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Testi integrali degli Atti Parlamentari della XII Legislatura

Documento


1183
DDL0074-0002
Relazione Camera n. 74-A (DDL12-74-A)
(suddiviso in 94 Unità Documento)
Unità Documento n.2 (che inizia a pag.3 dello stampato)
...C74A, C162A, C709A, C2637A. TESTIPDL
...C74A, C162A, C709A, C2637A.
RELAZIONE
ZZDDL ZZDDLC ZZNAVA ZZDDLC74A ZZ12 ZZRL ZZRM
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    Onorevoli  Colleghi! -- La legge di tutela delle
  minoranze linguistiche ha affrontato già una volta l'esame
  dell'Assemblea nel corso della X legislatura, venendo
  approvata dalla Camera, ma senza riuscire a concludere il suo
  cammino al Senato.  Nell'XI legislatura poi la Commissione
  Affari costituzionali aveva nuovamente affrontato la
  questione, approvando un testo unificato delle diverse
  proposte presentate sull'argomento.  Ma le prime ipotesi di
  legge risalgono addirittura all'VIII legislatura, e su questo
  tema Loris Fortuna, che era stato relatore in Aula del
  provvedimento nella X legislatura così scriveva: "La parola,
  il linguaggio, può essere un mezzo estremo di mera
  comunicazione, un utile sistema "commerciale" di contatto, un
  elaborato metodo per rapporti interpersonali, ed ecco
  l'utilità epidermica indubbia. "Impara l'inglese". "Impara il
  basic, il linguaggio dei computers" è l'imperativo, quindi,
  dell'"avere".  Così si avrà "successo": più comunicazione, più
  spazio per l'azione.  Ma nel regno dell'"essere", laddove il
  verbum mentis  esprime l'intera interiorità dell'uomo,
  ogni comunità ha la "sua" parola che corrisponde alla "sua"
  storia, che è costruita nella sua storia.  Può essere (anzi è
  così) che sia necessario utilizzare negli scambi e nei
  rapporti un'altra lingua (la cosiddetta lingua nazionale od
  altre) ma è assolutamente necessario contemporaneamente non
  estraniarsi dalle fonti del "proprio linguaggio" prodotto
  dell'esperienza e della vita della propria gente, della
  propria comunità, della propria famiglia.
    E' il rapporto tra parola-scorza e parolaseme, che si
  ripropone continuamente.  Tra l'avere e l'essere".
    Ed è proprio questa l'ispirazione originaria che certamente
  ha spinto tanti deputati a ripresentare il testo che è stato
  adottato come punto di partenza: quello unificato, approvato
  nella scorsa tornata legislativa dalla Commissione,
  sottoscritto da circa 60 colleghi, che successivamente è stato
  affinato e migliorato in molti articoli, grazie all'impegno
  dei parlamentari di tutte le forze politiche.
    Il testo che viene proposto ora all'Aula tiene conto delle
  indicazioni contenute anche in altre proposte di legge
  (Scalia, n. 74, Brunetti, n. 162, Filippi n. 2637) e da un
  accurato lavoro svolto in Commissione dove sono stati
  presentati diversi emendamenti, molti dei quali accolti o
  recepiti.  Questo ha reso la proposta più puntuale e ha
  consentito di raccogliere un largo consenso.  Pertanto, grazie
  alla partecipazione di tutti i gruppi, alla Presidenza della
  Commissione, alla rapidità con cui la Commissione Bilancio ha
  voluto fornire il suo parere, siamo in grado di proporre
  all'attenzione dell'Assemblea un testo su cui sono state
  raggiunte larghe intese.
    Lo scopo iniziale di questo provvedimento è quello di dare
  attuazione all'articolo 6 della Costituzione, che recita: "La
  Repubblica tutela con apposite norme le minoranze
  linguistiche.".  Ciò è dunque finalmente possibile attraverso
  l'approvazione di questa legge, lungamente attesa dalle
  popolazioni interessate e importante per la rilevanza
  culturale e sociale che un provvedimento di questo genere
  assume per l'intero Paese.  Infatti tutelare le minoranze
  linguistiche significa contribuire alla crescita della
  coscienza democratica e dello spirito di convivenza tra le
  popolazioni.  Di fronte agli allarmanti scenari che
 
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  ci sono offerti dalle guerre etniche che si combattono o si
  sono recentemente combattute in Europa, in Asia, in Africa, si
  deve offrire il maggior numero di strumenti, anche
  legislativi, perché nel nostro paese si sviluppi un modello
  esportabile di convivenza democratica e di rispetto delle
  minoranze.
    Inoltre, come si legge nella relazione della proposta n.
  162 del collega Brunetti: "Ogni cultura che muore porta con sé
  una fetta insostituibile dell'intera cultura dell'umanità e le
  società più avanzate hanno l'obbligo di impedire che ciò
  avvenga.  Di più: il grado di democrazia di uno Stato si misura
  anche dalle garanzie di difesa delle minoranze
  etnico-linguistiche".
    In un'epoca caratterizzata dalla omologazione culturale, il
  diritto alla differenza si sostanzia proprio nel diritto alla
  lingua, e, nel nostro paese, l'esempio del successo avuto dai
  cambiamenti verificatisi in Alto Adige/Sud Tirolo negli anni
  scorsi, rappresenta un modello da proporre ad un'Europa che
  sperimenta invece il fallimento della convivenza interetnica.
  A questo proposito giova ricordare le parole di Alex Langer,
  che in un suo scritto intitolato "Dieci punti per la
  convivenza interetnica" diceva: "Bisogna consentire una più
  vasta gamma di scelte individuali e collettive, accettando e
  offrendo momenti di "intimità" etnica come di incontro e di
  cooperazione interetnica.  Garanzia di mantenimento
  dell'identità, da un lato, e di pari dignità e partecipazione
  dall'altro, devono interrogarsi a vicenda.  Ciò richiede,
  naturalmente, che non solo le regole pubbliche e gli
  orientamenti, ma soprattutto le comunità interessate si
  orientino verso questa opzione di convivenza".  Langer, in
  questo suo decalogo di suggerimenti, raccomandava anche che
  venisse delimitata e definita nel modo meno rigido possibile
  l'appartenenza, senza escludere appartenenze e interferenze
  plurime ed esortava a riconoscere e rendere visibile la
  dimensione pluri-etnica attraverso il riconoscimento dei
  diritti, i segni pubblici, i gesti quotidiani. "La compresenza
  di etnie, lingue, culture, religioni e tradizioni sullo stesso
  territorio, nella stessa città, deve essere riconosciuta e
  resa visibile.  Gli appartenenti alle diverse comunità
  conviventi devono sentire che sono "di casa", che hanno
  cittadinanza, che sono accettati e radicati (o che possono
  mettere radici).  Il bi-(o pluri-)linguismo, l'agibilità per
  istituzioni religiose, culturali, linguistiche differenti,
  l'esistenza di strutture e occasioni specifiche di richiamo e
  di valorizzazione di ogni etnia presente sono elementi
  importanti per una cultura della convivenza.  Più si
  organizzerà la compresenza di lingue, culture, religioni,
  segni caratteristici, meno si avrà a che fare con dispute
  sulla pertinenza dei luoghi e del territorio a questa o a
  quella etnia: bisogna che ogni forma di esclusivismo o
  integralismo etnico venga diluita nella naturale compresenza
  di segni, suoni e istituzioni multiformi".
    Nelle scorse legislature, di fronte all'approvazione alla
  Camera di un testo di legge in questa materia, vi fu chi
  paventò il rischio per l'unità del Paese.  Altri sostennero la
  necessità di diffondere maggiormente la conoscenza della
  lingua inglese.  Entrambe queste posizioni possono essere
  definite, utilizzando la terminologia di Gaetano Arfè, delle
  accuse giacobine.  A questo proposito l'onorevole Danilo
  Bertoli, relatore della legge nella passata legislatura,
  affermava: "Le polemiche hanno riguardato infine (...) la
  futilità se non addiritttura il carattere di spreco che
  assumerebbe un simile sforzo legislativo di tutela (C.
  Sgorlon), la contrarietà a presunti privilegi che si venivano
  ad attribuire a friulani e sardi, rispetto alle altre lingue
  locali italiane (M.  Cortelazzo).  Non mancarono peraltro le
  voci in difesa di quel testo che, per quanto perfettibile,
  costituiva una risposta ad una domanda che è coeva all'unità
  d'Italia e che non rappresenta certo alcun rischio di
  disgregazione del Paese, né sul piano storicopolitico, né su
  quello linguistico (L. M. Lombardi Satriani, T. De Mauro).
  (...) Circa il carattere di spreco è ben singolare che venga
  affacciata questa tesi in una società opulenta che spreca
  risorse economiche
 
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  enormi per futili obiettivi e proprio da parte di
  uomini di cultura che ben sanno come la lingua sia un
  epifenomeno di tutto un mondo.  Essi dovrebbero per primi
  comprendere che l'accelerazione della scomparsa di questi
  mondi o anche semplicemente l'assistere ignari alla loro
  frantumazione costituisce una colpevole partecipazione
  all'impoverimento complessivo dell'umanità".
    Come relatore mi sono avvalso del giudizio e della
  collaborazione di molti esperti a cui va il mio
  ringraziamento, fra loro ricordo innanzitutto il già citato
  collega Danilo Bertoli, poi il Professor Sergio Salvi, di
  Firenze, Federico Rossi, Silvana Schiavi Fachin, Adriano
  Ceschia di Udine e numerosi altri.  Ovviamente queste persone
  non sono responsabili delle scelte effettuate dalla
  Commissione.
    Voglio ancora ricordare, prima di entrare nel merito degli
  articoli di legge, le parole del Presidente del Consiglio
  Lamberto Dini, nel suo discorso alla Camera del 23 gennaio
  1995: "In particolare, il Governo dichiara la propria
  disponibilità ad affrontare con spirito costruttivo ogni
  questione aperta sul fronte della tutela delle autonomie
  speciali e delle minoranze linguistiche".  Questa dichiarazione
  rappresenta una positiva novità e potrà costituire un
  importante supporto per una sollecita approvazione della legge
  da parte dei due rami del Parlamento.
    Il principio su cui si fonda questa proposta di legge è
  quello di fornire una tutela, attraverso un intervento
  legislativo "leggero", a quelle lingue ancora vive e attive
  nei rapporti sociali e nelle usanze culturali.
    Un'altra caratteristica generale è quella che riguarda la
  grande autonomia fornita ai comuni interessati, cui spetta di
  promuovere l'applicazione della legge.  Anche la ripartizione
  dei compiti fra Stato e regioni è particolarmente in sintonia
  con la tendenza all'accrescimento dei poteri di queste ultime,
  mentre la ripartizione delle spese per l'attuazione della
  legge, è demandata per una parte al bilancio dello Stato, per
  altri aspetti alla finanza regionale e agli enti locali.
    L'articolo 1 del testo prevede la tutela, in armonia coi
  principi generali stabiliti dagli organismi europei, della
  lingua e della cultura delle popolazioni di origine albanese,
  catalana, germanica, greca, slava e zingara e di quelle
  parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il
  ladino, l'occitano e il sardo.
    Le popolazioni di origine albanese, catalana, germanica,
  slava e zingara sono di antico insediamento sul territorio
  italiano, e, insieme a quelle parlanti il francese, il
  franco-provenzale, il ladino e l'occitano, appartengono a
  ceppi linguistici diversi dagli idiomi italiani.
    Diverso è il discorso che riguarda il friulano e il sardo.
  A questo proposito è bene rilevare che la materia è oggetto di
  ampio dibattito nel mondo accademico, ma la maggiore
  lontananza dall'italiano di queste due lingue rispetto ad
  altre forme espressive dialettali diffuse nel nostro
  territorio nazionale, rende la loro situazione assolutamente
  specifica, e per questo le fa rientrare all'interno di questa
  legge di tutela.  Non è infatti nostra intenzione riproporre la
  questione delle differenze tra lingue e dialetti, ma vorremmo
  semplicemente notare che - come già si diceva nella relazione
  Bertoli "rispetto alla varietà degli idiomi trattati, le
  parlate della Sardegna e del Friuli si collocano agli estremi:
  l'una per la sua forza conservativa del latino, collocandosi a
  mezza strada fra l'italiano e le altre aree linguistiche
  romanze occidentali (M.L. Wagner) e l'altra in quanto non
  appartenente all'area linguistica italiana ma a quella ladina
  (C.  Tagliavini) o perlomeno in quanto formatasi, quale lingua
  neolatina, fra l'VIII e il XII secolo in netta separazione con
  l'evoluzione dell'area linguistica italiana (G.  Francescato).
  Il Friuli fino al 1420 era legato al mondo germanico: da qui
  la sua individualità dovuta a ragioni di isolamento storico
  rispetto all'area linguistica italiana.
    D'altra parte è del tutto evidente l'erosione plateale che
  queste lingue stanno subendo in conseguenza dell'omologazione
  linguistica italiana nelle ultime generazioni.  In questi due
  casi si tratta di un
 
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  pericolo di effettiva scomparsa della lingua nativa che,
  possedendo una precisa identità linguistica ben diversa da
  quella italiana, se non riceve un'adeguata tutela viene
  svuotata dall'interno o addirittura letteralmente
  abbandonata".
    Se prive di strumenti specifici di salvaguardia, queste
  lingue scomparirebbero.
    Una necessità differente è quella di tutelare con una legge
  quadro tutti i patrimoni linguistici regionali, ma non è
  questa la sede propria in cui presentare queste misure.
    Una considerazione a parte merita il caso delle comunità di
  origine zingara che presenta alcune caratteristiche peculiari.
  In tutti i progetti di legge di tutela delle minoranze
  linguistiche - quelli attuali e quelli delle passate
  legislature - quella zingara è stata equiparata alle altre
  minoranze.  Inoltre il Consiglio d'Europa nella mappa delle
  minoranze linguistiche esistenti sul territorio del continente
  ha contemplato questa presenza.  Pertanto abbiamo valutato
  l'opportunità di mantenere questa indicazione anche nel testo
  attualmente in esame.
    Per quanto riguarda l'armonia di intenti con le iniziative
  europee, è bene ricordare che l'Unione europea ha stabilito di
  finanziare progetti volti a promuovere la lingua e la cultura
  delle minoranze.
    L'articolo 2 prevede che la tutela venga estesa, attraverso
  apposite convenzioni, anche alle comunità linguistiche
  residenti all'estero, ed è questo un punto innovativo rispetto
  al testo di partenza.
    Nell'articolo 3 si delinea la prima delle competenze
  attribuite alle regioni, e cioè l'individuazione dei territori
  dei comuni in cui si sviluppa il procedimento di tutela.
    Questo processo, regolamentato per legge dalla regione, può
  essere attivato anche direttamente dai cittadini o dai
  consiglieri comunali.
    Il sistema scolastico (articoli 4, 5 e 6) dal livello della
  scuola materna e per tutta la scuola dell'obbligo, prevede la
  possibilità di insegnamento della lingua della minoranza, in
  accordo con le scelte delle famiglie.  All'articolo 6, in
  particolare, è prevista la possibilità di adottare iniziative
  del Ministero della pubblica istruzione che promuovano la
  conoscenza delle lingue locali, in sintonia con quanto accade
  nel processo di autonomia e sperimentazione scolastica.
  Inoltre le università possono sviluppare strutture e attività
  di ricerca sul patrimonio culturale e linguistico delle
  minoranze e possono predisporre percorsi di formazione  ad
  hoc  del personale insegnante.
    Negli organi collegiali della scuola e negli enti locali è
  possibile (articolo 7) intervenire nelle assemblee in lingua
  locale.
    Nella legge si prevede poi, all'articolo 8, che i comuni
  possano pubblicare nella lingua ammessa a tutela gli atti
  ufficiali dello Stato, delle regioni e degli enti locali,
  nonché di enti pubblici non territoriali, fermo restando il
  valore legale esclusivo degli atti nel testo redatto nella
  lingua italiana.
    Nell'articolo 9 si prevede la possibilità di utilizzare
  oralmente la lingua ammessa a tutela sia negli uffici della
  pubblica amministrazione, sia nei procedimenti giudiziari
  davanti al giudice di pace.
    All'articolo 10 si introduce l'uso della lingua locale
  nella toponomastica, mentre nell'articolo 11 viene prevista la
  possibilità di ripristinare i nomi e i cognomi delle persone
  nella lingua originaria, quando siano stati modificati prima
  dell'entrata in vigore della legge.  Nell'articolo 12 si
  prevede che nei programi radiofonici e televisivi regionali
  della RAI siano inseriti notiziari, programmi culturali,
  educativi e di intrattenimento nelle lingue tutelate, mentre
  nell'articolo 14 si prevedono provvidenze regionali per i
  mezzi di informazione che utilizzeranno la lingua della
  minoranza e per le associazioni giuridicamente riconosciute
  aventi come finalità le stesse della presente legge.
    All'articolo 13 è previsto l'adeguamento delle norme
  legislative regionali; all'articolo 17 l'entrata in vigore
  effettiva in sei mesi della legge; l'articolo 18 ridefinisce
  il rapporto tra le disposizioni della proposta e le norme
  previste negli statuti delle regioni autonome.
 
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    Gli articoli 15, 16 e 20 regolano gli aspetti finanziari
  dell'applicazione della legge, per la quale è prevista una
  dotazione all'interno del bilancio dello Stato per il 1996.
    L'articolo 20 fissa inoltre un tetto di spesa a carico
  dello Stato, valorizzando un meccanismo di partecipazione
  degli enti locali e una collaborazione reale con le regioni,
  anche per non provocare carenze di rigore e serietà nella
  gestione della finanza pubblica.
    L'articolo 19 infine prevede la valorizzazione degli idiomi
  romanzi d'Italia, delegando alle regioni la facoltà di
  intervenire sulla materia, avendo come riferimento la
  normativa descritta nella presente legge.  In questo modo si
  indica una strada maestra da percorere per la valorizzazione
  di altri patrimoni culturali non contemplati nel testo in
  esame.
    Nel complesso dunque questa legge si ispira a quel criterio
  della "leggerezza" che dovrebbe contraddistinguere
  l'intervento dello Stato nelle vicende dei diritti delle
  persone, in contrapposizione alla "pesantezza" della storia
  del secolo che sta per chiudersi (I.  Calvino).  Il principio di
  eguaglianza così si arricchisce della considerazione reale
  delle differenze individuali e collettive delle comunità
  coinvolte.
    Il diritto all'uso della propria lingua nativa viene
  associato alla considerazioneche esso si esprime dentro la
  vita di relazione sociale nelle comunità culturali e
  linguistiche presenti in Italia.  Queste comunità culturali e
  linguistiche sarebbero dunque formazioni sociali ai sensi
  dell'articolo 2 della Costituzione (C.  Mortati); e, peraltro,
  è bene considerare queste formazioni sociali come dato storico
  per l'impostazione della delimitazione del territorio nel cui
  ambito si applicherà la tutela ma che non è mai assunto come
  dato assoluto per elevare barriere dentro il territorio dello
  Stato.  Il diritto alla tutela della propria lingua e cultura,
  infatti, è sostenuto nel rigoroso rispetto della libertà degli
  altri e in particolare evitando ogni forma di vantaggio o di
  privilegio per le minoranze linguistiche sotto forma di
  barriere alla libera circolazione di ogni cittadino sul
  territorio dello Stato.
    Quindi si può ben sostenere che la normativa che qui viene
  presentata all'esame dell'Assemblea si inserisce nel filone
  del diritto pubblico interno rivolto ad esplorare le strade di
  un effettivo pluralismo, che appare in sintonia con il compito
  storico di organizzare la convivenza pluralistica in
  Europa.
    L'approvazione di questo provvedimento renderà l'Italia uno
  degli Stati più avanzati sotto il profilo legislativo in
  Europa e manterrà il nostro paese in sintonia con i molti
  documenti approvati dalle istituzioni sovranazionali europee
  negli ultimi anni.
                                       CORLEONE,  Relatore.
 
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