| Pag. 3
Onorevoli Colleghi! -- La legge di tutela delle
minoranze linguistiche ha affrontato già una volta l'esame
dell'Assemblea nel corso della X legislatura, venendo
approvata dalla Camera, ma senza riuscire a concludere il suo
cammino al Senato. Nell'XI legislatura poi la Commissione
Affari costituzionali aveva nuovamente affrontato la
questione, approvando un testo unificato delle diverse
proposte presentate sull'argomento. Ma le prime ipotesi di
legge risalgono addirittura all'VIII legislatura, e su questo
tema Loris Fortuna, che era stato relatore in Aula del
provvedimento nella X legislatura così scriveva: "La parola,
il linguaggio, può essere un mezzo estremo di mera
comunicazione, un utile sistema "commerciale" di contatto, un
elaborato metodo per rapporti interpersonali, ed ecco
l'utilità epidermica indubbia. "Impara l'inglese". "Impara il
basic, il linguaggio dei computers" è l'imperativo, quindi,
dell'"avere". Così si avrà "successo": più comunicazione, più
spazio per l'azione. Ma nel regno dell'"essere", laddove il
verbum mentis esprime l'intera interiorità dell'uomo,
ogni comunità ha la "sua" parola che corrisponde alla "sua"
storia, che è costruita nella sua storia. Può essere (anzi è
così) che sia necessario utilizzare negli scambi e nei
rapporti un'altra lingua (la cosiddetta lingua nazionale od
altre) ma è assolutamente necessario contemporaneamente non
estraniarsi dalle fonti del "proprio linguaggio" prodotto
dell'esperienza e della vita della propria gente, della
propria comunità, della propria famiglia.
E' il rapporto tra parola-scorza e parolaseme, che si
ripropone continuamente. Tra l'avere e l'essere".
Ed è proprio questa l'ispirazione originaria che certamente
ha spinto tanti deputati a ripresentare il testo che è stato
adottato come punto di partenza: quello unificato, approvato
nella scorsa tornata legislativa dalla Commissione,
sottoscritto da circa 60 colleghi, che successivamente è stato
affinato e migliorato in molti articoli, grazie all'impegno
dei parlamentari di tutte le forze politiche.
Il testo che viene proposto ora all'Aula tiene conto delle
indicazioni contenute anche in altre proposte di legge
(Scalia, n. 74, Brunetti, n. 162, Filippi n. 2637) e da un
accurato lavoro svolto in Commissione dove sono stati
presentati diversi emendamenti, molti dei quali accolti o
recepiti. Questo ha reso la proposta più puntuale e ha
consentito di raccogliere un largo consenso. Pertanto, grazie
alla partecipazione di tutti i gruppi, alla Presidenza della
Commissione, alla rapidità con cui la Commissione Bilancio ha
voluto fornire il suo parere, siamo in grado di proporre
all'attenzione dell'Assemblea un testo su cui sono state
raggiunte larghe intese.
Lo scopo iniziale di questo provvedimento è quello di dare
attuazione all'articolo 6 della Costituzione, che recita: "La
Repubblica tutela con apposite norme le minoranze
linguistiche.". Ciò è dunque finalmente possibile attraverso
l'approvazione di questa legge, lungamente attesa dalle
popolazioni interessate e importante per la rilevanza
culturale e sociale che un provvedimento di questo genere
assume per l'intero Paese. Infatti tutelare le minoranze
linguistiche significa contribuire alla crescita della
coscienza democratica e dello spirito di convivenza tra le
popolazioni. Di fronte agli allarmanti scenari che
Pag. 4
ci sono offerti dalle guerre etniche che si combattono o si
sono recentemente combattute in Europa, in Asia, in Africa, si
deve offrire il maggior numero di strumenti, anche
legislativi, perché nel nostro paese si sviluppi un modello
esportabile di convivenza democratica e di rispetto delle
minoranze.
Inoltre, come si legge nella relazione della proposta n.
162 del collega Brunetti: "Ogni cultura che muore porta con sé
una fetta insostituibile dell'intera cultura dell'umanità e le
società più avanzate hanno l'obbligo di impedire che ciò
avvenga. Di più: il grado di democrazia di uno Stato si misura
anche dalle garanzie di difesa delle minoranze
etnico-linguistiche".
In un'epoca caratterizzata dalla omologazione culturale, il
diritto alla differenza si sostanzia proprio nel diritto alla
lingua, e, nel nostro paese, l'esempio del successo avuto dai
cambiamenti verificatisi in Alto Adige/Sud Tirolo negli anni
scorsi, rappresenta un modello da proporre ad un'Europa che
sperimenta invece il fallimento della convivenza interetnica.
A questo proposito giova ricordare le parole di Alex Langer,
che in un suo scritto intitolato "Dieci punti per la
convivenza interetnica" diceva: "Bisogna consentire una più
vasta gamma di scelte individuali e collettive, accettando e
offrendo momenti di "intimità" etnica come di incontro e di
cooperazione interetnica. Garanzia di mantenimento
dell'identità, da un lato, e di pari dignità e partecipazione
dall'altro, devono interrogarsi a vicenda. Ciò richiede,
naturalmente, che non solo le regole pubbliche e gli
orientamenti, ma soprattutto le comunità interessate si
orientino verso questa opzione di convivenza". Langer, in
questo suo decalogo di suggerimenti, raccomandava anche che
venisse delimitata e definita nel modo meno rigido possibile
l'appartenenza, senza escludere appartenenze e interferenze
plurime ed esortava a riconoscere e rendere visibile la
dimensione pluri-etnica attraverso il riconoscimento dei
diritti, i segni pubblici, i gesti quotidiani. "La compresenza
di etnie, lingue, culture, religioni e tradizioni sullo stesso
territorio, nella stessa città, deve essere riconosciuta e
resa visibile. Gli appartenenti alle diverse comunità
conviventi devono sentire che sono "di casa", che hanno
cittadinanza, che sono accettati e radicati (o che possono
mettere radici). Il bi-(o pluri-)linguismo, l'agibilità per
istituzioni religiose, culturali, linguistiche differenti,
l'esistenza di strutture e occasioni specifiche di richiamo e
di valorizzazione di ogni etnia presente sono elementi
importanti per una cultura della convivenza. Più si
organizzerà la compresenza di lingue, culture, religioni,
segni caratteristici, meno si avrà a che fare con dispute
sulla pertinenza dei luoghi e del territorio a questa o a
quella etnia: bisogna che ogni forma di esclusivismo o
integralismo etnico venga diluita nella naturale compresenza
di segni, suoni e istituzioni multiformi".
Nelle scorse legislature, di fronte all'approvazione alla
Camera di un testo di legge in questa materia, vi fu chi
paventò il rischio per l'unità del Paese. Altri sostennero la
necessità di diffondere maggiormente la conoscenza della
lingua inglese. Entrambe queste posizioni possono essere
definite, utilizzando la terminologia di Gaetano Arfè, delle
accuse giacobine. A questo proposito l'onorevole Danilo
Bertoli, relatore della legge nella passata legislatura,
affermava: "Le polemiche hanno riguardato infine (...) la
futilità se non addiritttura il carattere di spreco che
assumerebbe un simile sforzo legislativo di tutela (C.
Sgorlon), la contrarietà a presunti privilegi che si venivano
ad attribuire a friulani e sardi, rispetto alle altre lingue
locali italiane (M. Cortelazzo). Non mancarono peraltro le
voci in difesa di quel testo che, per quanto perfettibile,
costituiva una risposta ad una domanda che è coeva all'unità
d'Italia e che non rappresenta certo alcun rischio di
disgregazione del Paese, né sul piano storicopolitico, né su
quello linguistico (L. M. Lombardi Satriani, T. De Mauro).
(...) Circa il carattere di spreco è ben singolare che venga
affacciata questa tesi in una società opulenta che spreca
risorse economiche
Pag. 5
enormi per futili obiettivi e proprio da parte di
uomini di cultura che ben sanno come la lingua sia un
epifenomeno di tutto un mondo. Essi dovrebbero per primi
comprendere che l'accelerazione della scomparsa di questi
mondi o anche semplicemente l'assistere ignari alla loro
frantumazione costituisce una colpevole partecipazione
all'impoverimento complessivo dell'umanità".
Come relatore mi sono avvalso del giudizio e della
collaborazione di molti esperti a cui va il mio
ringraziamento, fra loro ricordo innanzitutto il già citato
collega Danilo Bertoli, poi il Professor Sergio Salvi, di
Firenze, Federico Rossi, Silvana Schiavi Fachin, Adriano
Ceschia di Udine e numerosi altri. Ovviamente queste persone
non sono responsabili delle scelte effettuate dalla
Commissione.
Voglio ancora ricordare, prima di entrare nel merito degli
articoli di legge, le parole del Presidente del Consiglio
Lamberto Dini, nel suo discorso alla Camera del 23 gennaio
1995: "In particolare, il Governo dichiara la propria
disponibilità ad affrontare con spirito costruttivo ogni
questione aperta sul fronte della tutela delle autonomie
speciali e delle minoranze linguistiche". Questa dichiarazione
rappresenta una positiva novità e potrà costituire un
importante supporto per una sollecita approvazione della legge
da parte dei due rami del Parlamento.
Il principio su cui si fonda questa proposta di legge è
quello di fornire una tutela, attraverso un intervento
legislativo "leggero", a quelle lingue ancora vive e attive
nei rapporti sociali e nelle usanze culturali.
Un'altra caratteristica generale è quella che riguarda la
grande autonomia fornita ai comuni interessati, cui spetta di
promuovere l'applicazione della legge. Anche la ripartizione
dei compiti fra Stato e regioni è particolarmente in sintonia
con la tendenza all'accrescimento dei poteri di queste ultime,
mentre la ripartizione delle spese per l'attuazione della
legge, è demandata per una parte al bilancio dello Stato, per
altri aspetti alla finanza regionale e agli enti locali.
L'articolo 1 del testo prevede la tutela, in armonia coi
principi generali stabiliti dagli organismi europei, della
lingua e della cultura delle popolazioni di origine albanese,
catalana, germanica, greca, slava e zingara e di quelle
parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il
ladino, l'occitano e il sardo.
Le popolazioni di origine albanese, catalana, germanica,
slava e zingara sono di antico insediamento sul territorio
italiano, e, insieme a quelle parlanti il francese, il
franco-provenzale, il ladino e l'occitano, appartengono a
ceppi linguistici diversi dagli idiomi italiani.
Diverso è il discorso che riguarda il friulano e il sardo.
A questo proposito è bene rilevare che la materia è oggetto di
ampio dibattito nel mondo accademico, ma la maggiore
lontananza dall'italiano di queste due lingue rispetto ad
altre forme espressive dialettali diffuse nel nostro
territorio nazionale, rende la loro situazione assolutamente
specifica, e per questo le fa rientrare all'interno di questa
legge di tutela. Non è infatti nostra intenzione riproporre la
questione delle differenze tra lingue e dialetti, ma vorremmo
semplicemente notare che - come già si diceva nella relazione
Bertoli "rispetto alla varietà degli idiomi trattati, le
parlate della Sardegna e del Friuli si collocano agli estremi:
l'una per la sua forza conservativa del latino, collocandosi a
mezza strada fra l'italiano e le altre aree linguistiche
romanze occidentali (M.L. Wagner) e l'altra in quanto non
appartenente all'area linguistica italiana ma a quella ladina
(C. Tagliavini) o perlomeno in quanto formatasi, quale lingua
neolatina, fra l'VIII e il XII secolo in netta separazione con
l'evoluzione dell'area linguistica italiana (G. Francescato).
Il Friuli fino al 1420 era legato al mondo germanico: da qui
la sua individualità dovuta a ragioni di isolamento storico
rispetto all'area linguistica italiana.
D'altra parte è del tutto evidente l'erosione plateale che
queste lingue stanno subendo in conseguenza dell'omologazione
linguistica italiana nelle ultime generazioni. In questi due
casi si tratta di un
Pag. 6
pericolo di effettiva scomparsa della lingua nativa che,
possedendo una precisa identità linguistica ben diversa da
quella italiana, se non riceve un'adeguata tutela viene
svuotata dall'interno o addirittura letteralmente
abbandonata".
Se prive di strumenti specifici di salvaguardia, queste
lingue scomparirebbero.
Una necessità differente è quella di tutelare con una legge
quadro tutti i patrimoni linguistici regionali, ma non è
questa la sede propria in cui presentare queste misure.
Una considerazione a parte merita il caso delle comunità di
origine zingara che presenta alcune caratteristiche peculiari.
In tutti i progetti di legge di tutela delle minoranze
linguistiche - quelli attuali e quelli delle passate
legislature - quella zingara è stata equiparata alle altre
minoranze. Inoltre il Consiglio d'Europa nella mappa delle
minoranze linguistiche esistenti sul territorio del continente
ha contemplato questa presenza. Pertanto abbiamo valutato
l'opportunità di mantenere questa indicazione anche nel testo
attualmente in esame.
Per quanto riguarda l'armonia di intenti con le iniziative
europee, è bene ricordare che l'Unione europea ha stabilito di
finanziare progetti volti a promuovere la lingua e la cultura
delle minoranze.
L'articolo 2 prevede che la tutela venga estesa, attraverso
apposite convenzioni, anche alle comunità linguistiche
residenti all'estero, ed è questo un punto innovativo rispetto
al testo di partenza.
Nell'articolo 3 si delinea la prima delle competenze
attribuite alle regioni, e cioè l'individuazione dei territori
dei comuni in cui si sviluppa il procedimento di tutela.
Questo processo, regolamentato per legge dalla regione, può
essere attivato anche direttamente dai cittadini o dai
consiglieri comunali.
Il sistema scolastico (articoli 4, 5 e 6) dal livello della
scuola materna e per tutta la scuola dell'obbligo, prevede la
possibilità di insegnamento della lingua della minoranza, in
accordo con le scelte delle famiglie. All'articolo 6, in
particolare, è prevista la possibilità di adottare iniziative
del Ministero della pubblica istruzione che promuovano la
conoscenza delle lingue locali, in sintonia con quanto accade
nel processo di autonomia e sperimentazione scolastica.
Inoltre le università possono sviluppare strutture e attività
di ricerca sul patrimonio culturale e linguistico delle
minoranze e possono predisporre percorsi di formazione ad
hoc del personale insegnante.
Negli organi collegiali della scuola e negli enti locali è
possibile (articolo 7) intervenire nelle assemblee in lingua
locale.
Nella legge si prevede poi, all'articolo 8, che i comuni
possano pubblicare nella lingua ammessa a tutela gli atti
ufficiali dello Stato, delle regioni e degli enti locali,
nonché di enti pubblici non territoriali, fermo restando il
valore legale esclusivo degli atti nel testo redatto nella
lingua italiana.
Nell'articolo 9 si prevede la possibilità di utilizzare
oralmente la lingua ammessa a tutela sia negli uffici della
pubblica amministrazione, sia nei procedimenti giudiziari
davanti al giudice di pace.
All'articolo 10 si introduce l'uso della lingua locale
nella toponomastica, mentre nell'articolo 11 viene prevista la
possibilità di ripristinare i nomi e i cognomi delle persone
nella lingua originaria, quando siano stati modificati prima
dell'entrata in vigore della legge. Nell'articolo 12 si
prevede che nei programi radiofonici e televisivi regionali
della RAI siano inseriti notiziari, programmi culturali,
educativi e di intrattenimento nelle lingue tutelate, mentre
nell'articolo 14 si prevedono provvidenze regionali per i
mezzi di informazione che utilizzeranno la lingua della
minoranza e per le associazioni giuridicamente riconosciute
aventi come finalità le stesse della presente legge.
All'articolo 13 è previsto l'adeguamento delle norme
legislative regionali; all'articolo 17 l'entrata in vigore
effettiva in sei mesi della legge; l'articolo 18 ridefinisce
il rapporto tra le disposizioni della proposta e le norme
previste negli statuti delle regioni autonome.
Pag. 7
Gli articoli 15, 16 e 20 regolano gli aspetti finanziari
dell'applicazione della legge, per la quale è prevista una
dotazione all'interno del bilancio dello Stato per il 1996.
L'articolo 20 fissa inoltre un tetto di spesa a carico
dello Stato, valorizzando un meccanismo di partecipazione
degli enti locali e una collaborazione reale con le regioni,
anche per non provocare carenze di rigore e serietà nella
gestione della finanza pubblica.
L'articolo 19 infine prevede la valorizzazione degli idiomi
romanzi d'Italia, delegando alle regioni la facoltà di
intervenire sulla materia, avendo come riferimento la
normativa descritta nella presente legge. In questo modo si
indica una strada maestra da percorere per la valorizzazione
di altri patrimoni culturali non contemplati nel testo in
esame.
Nel complesso dunque questa legge si ispira a quel criterio
della "leggerezza" che dovrebbe contraddistinguere
l'intervento dello Stato nelle vicende dei diritti delle
persone, in contrapposizione alla "pesantezza" della storia
del secolo che sta per chiudersi (I. Calvino). Il principio di
eguaglianza così si arricchisce della considerazione reale
delle differenze individuali e collettive delle comunità
coinvolte.
Il diritto all'uso della propria lingua nativa viene
associato alla considerazioneche esso si esprime dentro la
vita di relazione sociale nelle comunità culturali e
linguistiche presenti in Italia. Queste comunità culturali e
linguistiche sarebbero dunque formazioni sociali ai sensi
dell'articolo 2 della Costituzione (C. Mortati); e, peraltro,
è bene considerare queste formazioni sociali come dato storico
per l'impostazione della delimitazione del territorio nel cui
ambito si applicherà la tutela ma che non è mai assunto come
dato assoluto per elevare barriere dentro il territorio dello
Stato. Il diritto alla tutela della propria lingua e cultura,
infatti, è sostenuto nel rigoroso rispetto della libertà degli
altri e in particolare evitando ogni forma di vantaggio o di
privilegio per le minoranze linguistiche sotto forma di
barriere alla libera circolazione di ogni cittadino sul
territorio dello Stato.
Quindi si può ben sostenere che la normativa che qui viene
presentata all'esame dell'Assemblea si inserisce nel filone
del diritto pubblico interno rivolto ad esplorare le strade di
un effettivo pluralismo, che appare in sintonia con il compito
storico di organizzare la convivenza pluralistica in
Europa.
L'approvazione di questo provvedimento renderà l'Italia uno
degli Stati più avanzati sotto il profilo legislativo in
Europa e manterrà il nostro paese in sintonia con i molti
documenti approvati dalle istituzioni sovranazionali europee
negli ultimi anni.
CORLEONE, Relatore.
| |