| Onorevoli Deputati! -- Il presente decreto-legge,
recante misure urgenti in materia di parcheggi e di trasporti,
reitera il decreto-legge 2 febbraio 1994, n. 81, decaduto per
mancata conversione in legge nei termini costituzionali, con
un nuovo testo che tiene anche conto dell'intervenuto
trasferimento alle regioni delle competenze in materia di
parcheggi e di realizzazione di itinerari pedonali e piste
ciclabili, disposto
dall'articolo 12 della legge 24 dicembre 1993, n. 537.
Al riguardo, si ricorda che il Ministro per i problemi
delle aree urbane, nell'ultima relazione sullo stato di
attuazione della legge n. 122 del 1989, trasmessa al
Parlamento in adempimento di quanto previsto dall'articolo 28
della legge stessa (vedi Doc. CXIX, n. 1), aveva evidenziato
le difficoltà applicative della normativa ed
aveva suggerito alcune modifiche alla stessa.
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A ciò deve aggiungersi che la legge di riforma delle
autonomie locali, integrata sul punto dall'articolo 12 della
legge 23 dicembre 1992, n. 498, ha previsto la possibilità per
i comuni di affidare l'esercizio dei servizi pubblici e la
realizzazione delle opere necessarie al corretto svolgimento
del servizio a società per azioni, anche a prevalente
partecipazione privata.
Le nuove previsioni legislative, prevedendo una formula
organizzatoria che supera sia la realizzazione diretta da
parte dei comuni sia la realizzazione mediante affidamento in
concessione, hanno notevolmente modificato il quadro di
riferimento delineato nella legge n. 122 del 1989, per cui
appare assolutamente prioritario procedere ad un adeguamento
della stessa.
A tal fine il comma 1 dell'articolo 1 prevede che il
Ministro dell'ambiente e per i problemi delle aree urbane,
definisca con proprio decreto i requisiti che i soggetti
interessati debbono possedere ai fini dell'ammissione ai
contributi previsti dalla legge 24 marzo 1989, n. 122.
L'adeguamento delle procedure per la determinazione dei costi
standard e delle modalità di accesso al credito da parte
dei comuni e dei soggetti concessionari è ugualmente stabilito
con decreto del Ministro dell'ambiente e per i problemi delle
aree urbane, richiedendosi però il concerto dei Ministri del
tesoro e del bilancio e della programmazione economica e il
rispetto dei criteri direttivi indicati dalla Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano, così come previsto
dall'articolo 12 della legge n. 537 del 1993.
Nei commi successivi si dettano, invece, misure volte a
favorire la realizzazione di parcheggi privati sia per
recuperare gli standard urbanistici previsti dalla legge
17 agosto 1942, n. 1150, negli immobili già esistenti, sia per
consentire la realizzazione di ulteriori strutture destinate
ad uso di parcheggio, vincolate a tale uso per trenta anni.
In particolare si prevede che possano essere destinatari
della concessione del diritto di superficie di aree comunali
per la realizzazione di parcheggi sia privati proprietari di
civili abitazioni che residenti non proprietari secondo
criteri di riparto che saranno determinati con decreto del
Ministro per i problemi delle aree urbane.
Con il comma 9 si consente alle Ferrovie dello Stato S.p.a.
di utilizzare i contributi della cosiddetta "legge Tognoli"
per la realizzazione di parcheggi su aree di loro proprietà
già previsti negli strumenti urbanistici vigenti, a
prescindere dal loro inserimento o meno nei programmi dei
parcheggi di cui alla stessa legge.
Ciò permetterebbe di ricorrere ai fondi ancora disponibili
per la realizzazione di fondamentali infrastrutture di
servizio alla collettività che, anche se non comprese nei
suddetti programmi, si collocano comunque in un contesto di
completo rispetto delle previsioni urbanistiche.
L'articolo 2 è inteso a sbloccare cospicue risorse
finanziarie il cui utilizzo è impedito dall'inerzia di alcuni
comuni e delle regioni interessate.
In particolare si prevede che le regioni possano procedere,
nel termine di novanta giorni dalla conversione del presente
decreto ad approvare gli appositi programmi urbani parcheggi.
In caso di ulteriore inerzia i fondi non impegnati sono
revocati con provvedimento del Presidente del Consiglio dei
ministri, su proposta del Ministro per i problemi delle aree
urbane, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di
Bolzano, e possono essere riassegnati ad altre regioni per il
completamento dei programmi già definiti. Per i criteri in
base ai quali individuare gli ulteriori interventi a
contributo si fa rinvio alle direttive della Conferenza
permanente Stato-regioni. La procedura è costruita come
specificazione del generale potere del Presidente del
Consiglio dei ministri di sospendere l'erogazione delle somme
non utilizzate, in caso di mancato perseguimento degli
obiettivi previsti dalle leggi la cui attuazione è trasferita
alla competenza regionale (articolo 12, comma 3, della legge
n. 537 del 1993).
L'eventuale riassegnazione dei fondi è disposta con decreto
del Ministro del bilancio
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e della programmazione economica, in quanto i relativi
stanziamenti sono confluiti nel fondo per il finanziamento dei
programmi regionali di sviluppo di cui all'articolo 9 della
legge 16 maggio 1970, n. 281.
La legge 26 febbraio 1992, n. 211, concernente interventi
nel settore dei sistemi di trasporto rapido di massa, si
prefigge di favorire lo sviluppo del trasporto pubblico urbano
attraverso la realizzazione di sistemi di trasporto rapido di
massa a guida vincolata in sede propria e di tramvie veloci a
contenuto tecnologico innovativo.
In relazione alle suddette finalità, la legge prevede due
distinte modalità di intervento dello Stato.
Una prima, ai sensi dell'articolo 9, per la quale è
prevista la possibilità di corrispondere contributi annui, in
misura non superiore al 10 per cento dell'investimento e per
la durata massima di trenta anni, alle città metropolitane ed
ai comuni individuati, su proposta delle regioni interessate,
dal Ministro per i problemi delle aree urbane, di concerto con
il Ministro dei trasporti.
Una seconda, ai sensi dell'articolo 10, che prevede che gli
enti indicati dall'articolo 8 della legge 15 dicembre 1990, n.
385 (Ente ferrovie dello Stato e ferrovie in concessione ed in
gestione commissariale governativa), nonché gli altri enti
interessati, siano autorizzati ad accendere mutui decennali
garantiti dallo Stato per l'ammodernamento e la realizzazione
di collegamenti ferroviari con aree aeroportuali, espositive
ed universitarie, di sistemi ferroviari passanti, di sistemi
di trasporto rapido di massa e di programmi urbani integrati
dal Ministro dei trasporti, di concerto con il Ministro per i
problemi delle aree urbane.
Va altresì ricordato che la Commissione richiamata dal
comma 4 dell'articolo 3 del decreto-legge, opera da oltre tre
anni ed assicura una corretta vigilanza sull'attuazione del
programma di ammodernamento delle ferrovie in concessione ed
in gestione governativa.
L'obiettivo quindi di rendere coordinati e funzionali gli
interventi di cui alle leggi sopracitate - tenuto altresì
conto della effettiva integrazione degli interventi stessi
nelle complesse aree urbane e metropolitane - può essere più
agevolmente perseguito assicurando unitarietà alle azioni
istituzionali di controllo. Le predette attività di controllo,
che vanno esplicate sotto l'aspetto tecnico,
giuridico-amministrativo ed economico-finanziario, trovano
nella Commissione costituita per gli interventi di cui alla
legge n. 910 del 1986, piena e completa rispondenza, avuto
riguardo alla qualificata presenza nella stessa di
rappresentanti degli organi di controllo dello Stato
(Consiglio di Stato, Corte dei conti, e Avvocatura generale
dello Stato) e di esperti dei Dicasteri competenti (Ministero
del tesoro, Ministero dei trasporti, Ministero dei lavori
pubblici).
L'articolo 4 è destinato a sovvenire a necessità
d'investimento urgenti nel settore dei trasporti.
La legge 10 aprile 1981, n. 151, è la legge quadro per il
trasporto pubblico locale che assicura il finanziamento dello
Stato all'esercizio e agli investimenti, ripartito annualmente
dal Ministero dei trasporti fra le regioni.
Negli anni di applicazione l'entità dei fondi per
investimenti ha avuto un andamento assai irregolare ed è stata
drasticamente ridotta nel 1989. Va ricordato che gli effetti
della predetta legge n. 151 del 1981 sono stati in passato
certamente positivi, assicurando un parziale rinnovo del parco
rotabile e contemporaneamente lavoro all'industria
costruttrice di mezzi di trasporto.
Nel medio periodo si sono però sempre più evidenziati
aspetti negativi della stessa legge, che possono così
sintetizzarsi:
l'acquisto di autobus è stato drasticamente effettuato
esclusivamente in relazione all'entità e ai tempi di
finanziamento statale, e non sulle necessità di rinnovo e
ammodernamento del parco;
l'età media dei mezzi, che nel 1988 era di sette/otto
anni, attualmente è di circa dieci anni. Oltre il 20 per cento
del parco (e cioè circa 10.000 veicoli) ha più di quindici
anni di vita, con punte fino a
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trenta anni. Inevitabili le ripercussioni, deleterie in
termini di costi di esercizio, di sicurezza e di inquinamento
ambientale;
visto l'andamento estremamente irregolare degli
stanziamenti, le regioni non hanno utilizzato la facoltà
attribuita loro dalla legge di integrare tali fondi con mezzi
propri, in modo da garantire una programmazione equilibrata di
rinnovo del parco;
a partire dal 1989 la misura e la certezza degli
stanziamenti statali sono diventate estremamente aleatorie,
togliendo alle aziende nazionali produttrici di autobus ogni
riferimento per una ragionevole programmazione produttiva. Le
stesse infatti hanno dovuto ridimensionare, anno per anno, la
capacità produttiva, bloccando il turn-over e ricorrendo
in misura crescente alla cassa integrazione; attualmente
almeno il 60 per cento degli addetti risulta ammesso al
trattamento straordinario di integrazione salariale;
alcune aziende sono state costrette a chiudere e sono
uscite dal mercato; tutti gli investimenti già fatti per il
rinnovo dei prodotti e dei processi di produzione per
adeguarli allo standard europeo risultano inutilizzati;
l'irregolarità della domanda e la ridotta utilizzazione degli
impianti hanno influito negativamente sulla competitività
delle aziende, vanificando ogni tentativo di ricerca di
sbocchi su altri mercati;
non è esagerato ipotizzare a breve termine, in mancanza
di adeguati provvedimenti a livello nazionale e regionale, la
completa cessazione dell'attività produttiva da parte delle
aziende del settore, con la definitiva chiusura e la perdita
di circa 15.000 posti di lavoro diretti e nell'indotto;
la mancata concessione di finanziamenti già decisi per
investimenti nel settore autobus, d'altra parte, arreca
modesti vantaggi finanziari per lo Stato in quanto, a fronte
dei risparmi conseguenti al blocco dei finanziamenti, vi sono
perdite di gettito fiscale per l'Erario, di IVA sulle mancate
vendite di veicoli, di IRPEG e IRPEF sui mancati utili delle
aziende e sugli stipendi dei dipendenti (a seguito della
cessazione di attività), di costi aggiuntivi per il ricorso al
trattamento di integrazione salariale che si fa ogni giorno
più massiccio.
Nell'ipotesi di mancata concessione del finanziamento si
può stimare l'effettivo "risparmio" al massimo nel 50 per
cento dello stanziamento originariamente previsto.
Per far fronte alla predetta gravissima crisi che ha
colpito l'industria costruttrice di autobus, si è ritenuto di
utilizzare, per contributi alle regioni a statuto ordinario ai
fini di cui all'articolo 11, quarto comma, della legge n. 151
del 1981, le disponibilità non ancora impegnate, alla data di
entrata in vigore del decreto-legge, del capitolo 7877 dello
stato di previsione del Ministero del tesoro, concernente
oneri per capitale ed interessi per l'ammortamento dei mutui
contratti dalle regioni per gli investimenti nel settore del
trasporto pubblico locale, prescrivendo norme di salvaguardia
ecologica.
Le assegnazioni effettuate sul predetto capitolo 7877,
ammontanti a 100 miliardi di lire per il 1991, 175 miliardi
per il 1992 e 175 miliardi per il 1993, non sono state
utilizzate a causa del blocco della contrazione dei mutui
disposto con il decretolegge 11 luglio 1992, n. 333,
convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n.
359, e con la legge 23 dicembre 1992, n. 498.
Al fine di rendere possibile l'utilizzazione dell'intero
importo di 450 miliardi di lire, costituito dai residui
relativi al triennio 1991-1993, si è resa necessaria la
puntualizzazione nella norma in questione della espressa
utilizzazione dei residui degli anni 1991 e 1992.
In ordine all'esigenza di disporre delle assegnazioni
suddette, va rilevato che a causa della progressiva riduzione
e del successivo blocco, a partire dall'anno 1990, delle
erogazioni per gli investimenti nel settore del trasporto
pubblico locale, oltre il 20 per cento del parco veicoli in
circolazione è costituito da automezzi in esercizio da più di
15 anni, con evidenti ripercussioni in termini di costi di
esercizio, di
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sicurezza, nonché di inquinamento dell'ambiente.
L'articolo 5 tende a regolare l'attività di creazione di
nuovi interporti.
Come è noto la legge 4 agosto 1990, n. 240, prevede
l'adozione di procedure differenziate tra gli interporti di
primo e secondo livello.
In relazione a ciò sono state da tempo attivate le
procedure relative ai nove interporti di primo livello di cui
all'articolo 9 della legge medesima e in data 16 aprile 1992
si è pervenuti alla stipula delle convenzioni con i soggetti
gestori degli interporti stessi.
Attualmente è in corso di attuazione il programma di
interventi ammesso a contributo, che ammonta globalmente a
lire 482 miliardi.
Per quanto riguarda gli interporti di secondo livello, le
competenti Commissioni permanenti della Camera e del Senato si
sono espresse sullo schema di piano quinquennale degli
interporti; resta, pertanto, da emanare, per il completamento
del relativo iter procedurale, un apposito decreto di
approvazione.
Tuttavia, notevoli al momento appaiono le difficoltà per
quanto concerne la successiva fase attuativa della norma.
Prima fra tutte, quella relativa al regime di concessione,
la cui applicazione sembra creare particolari problemi circa
la definizione della durata, dell'ampiezza e della cedibilità
del rapporto concessorio.
L'insieme delle problematiche sopra esposte rende
impossibile il completamento dell'atto di
convenzione-concessione, previsto dall'articolo 5 della citata
legge n. 240 del 1990.
Appare, inoltre, assai difficoltosa la predisposizione, da
parte dei soggetti interessati, di un esatto piano
economico-finanziario, derivandone perplessità ed incertezze
circa l'attivazione di capitali privati nelle iniziative in
argomento.
In particolare, per quanto riguarda l'ampiezza della
concessione, andrebbe definito se la stessa debba riferirsi a
tutte le opere e strutture facenti parte dell'area
interportuale ovvero solo a parte di esse.
Nel caso, infatti, di finanziamento parziale
dell'interporto, il soggetto gestore dovrebbe reperire mezzi
propri sufficienti a rendere funzionale l'interporto, senza
conoscere quale sarà la proporzione del finanziamento
pubblico, ottenendo tuttavia dalla concessione vincoli
giuridico-patrimoniali sulle parti in concessione, tali da
scoraggiare fortemente l'iniziativa.
Laddove si ipotizzi un finanziamento pubblico integrale,
con le restanti risorse finanziarie disponibili sulla legge n.
240 del 1990 potrà essere realizzato unicamente un numero di
strutture estremamente limitato anche in relazione alle
previsioni dello schema di piano quinquennale previsto.
Andrebbero altresì definite le modalità di riscatto dello
Stato alla scadenza del previsto periodo di concessione e
andrebbe chiarito se tale riscatto debba avvenire con
risarcimento da parte dello Stato o meno.
Quanto sopra, anche in relazione alla circostanza che
alcuni interporti di secondo livello risultano già
parzialmente realizzati con capitali privati ancora prima
dell'instaurarsi del rapporto concessorio.
Sorgono infine giustificati interrogativi circa il senso di
mantenere due regimi diversi per la rete interportuale: quella
di primo livello in regime di convenzione e quella di secondo
livello in regime di concessione.
Va inoltre evidenziato che da un punto di vista procedurale
ulteriori difficoltà interpretative ed applicative, anche se
di portata inferiore, sono poste dall'articolo 3 della stessa
legge n. 240 del 1990 relativamente ai requisiti delle società
di nuova e vecchia costruzione, alla conseguente verifica
degli stessi e dei termini di adeguamento alle modificazioni
statutarie previste.
Inoltre, le Commissioni permanenti delle Camere,
nell'ambito dell'esame dello schema di piano quinquennale
degli interporti, cui si è già accennato, hanno espresso, tra
l'altro, in merito alle problematiche sopra esposte, pareri
che confermano la validità dell'ipotesi prospettata.
Un immediato avvio delle procedure potreb-be essere
ipotizzato in tempi molto brevi, apportando alcune modifiche
al testo.
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Le modifiche riguardano, infatti, una ridefinizione dei
concetti sostanziali quali appunto l'abolizione della
differenziazione tra primo e secondo livello e del regime di
concessione.
Si prevede poi che l'ammissione ai contributi è disposta
previa stipula di convenzione e si stabiliscono i criteri ai
quali la relativa domanda deve corrispondere.
I tempi e le modalità della domanda stessa saranno definiti
con decreto ministeriale.
Si segnala che le modifiche proposte consentirebbero di
corrispondere alle aspettative manifestate in più occasioni
dai soggetti interessati, permettendo la rapida attivazione
delle procedure e, quindi, degli investimenti da parte dei
soggetti gestori, consentendo, nel contempo, il superamento
delle difficoltà sopra esposte.
Il testo così modificato, eliminando le differenziazioni
tra interporti di primo e secondo livello anche dal punto di
vista procedurale, consentirebbe l'adozione di procedure
uniformi e di un unico regime convenzionale ai fini della
concessione di contributi da parte dello Stato.
Va, infine, sottolineato che quanto sopra non comporta
alcun ulteriore onere finanziario da parte dello Stato
rispetto a quanto previsto dalla legge n. 240 del 1990.
Alla luce dell'esperienza attuativa effettuata nell'ambito
delle procedure per gli interporti di cui all'articolo 9 della
legge n. 240 del 1990, è emersa la necessità, particolarmente
sentita per quegli interporti che sono ancora completamente da
realizzare, di utilizzare strumenti normativi più efficaci e
snelli ai fini della localizzazione e della realizzazione
delle opere.
In relazione a ciò, si precisa che l'articolo 8 della legge
n. 240 del 1990 già prevedeva l'applicabilità delle
disposizioni di cui all'articolo 81 del decreto del Presidente
della Repubblica n. 616 del 1977.
Tuttavia sembra necessario proporre di recuperare
attraverso procedure cui dovranno attenersi vari soggetti sia
essi pubblici che privati le sedi istituzionali ove verificare
la coerenza della programmazione nazionale delle opere in
argomento, con quella regionale, provinciale e comunale.
Il comma 6 dell'articolo 5 tende ad armonizzare i nuovi
istituti della cosiddetta "amministrazione concordata"
(conferenza di servizi ed accordi di programma) con le norme
tuttora vigenti nel nostro ordinamento che stabiliscono il
raccordo tra la scelta localizzativa delle grandi opere
pubbliche o di interesse pubblico e la pianificazione
urbanistica.
La conferenza di servizi si caratterizza quindi non come
una forma di accelerazione procedimentale tendente alla
verifica della conformità delle scelte localizzative con le
anteriori previsioni di piano, ovvero all'armonizzazione di
queste ultime alla scelta medesima.
La norma in questione opera un raccordo con il procedimento
di cui all'articolo 81 del decreto del Presidente della
Repubblica n. 616 del 1977, prevedendo ai sensi dell'articolo
27 della legge n. 142 del 1990, la verifica della conformità
urbanistica, della scelta localizzativa o della sua
approvazione in variante.
Il senso complessivo della norma, quindi, va nella
direzione di individuare nella conferenza dei servizi e
nell'accordo di programma scelte procedimentali accelerate che
coprano ambiti di discrezionalità, i cui confini non sono
allargati.
L'articolo 6 reca modifiche all'articolo 117 del decreto
legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (codice della strada), così
come modificato dal decreto legislativo 10 settembre 1993, n.
360.
La norma è motivata dall'elevato numero degli incidenti
stradali ed è intesa a dettare limiti uniformi di velocità
rispettivamente di 100 Km/h per le autostrade e di 90 Km/h per
le strade extraurbane principali nei confronti dei
neopatentati per i primi tre anni dal conseguimento della
patente, in relazione alla potenza ed alla velocità degli
autoveicoli come previsto dall'articolo 117 del codice della
strada.
Sono conseguentemente abrogate le norme dell'articolo 316
del regolamento per la parte che prevedono l'indicazione sulla
carta di circolazione degli autoveicoli
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delle limitazioni già vigenti per i neopatentati ai
sensi dell'articolo 117 del codice della strada.
E' prevista l'emanazione di un decreto del Ministro dei
trasporti per stabilire le modalità per l'apposizione sui
veicoli condotti dai neopatentati di un apposito contrassegno
identificativo.
La copertura finanziaria è assicurata dai fondi ancora non
utilizzati della
legge n. 240 del 1990, pari a lire 218 miliardi.
Il meccanismo proposto, che prevede contributi dello Stato
fino alla misura massima del 60 per cento dell'investimento,
non implica ulteriori oneri per lo Stato bensì la possibilità
di avviare un volume di investimenti maggiore per la presenza
di almeno il 40 per cento di capitale privato.
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