| Onorevoli Colleghi! -- "E' da tempo che l'opinione pubblica
si mostra particolarmente sensibile ai profili della
produttività dell'apparato giudiziario e del suo massimo
impegno nella resa della giustizia. Si esprime, cioè,
l'esigenza, condivisa da un ampio schieramento di forze
politiche, che i componenti dell'ordine giudiziario non
assumano incarichi suscettibili di incidere... negativamente
sulle esigenze del servizio. Si aggiunga che l'assunzione di
incarichi extragiudiziari può anche compromettere i valori
della indipendenza e della imparzialità del giudice".
Con queste parole, ormai nel lontano giugno 1988, il
Ministro di grazia e giustizia dell'epoca, onorevole Vassalli,
iniziava la relazione al disegno di legge (atto Camera n.
2912) sulla nuova disciplina degli incarichi extragiudiziari
conferiti ai magistrati ordinari, focalizzando così le due
precipue esigenze che il progetto normativo intendeva
soddisfare.
Da allora entrambe le esigenze sono indubbiamente divenute
più pressanti: da una parte, alla luce degli innumerevoli
episodi, qualche volta anche di rilievo penale, denunciati
dalla stampa nazionale a proposito di collaudi, arbitrati ed
altri incarichi di vario genere affidati a magistrati e della
inopportunità - a dir poco - del loro conferimento (sugli
effetti negativi dell'affidamento di siffatti incarichi ai
magistrati si tratta ampiamente nella relazione della
Commissione Scalfaro sui finanziamenti per la ricostruzione
nelle zone terremotate); dall'altra, per l'aggravarsi
dell'arretrato in tutti i settori di competenza delle varie
magistrature (si pensi in particolare ai tempi medi del
giudizio civile, di quello sul pubblico impiego e di quello
pensionistico).
Per contro il Parlamento non è riuscito ad approvare
definitivamente una precisa disciplina in tema di incarichi
dei magistrati che aveva già trovato un ampio consenso dei
gruppi parlamentari.
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Un testo unificato (dei disegni di legge governativi n.
1996 e n. 2912 e di altri progetti di legge di iniziativa
parlamentare), che aveva ad oggetto anche la responsabilità
disciplinare dei magistrati, era stato approvato dalla
Commissione giustizia della Camera dei deputati nel marzo 1991
ed era in esame presso la Commissione giustizia del Senato (n.
2714) al momento dello scioglimento delle Camere.
Con la presente iniziativa ci si propone di portare a
compimento il lavoro parlamentare intrapreso nella X e
proseguito nella XI legislatura e di dare finalmente una
compiuta disciplina degli incarichi extraistituzionali e della
connessa materia delle incompatibilità dei magistrati.
Il percorso notevolmente accidentato del precedente
progetto di legge ci suggerisce di legare l'iniziativa in due
diverse proposte di legge, una, nella materia concernente le
incompatibilità e gli incarichi, e l'altra in quella inerente
alla responsabilità disciplinare ed al relativo procedimento.
Il ridotto articolato che si propone per la disciplina delle
incompatibilità e degli incarichi dovrebbe infatti renderne
possibile una rapida approvazione; le esigenze richiamate
all'inizio rendono evidente come la regolamentazione
legislativa appaia oramai non più procrastinabile.
Anche al fine di favorire un iter parlamentare in
tempi brevi, la presente proposta riproduce in larga parte
proprio il testo sul quale si era già ottenuto un vasto
accordo tra i gruppi parlamentari nella X legislatura.
Tra le poche modifiche di rilievo vi è la previsione di un
unico regime delle incompatibilità di funzioni per tutte le
magistrature; si ripropone così la scelta adottata
originariamente col testo unificato. Una disciplina unitaria
si impone per più di un motivo: per coerenza e armonia del
disegno normativo; per evitare sperequazioni tra categorie di
magistrati - sul punto l'Associazione nazionale magistrati
aveva già avanzato le sue rimostranze - col rischio altresì
della proposizione di questioni di legittimità costituzionale;
infine, per allontanare ogni sospetto di inquinamento del
controllo di legalità nell'assolvimento delle funzioni
giurisdizionali e di controllo da parte dei magistrati
amministrativi e contabili, con troppa frequenza attualmente
designati a lucrosi incarichi di collaudo o di arbitrato.
La proposta reca in dettaglio le seguenti disposizioni.
L'articolo 1 individua le situazioni di incompatibilità con
la funzione di magistrato, allargandone il ventaglio rispetto
alla tralaticia previsione dell'articolo 16 dell'ordinamento
giudiziario, nonché i limiti all'eleggibilità in relazione al
luogo e al tempo di esercizio delle funzioni magistratuali;
correlativamente vengono abrogate quelle disposizioni di legge
che finora hanno regolato l'elettorato passivo dei
magistrati.
Vengono poi sanciti l'incompatibilità con l'esercizio di
libere professioni o di attività imprenditoriali, il divieto
di cumulo degli impieghi pubblici previsto dall'articolo 65
del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto
degli impiegati civili dello Stato, approvato con decreto del
Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, nonché il
divieto di insegnamento retribuito, fatta eccezione per quello
universitario.
Altre incompatibilità colpiscono la partecipazione a
commissioni di collaudo e l'assunzione di incarichi di
arbitrato. Si tratta di un punto decisivo del provvedimento.
Infatti proprio l'affidamento di tali incarichi ha suscitato i
più grandi problemi, sia interni che esterni alle
magistrature, con grave perdita di immagine e con effetti
spesso di scandalo nell'opinione pubblica, e qualche volta di
vero e proprio allarme sociale.
Infine è inibito ai magistrati in generale l'esercizio di
funzioni amministrative, con alcune eccezioni oltre a quelle
espressamente previste da disposizioni di legge: addetti al
segretariato generale della Presidenza della Repubblica e agli
uffici legislativi ministeriali, componenti degli uffici degli
organi di autogoverno delle magistrature e addetti al
Ministero di grazia e giustizia con l'opportuna limitazione ai
compiti incidenti sullo stato giuridico dei magistrati e sulla
funzione giurisdizionale.
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La delicatezza di tale attività ministeriale e la sua stretta
connessione con la funzione magistratuale giustificano la
deroga alla regola generale.
E' prevista poi la facoltà per il Governo di proporre
magistrati per reggere alcune direzioni generali del Ministero
di grazia e giustizia.
Gli ultimi tre commi dell'articolo 1 recano norme relative
all'equiparazione delle funzioni dei magistrati addetti alla
Corte costituzionale, all'emanazione di un regolamento
attuativo delle disposizioni sui limiti al servizio
ministeriale e al ricollocamento in ruolo dei magistrati già
in servizio presso il Ministero di grazia e giustizia.
L'articolo 2 introduce il divieto di iscrizione ai partiti
politici e l'obbligo della comunicazione agli organi di
autogoverno circa l'appartenenza ad associazioni o
organizzazioni di qualsiasi natura, con conseguente
pubblicazione nei bollettini ufficiali.
Prevede infine l'irrogazione della sanzione disciplinare
della censura per le violazioni delle disposizioni di cui ai
commi 1 e 2 del medesimo articolo.
Tali disposizioni cercano di contemperare il principio
costituzionale della libertà di associazione, che vale anche
per il magistrato, con la sua attenuazione prevista
dall'articolo 98 della Costituzione, con la duplice esigenza
della salvaguardia dell'immagine di imparzialità e della
conoscibilità esterna della posizione del magistrato.
L'articolo 3 disciplina gli incarichi consentiti,
disponendone in ogni caso il conferimento, o almeno
l'autorizzazione, da parte degli organi di autogoverno.
Sono dettate poi norme sulla loro durata (al massimo cinque
anni, con una proroga per particolari e gravi esigenze per non
più di due anni), sul limite temporale (cinque anni) per
l'assunzione di un ulteriore incarico - così tra l'altro si
eviterà il deprecabile fenomeno del cumulo degli incarichi,
frequentemente denunciato dagli
organi di informazione, con casi limite di oltre dieci
incarichi - e sul collocamento fuori ruolo.
Una disposizione transitoria fa salve alcune situazioni
pregresse.
L'articolo 4 prevede la formazione di elenchi pubblici e
liberamente consultabili di tutti gli incarichi rivestiti e
dei compensi per essi percepiti dai magistrati.
Anche questa disposizione risponde all'esigenza della
conoscibilità esterna della posizione del magistrato e perciò
di una piena trasparenza come garanzia per il cittadino utente
del servizio "giustizia".
L'articolo 5 statuisce la non erogabilità della cosiddetta
indennità giudiziaria ai magistrati collocati fuori ruolo e a
quegli altri cui comunque vengono corrisposti compensi o
indennità per l'espletamento di attività istituzionali.
La previsione è perfettamente in linea con la ratio
della norma istitutiva dell'indennità, che ne giustificava la
corresponsione in relazione agli oneri dello svolgimento
dell'attività istituzionale e che la escludeva per i periodi
di congedo ordinario, di aspettativa, di astensione anche
obbligatoria per maternità e di sospensione dal servizio. Solo
un'opinabile interpretazione ne ha reso possibile finora la
corresponsione ai magistrati collocati fuori ruolo, i quali
con evidenza non svolgono attività istituzionale; nell'ipotesi
di incarico retribuito si prevede il diritto di opzione fra la
stessa e il compenso o l'indennità derivanti dall'incarico
stesso.
L'articolo 6 introduce un divieto di conferimento di
incarichi da parte del Governo, delle amministrazioni e degli
enti pubblici, delle regioni e degli enti locali ai magistrati
nel biennio successivo alla cessazione dalle loro funzioni.
L'indispensabilità di quest'ultima disposizione non ha
bisogno di illustrazione; basti richiamare le non remote
vicende di cui la stampa ha riferito, come i casi "Sammarco" e
"Conti".
L'articolo 7 infine abroga l'articolo 16 dell'ordinamento
giudiziario e le altre disposizioni incompatibili.
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