| Onorevoli Deputati! -- Il presente provvedimento è la
reiterazione dei decreti-legge 15 novembre 1993, n. 455, e 14
gennaio 1994, n. 23, decaduti per mancata conversione nel
termine costituzionale, ed al pari dei precedenti intende dare
attuazione alla revisione dell'articolo 68 della Costituzione
operata con la legge costituzionale 29 ottobre 1993, n. 3.
Rimane ferma ed anzi rafforzata la ragione che aveva già
spinto a scegliere la procedura d'urgenza, consistente nella
necessità di assicurare che la norma costituzionale fosse
prontamente accompagnata da disposizioni atte a definirne le
modalità operative.
Rispetto al testo del decreto-legge n. 455 del 1993, il
presente provvedimento tiene conto dell'esperienza applicativa
maturata vigente il precedente provvedimento, delle
indicazioni formulate dalla dottrina e, in generale, di un più
approfondito esame delle possibili soluzioni procedurali.
Gli articoli 1 e 2 del provvedimento riproducono le
corrispondenti disposizioni del decreto-legge n. 455 del
1993.
La prima norma elimina dall'articolo 343, comma 3, del
codice di procedura penale (che disciplina l'autorizzazione a
procedere) il riferimento ai parlamentari, in conseguenza del
nuovo regime delle
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immunità introdotto con la legge costituzionale n. 3 del
1993. In tal modo, la disposizione codicistica rimane
applicabile, oltre che nelle ipotesi previste dall'articolo
313 del codice penale, ai membri della Corte costituzionale
(per i quali continua quindi ad operare il regime previsto
dalla legge costituzionale n. 1 del 1948, che fa rinvio
recettizio al precedente testo dell'articolo 68 della
Costituzione).
L'articolo 2 opera l'abrogazione del comma 4 dell'articolo
655 del codice di procedura penale (che disciplina le funzioni
del pubblico ministero in materia di esecuzione dei
provvedimenti giurisdizionali), essendo esclusa, sulla base
della nuova formulazione dell'articolo 68, secondo comma,
della Costituzione, la necessità di una specifica
autorizzazione per trarre in arresto un parlamentare (o per
mantenere lo stato di detenzione) in esecuzione di una
sentenza.
L'articolo 3 ha riguardo all'immunità sostanziale prevista
dal primo comma dell'articolo 68 della Costituzione.
La valutazione in ordine alla sussistenza
dell'insindacabilità delle opinioni espresse e dei voti dati
nell'esercizio delle funzioni parlamentari è principalmente
rimessa alla Camera di appartenenza del parlamentare, in
applicazione del principio, espresso anche dalla Corte
costituzionale nella sentenza n. 1150 del 1988, secondo cui le
prerogative parlamentari implicano il potere in capo
all'organo (a tutela del quale sono poste) di valutarne
l'effettiva ricorrenza.
Il meccanismo procedurale che si è posto in essere dovrebbe
evitare "interferenze" nell'esercizio da parte del Parlamento
e della magistratura dei rispettivi poteri in ordine alla
determinazione della sussistenza della "irresponsabilità" di
cui al primo comma dell'articolo 68 della Costituzione.
Con la previsione del primo comma, al giudice è attribuito
il potere di dichiarare, adottando i conseguenti
provvedimenti, l'esistenza dell'ipotesi di insindacabilità in
tutti i casi in cui questa risulta evidente. In tale evenienza
la decisione è assunta senza alcun interpello della Camera di
appartenenza del parlamentare.
Nel secondo comma si prevede che, nell'ipotesi in cui non
ritenga evidente l'applicabilità della norma costituzionale,
il giudice, sempre che sia rilevata la relativa questione, e
questa non sia manifestamente infondata, deve sospendere il
procedimento e trasmettere gli atti al ramo del Parlamento
competente affinché deliberi se il fatto concerna opinioni
espresse o voti dati nell'esercizio delle funzioni
parlamentari. Rispetto al testo del decreto-legge n. 455 del
1993, sono state apportate le seguenti innovazioni:
a) al fine di una maggior chiarezza, si è meglio
delineato il campo di applicabilità della norma (precisando in
particolare che si deve vertere esclusivamente in tema di
ipotesi suscettibili di rientrare nell'ambito dell'articolo
68, primo comma, della Costituzione);
b) la trasmissione degli atti avviene senza il
tramite ministeriale e gerarchico. Tale soluzione è collegata
a quella analoga adottata all'articolo 4 relativamente alle
richieste di autorizzazione;
c) l'ordinanza non impugnabile che dispone la
trasmissione degli atti alla Camera competente è adottata nel
contraddittorio tra le parti, che devono essere "sentite";
d) si è operata la sostituzione dell'espressione
"fatto per il quale si procede" con quella: "fatto per il
quale è in corso il procedimento", per eliminare dubbi circa
l'applicabilità della procedura anche ai procedimenti
civili;
e) onde evitare che si possa determinare
un'eccessiva stasi del procedimento, si è introdotto un
termine di durata della sospensione correlato alla
deliberazione della Camera e, in ogni caso, non superiore a
novanta giorni;
f) nei casi di manifesta infondatezza della
questione sull'insindacabilità, alla Camera competente viene
immediatamente trasmesso il provvedimento del giudice.
Restano ferme le previsioni secondo cui in pendenza della
deliberazione parlamentare possono essere compiuti gli atti
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urgenti e può procedersi alla separazione dei procedimenti
riuniti.
L'articolo 4 disciplina le modalità attuative dell'articolo
68, secondo comma, della Costituzione. Si è preferita una
collocazione non codicistica della norma perché, vertendosi in
tema di autorizzazione al compimento di specifici atti, si è
al di fuori dell'ambito delle "condizioni di procedibilità" e,
in particolare, delle possibili integrazioni alla disciplina
degli articoli 343 e 344 del codice di procedura penale. Non
si è ritenuto possibile, d'altra parte, inserire la previsione
nel libro del codice dedicato ai soggetti (e, specificamente,
nel titolo relativo all'imputato), perché l'autorizzazione va
richiesta anche per atti che, pur relativi a procedimenti nei
quali il parlamentare non assume la qualità di "indagato" o
imputato, incidono comunque sulle garanzie riservate ai membri
del Parlamento (si pensi ad un'intercettazione sull'utenza del
parlamentare, ma coinvolgente una persona che con lui conviva
e che sia "indagata"). Né, infine, si è potuto inserire la
previsione tra le disposizioni in materia di indagini
preliminari in quanto l'autorizzazione può essere richiesta
anche in altre fasi processuali.
La soluzione adottata prevede che l'obbligo di formulare la
richiesta ricada sull'organo che ha emesso il provvedimento e
che la richiesta debba essere formulata con riferimento
all'atto concreto da eseguire anziché con generico riferimento
al tipo di atto che l'autorità giudiziaria intende
disporre.
La scelta di stabilire l'autorizzazione della Camera
competente per ogni specifico atto "particolarmente garantito"
da eseguire è rigorosamente in linea con la previsione
costituzionale; quella di far formulare la richiesta
all'autorità che ha emesso il provvedimento si spiega, da un
lato, con la necessità di non far pronunciare il Parlamento
su richieste che potrebbero non essere accolte dall'organo
giudiziario competente e, dall'altro lato, di non "vincolare"
quest'ultimo dalle scelte adottate dal Parlamento.
E' stato previsto ex novo che la richiesta di
autorizzazione sia effettuata da parte dell'autorità
giudiziaria competente "direttamente" al Parlamento,
eliminando così sia il tramite del Ministero di grazia e
giustizia, sia quello gerarchico. Poiché con la nuova
disciplina l'autorizzazione concerne singoli e specifici atti
la cui efficacia è spesso dipendente dalla "rapidità" di
esecuzione, si è conseguentemente ritenuto opportuno, al fine
di ottenere la massima contrazione dei tempi procedurali, di
eliminare una fase procedimentale ritenuta non indispensabile.
Per ovvie ragioni di uniformità di disciplina, si è ritenuto
di adottare identica soluzione anche per la trasmissione degli
atti prevista all'articolo 3.
Nell'articolo 4, infine, non compare più il comma 4 che,
comunque, non è stato soppresso ma "trasformato" nell'articolo
5. La nuova collocazione della norma si è resa necessaria in
quanto è stata introdotta una modifica, volta ad eliminare una
lacuna del decreto-legge n. 455 del 1993, consistente
nell'ampliamento del suo ambito di applicazione, che ora
ricomprende, oltre alla richiesta di autorizzazione prevista
dall'articolo 4, anche l'ordinanza prevista dall'articolo 3.
In entrambi i casi si prevede che in tali atti l'autorità
giudiziaria enunci il fatto oggetto del procedimento,
indicando le eventuali norme di cui si assume la violazione, e
fornisca alla Camera competente gli elementi su cui il
provvedimento si fonda.
L'articolo 6 fissa la data di entrata in vigore del
provvedimento.
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