| Onorevoli Colleghi! -- E' ormai un dato certo e
incontestabile che tra i fattori della mancata crescita
economica del sud, vi sia il nodo irrisolto del sistema
creditizio.
Accanto all'assenza di infrastrutture, all'inefficienza
burocratica, alla mancata utilizzazione delle risorse
finanziarie dello Stato e dell'Unione europea, quella del
credito è una delle fondamentali ragioni che spiegano il
perché (pur in presenza di un travolgente ritmo produttivo che
caratterizza la situazione del nord del Paese, giunto in testa
alle classifiche europee) il meridione d'Italia non risenta,
invece, in alcun modo degli effetti positivi dell'attuale
congiuntura.
E' persino superfluo ricordare le ricorrenti e innumerevoli
prese di posizione politiche, confindustriali o sindacali sul
divario che contraddistingue su questo aspetto le due aree del
Paese. In tal senso, molto più espliciti ed illuminanti
risultano, infatti, i dati ufficiali pubblicati anche di
recente dalla Banca d'Italia.
Rispetto alle aziende del nord, gli imprenditori
meridionali, su un prestito inferiore a 100 milioni pagano, in
media, più del 4 per cento in più, con scarti che arrivano in
alcune regioni anche a più del 6 per cento!
Di converso, un cittadino calabrese, napoletano o pugliese,
riceve sul suo denaro
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depositato in banca oltre l'1,5 per cento in meno di
remunerazione lorda rispetto a un risparmiatore del nord!
Le aziende e i cittadini del sud sono costretti a dare
garanzie pari a non meno del 90 per cento dei crediti
ottenuti. Al centro-nord questa percentuale, specie per le
imprese, si abbassa al 55 per cento!
Le banche impiegano nel sud solo il 60 per cento dei
depositi raccolti in loco, contro l'80 per cento delle regioni
del nord!
La ricorrente litania dell'Associazione bancaria italiana
sul trattamento "coloniale" riservato al sud, è fondata, com'è
noto, sulla maggiore rischiosità degli impieghi nel
meridione.
Come spiegare, allora, il fatto che, negli ultimi due-tre
anni, nonostante questa preoccupante "rischiosità o
sofferenza", la Banca di Roma, il Banco AmbrosianoVeneto, la
Cariplo, la Banca Commerciale Italiana, il Monte dei Paschi di
Siena, il San Paolo di Torino, la Banca popolare
Emiliano-Romagnola, eccetera, stanno facendo incetta di
sportelli bancari al sud?
Come si spiega che perfino la Deutsche Bank,
dominatrice incontrastata del mercato finanziario e creditizio
europeo, sbarchi in Campania, Puglia e Sicilia, se non per le
stesse ragioni che spingono al sud le banche italiane?
Ebbene, a parte il fatto che studi e analisi approfondite,
non certo di parte, hanno indiscutibilmente dimostrato che per
le banche nel Mezzogiorno a parità di rischio corrisponde un
più elevato rendimento degli impieghi, il motivo di tanto
interesse è più che evidente.
L'obiettivo sono gli oltre 200.000 miliardi che i
meridionali risparmiano ogni anno e che, tramite il sistema
bancario, devono essere drenati per finanziare lo sviluppo del
nord.
E si badi bene. Ciò dimostra non soltanto la stupida
pretestuosità del ritornello di chi parla di un sud assistito
contro un nord autosufficiente ma, soprattutto, che è in atto
un preciso disegno dei poteri economici e finanziari di questo
Paese che vogliono caricare e far pagare alle popola-
zioni del sud una fortissima quota del costo del rilancio
delle aree forti!
Per questo il Meridione deve fare solo e soltanto il
donatore di sangue fresco!
Per questo il sistema produttivo meridionale deve essere
dissuaso dall'investire, attraverso inaccettabili condizioni
capestro di accesso al credito!
Per questo la macchina burocratica meridionale deve
rimanere in condizioni tali da impedire un regolare e
tempestivo utilizzo delle risorse dello Stato e dell'Unione
europea!
Ecco perché la questione della uniformità di accesso al
credito per le aziende e i cittadini del nostro Paese,
indipendentemente dalla loro ubicazione territoriale diventa,
oggi, la cartina di tornasole della effettiva volontà delle
forze politiche, sociali, imprenditoriali di volere realmente
lavorare per il superamento di un divario che diventa ogni
giorno di più un abisso difficilmente colmabile.
Si tratta, quindi, di ribadire, con l'aggiunta di ipotesi
sanzionatorie, quanto già il Parlamento ebbe a solennemente
sancire con l'articolo 8 della legge 1^ marzo 1986, n. 64, per
altro scandalosamente mai attuato e cioè che l'obiettivo
dell'uniformità dei tassi è una decisione che non può basarsi
unicamente su valutazioni di carattere tecnico, ma al
contrario, su una irrinunciabile scelta strategica e politica,
per chi vuole, con fatti concreti e non a parole, il
riequilibrio territoriale delle aree depresse del Paese. Ecco
perché, infine, non è più differibile una piena assunzione di
responsabilità del Parlamento che risponda alla legittima
richiesta delle popolazioni del sud di potere partecipare da
protagoniste e non da colonizzati alla rinascita dell'intero
Paese. Entrando nel merito, la proposta, all'articolo 1, fissa
l'obbligo per gli istituti bancari e di credito di praticare
in tutte le sedi, filiali ed agenzie, tassi e condizioni
uniformi e di integrale parità di trattamento per ciascun tipo
di operazione bancaria nei confronti dei clienti, a parità di
condizioni soggettive.
Il comma 2 dell'articolo 1 introduce il divieto di
applicare disparità di condizioni contrattuali fondate su
criteri geografici di
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insediamento o di operatività territoriale dei clienti,
mentre il comma 3 fissa in sessanta giorni dalla data di
entrata in vigore della presente legge il termine entro cui la
Banca d'Italia deve emanare i regolamenti attuativi delle
norme in questione.
L'articolo 2 precisa le sanzioni applicate in caso di
inosservanza al disposto
normativo, prevedendo, al comma 2, l'inasprimento delle
stesse in caso di ripetute violazioni.
L'articolo 3, infine, prevede che il Ministro del bilancio
e della programmazione economica presenti al Parlamento una
relazione semestrale sull'attuazione della legge, sulle
violazioni riscontrate e sulle sanzioni irrogate.
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