade di febbraio.
Tanto più che tale arco di tempo, correlativamente al
mutare delle condizioni climatiche ed agli sbalzi di
temperatura, è caratterizzato spesso tanto da migrazioni in
salita dall'Africa, (con successiva lunga sosta negli oliveti,
nei mirteti e nei boschi della Sardegna, ancora ricchi delle
bacche e dei frutti di cui tordi e colombacci sono ghiotti:
edera, corbezzolo, lentischio, ginepro, ghiande, eccetera)
quanto da arrivi dal Nord, dalla Corsica, dalla Francia e
dalla Spagna.
Relativamente poi alla presenza della beccaccia in Sardegna
per tutto il mese di marzo, ancora non in fase di migrazione,
varrà rilevare che fino a non molti anni orsono ne veniva
autorizzata la caccia, nell'isola di La Maddalena, tra il 1^ e
il 10 aprile!
Ecco perché, attraverso l'introduzione nel testo
dell'articolo 18 della legge n. 157 del 1992 del comma
2- bis si propone di portare, in Sardegna, alla seconda
domenica di marzo il termine di cessazione del prelievo
venatorio del tordo bottaccio, tordo sassello, beccaccia e
colombaccio.
Analogo, mutatis mutandis, è il discorso relativo
alla tortorta.
Questo volatile arriva in Sardegna dall'Africa, solitamente
in quantità rilevante, tra la fine di aprile e l'inizio di
maggio.
Nidifica in genere entro metà giugno e, dopo aver pasturato
nelle stoppie di grano, negli erbai e nei campi di cardo
selvatico, riparte verso il sud, di solito verso il 10 di
settembre.
La caccia alla tortora si pratica esclusivamente alla posta
ed è, per tradizione, insieme alla caccia al cinghiale,
particolarmente apprezzata negli ambienti venatori sardi.
Negli anni recenti, prima della emanazione della legge n.
157 del 1992, tale tipo di attività venatoria agostana ha
avuto un'utile ricaduta sul piano della prevenzione degli
incendi che, come è notorio, stanno incenerendo molti boschi
della Sardegna: la presenza dei cacciatori nelle campagne,
anche nei giorni precedenti la giornata di caccia, ha
funzionato spesso da deterrenza per i piromani e, di
frequente, ha consentito l'immediato spegnimento di pericolosi
focolai o il rapido allertamento delle squadre antincendio.
Entrata in vigore la legge n. 157 del 1992 la caccia alla
tortora è stata aperta
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solo virtualmente, a partire dalla terza domenica di
settembre quando, ormai, il volatile ha lasciato l'isola.
Ecco perché appare necessario, come si propone, consentire
la caccia alla tortora anticipandone i tempi e fissandoli tra
la seconda domenica di agosto e la prima di settembre.
Al doloroso fenomeno del moltiplicarsi degli incendi, che
nell'agosto del 1993 ha raggiunto punte di tragica notorietà,
si è aggiunto il fenomeno, pur esso preoccupante per le
negative implicazioni economiche, di tanti cacciatori che,
dalla Sardegna, vanno nei Paesi dell'Africa del Nord per
praticarvi la caccia alle tortore; si tratta, spesso, delle
stesse tortore nate e alimentate nell'isola.
Si propone anche l'allungamento dei tempi di caccia alla
volpe la cui presenza in Sardegna è in continuo, allarmante
aumento, forse anche in conseguenza dello spopolarsi delle
campagne e della perdurante pratica del pascolo brado in fondi
chiusi nei quali il bestiame ovino e caprino viene lasciato
senza custodia.
Le volpi seguono le greggi, pronte a divorare i piccoli e,
di frequente, anche ad azzannare e scannare gli animali
adulti.
Responsabile della sistematica distruzione della fauna
selvatica, la volpe è dunque diventata ultimamente in Sardegna
un grave fattore di danno economico per gli allevatori ed i
pastori che lamentano sensibili perdite.
Si sottolinea che la modifica non implica un allungamento
generalizzato del periodo di attività venatoria, ma si limita
a dilatare in termini non rilevanti i tempi di caccia a poche
specie migratorie, secondo i princìpi del prelievo "per
specie".
Si soggiunge che il tordo bottaccio, il tordo sassello, la
beccaccia, il colombaccio e la tortora sono specie ritenute, a
livello europeo, in "buono stato di conservazione".
D'altro canto la modifica che si auspica non confligge con
le direttive comunitarie e, segnatamente, con la direttiva
79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979 il cui articolo 7
paragrafo 4 prevede che le "specie migratrici... non vengono
cacciate... durante il ritorno al luogo di nidificazione".
Non sempre infatti tordi, beccacce e colombacci
raggiungono, nella loro migrazione verso sud, i territori del
nord Africa.
Spesso, per tali volatili, la Sardegna rappresenta l'ultima
tappa dello spostamento alla ricerca del cibo e di un clima
più temperato.
Talché il ritorno al luogo di nidificazione - le isole
britanniche, attraverso la Francia e la Germania, seguendo la
valle del Rodano, e la Siberia, attraverso il Tirreno,
l'Adriatico e i Balcani - ha inizio proprio quando le specie
migratrici in argomento lasciano la Sardegna, e non prima.
Ad ogni buon conto in sede comunitaria, a seguito di nuovi
e più approfonditi studi e di più puntuali verifiche, è ormai
maturata una lettura molto più realistica e molto meno fiscale
dei limiti alla attività venatoria che si è ritenuto talvolta
di ricollegare alle previsioni di cui all'articolo 7,
paragrafo 4 della direttiva 79/409/CEE.
Al riguardo è sufficiente por mente alla portata ed ai
contenuti della recentissima "Proposta di direttiva del
Consiglio che modifica la direttiva 79/409/CEE del Consiglio
concernente la conservazione degli uccelli selvatici"
presentata dalla Commissione il 1^ marzo 1994 (94/C
100/07).
Ebbene, attraverso tale proposta si sollecita la
sostituzione del paragrafo 4 dell'articolo 7 e, in
particolare, si prevede, fermo il divieto di caccia delle
specie migratrici "durante il periodo della riproduzione", che
"gli stati membri provvedono anche a che tali specie siano
PROTETTE durante il ritorno al luogi di nidificazione; a tal
fine fissano i periodi di caccia per le varie specie
conformandosi ai criteri indicati nell'allegato VI".
Laddove, per un verso, con riferimento alla fase del
"ritorno al luogo di nidificazione" non si ribadisce il
divieto di caccia, ma si prospetta l'esigenza di una generica
protezione e, per altro verso, attraverso l'allegato VI, -
"criteri per fissare la durata massima del periodo di caccia"
- si introduce, come "fine del periodo di caccia" una scadenza
che, "per le specie che
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si trovano in buono stato di conservazione" dovrà coincidere,
a seconda che la migrazione inizi "prima del 20 febbraio" o
"dopo" tale data, con la "decade che segue la decade in cui ha
inizio il passaggio" ovvero "nella stessa decade in cui ha
inizio il passaggio".
Donde, anche alla stregua degli orientamenti comunitari, il
fondamento, la proponibilità e la liceità della proposta
estensione, quanto alla attività venatoria in Sardegna, dei
periodi di caccia al tordo bottaccio, al tordo sassello, alla
beccaccia, al colombaccio, alla tortora e alla volpe.
Tanto più che tale estensione - non sarebbe giusto
accantonare tale dimensione del problema - non comporterebbe
nessun privilegio in termini di giornate di caccia.
Da oltre vent'anni infatti l'attività venatoria può
praticarsi in Sardegna solo per due giorni fissi alla
settimana, la domenica
e il giovedì, mentre in tutte le altre regioni d'Italia si
può andare a caccia almeno in tre occasioni settimanali.
Per cui, anche recuperando 2-3 giornate in agosto, 7-8
giornate in febbraio e 2-3 in marzo, le giornate complessive
di caccia in Sardegna sarebbero comunque di numero inferiore
rispetto al numero delle giornate nelle quali l'attività
venatoria è praticabile nel resto d'Italia.
Si confida che la Camera vorrà speditamente approvare la
presente proposta di legge, eliminando una stortura sentita e
vissuta come una vessazione.
La caccia ha, in Sardegna, un profondo radicamento sociale
e culturale.
Praticata da circa 60.000 cittadini l'attività venatoria
rappresenta, nell'isola, per chi lavora e per molti giovani,
una soluzione valida e civile dei problemi del tempo
libero.
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