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Testi integrali degli Atti Parlamentari della XII Legislatura

Documento


905
DDL0061-0002
Progetto di legge Camera n. 61 - testo presentato - (DDL12-61)
(suddiviso in 8 Unità Documento)
Unità Documento n.2 (che inizia a pag.1 dello stampato)
...C61. TESTIPDL
...C61.
RELAZIONE
ZZDDL ZZDDLC ZZNONAV ZZDDLC61 ZZ12 ZZRL ZZPR
    Onorevoli Colleghi! -- L'amministrazione statunitense fin
  dal 1992 ha deciso una riduzione del bilancio della difesa,
  stabilendo una diminuzione dei fondi iniziale del 7 per
  cento.
    E' solo il primo passo di un declino generalizzato delle
  spese militari della massima potenza militare dell'Occidente,
  declino che avrà ulteriori seguiti sino al 1997.
    La tendenza in atto avrà immediate ripercussioni
  sull'industria statunitense produttrice di armamenti, con la
  chiusura di intere linee di produzione ed il conseguente
  licenziamento di migliaia di lavoratori.
    Inoltre molti dei programmi, in stadio avanzato di
  realizzazione, verranno trasformati in veri e propri "esercizi
  di ricerca tecnologica e fattibilità": si arriverà sino allo
  stadio prototipico, ma non si
  passerà alla produzione di serie.  Con questa impostazione si
  manterrà il  know how  e la supremazia tecnologica,
  ovviamente a discapito delle "tute blu".
    Dall'esempio statunitense emerge chiaramente la stretta
  relazione tra stanziamenti per la difesa armata e situazione
  occupazionale e tecnologica dell'industria produttrice di
  armamenti.
    C'è chi obietta che tale situazione non è comparabile con
  quella italiana: gli USA nel passato decennio hanno investito
  ingentissime risorse in armamenti, procedendo ad un completo
  rinnovamento dei sistemi d'arma in dotazione alle forze armate
  statunitensi, mentre i vertici militari italiani lamentano una
  obsolescenza accentuata dei mezzi in dotazione, giungendo a
  chiedere, nel documento sul nuovo modello di difesa,
  investimenti straordinari per 40.000 miliardi di lire nel
  prossimo decennio.
 
                               Pag. 2
 
    L'industria produttrice di armamenti italiana sta
  attraversando un periodo di profonda crisi e di tentativi di
  ristrutturazione.
    Il venir meno dei mercati del terzo mondo, tradizionale
  sbocco dell' export  dell'industria bellica italiana, la
  più che dimostrata incapacità di sfondare sui mercati
  occidentali e di reggere la concorrenza dei grandi gruppi
  europei e statunitensi sono fatti che sono sotto gli occhi di
  tutti e che risultano dalle analisi delle industrie del
  settore.
    Le risposte date dalle aziende sono state contraddittorie,
  ma comunque sostenute da consistenti parti del mondo politico
  italiano.
    Si è tentata da un lato la strada degli accorpamenti e
  delle sinergie tra aziende (a questo proposito è emblematico
  il caso della creazione della Alenia, nata dall'unione tra
  Selenia ed Aeritalia), che hanno portato come conseguenza
  immediata una grave crisi occupazionale nelle aziende
  interessate, con la riduzione di migliaia di posti di
  lavoro.
    Altre aziende hanno scelto invece la via basata sul
  considerare i soggetti in esse occupati come variabile
  dipendente dalle esigenze produttive dell'azienda, che
  pervicacemente insiste in produzioni a carattere
  preminentemente militare.
    A tal fine è emblematico il caso dell'Aermacchi, che dal
  settembre 1990 alla primavera del 1992 si è "liberata" di
  oltre 600 dipendenti, a fronte di una situazione occupazionale
  che al 31 dicembre 1990, registrava 2.704 occupati.
    La riduzione occupazionale dell'Aermacchi si accompagna
  alle seguenti scelte strategiche aziendali:
      la scelta di investire in progetti civili  (Dornier
  328)  che assicurino anche alleanze per produzioni nel
  settore militare.  Le timide conversioni al civile sono quindi
  non alternative, ma funzionali alla continuazione della
  produzione militare;
      la ricerca e sviluppo rimane incentrata sul militare,
  mentre si trascurano investimenti in ricerche nel settore
  civile che potrebbero aprire nuovi interessanti mercati
  (velivolo propulso ad idrogeno chimico, settore spazio).
    Il tutto in un quadro che vede la produzione militare
  languire, tanto che:
      la vendita di caccia  AM-X  va male, e l'ipotesi di
  esportazione verso la Thailandia non decolla.  Inoltre i lotti
  destinati all'Aviazione militare italiana sono diminuiti,
  anche se risulta che siano state fornite all'azienda
  assicurazioni circa il benestare ad un aumento del costo
  unitario, e quindi dei margini di profitto, degli aerei che
  verranno comunque prodotti;
      Aermacchi è inoltre impegnata nella corsa per
  aggiudicarsi il contratto per il nuovo  trainer  destinato
  alle forze armate statunitensi, che da parte loro hanno già
  dichiarato la riduzione del numero di velivoli richiesti e che
  chiederanno comunque consistenti contropartite, economiche e
  politiche, nel caso che la scelta cada su un velivolo non
  statunitense.
    Il caso Aermacchi, rapidamente sopra esposto, dimostra
  come, in una situazione caratterizzata da una riduzione della
  tensione e dall'estinzione dei blocchi politicomilitari che
  hanno caratterizzato il dopoguerra, l'industria bellica
  continui a puntare su produzioni a carattere militare a patto
  che:
      vengano garantiti sostegni dal mondo politico ed
  istituzionale che diano segnali chiari, in termini di
  investimenti e risorse economiche, dell'interesse pubblico
  alla continuazione di produzioni militari;
      si possa agire sulla variabile occupazionale per
  raddrizzare la difficile situazione economica a livello
  aziendale;
      si continui ad avere risorse per investire nel settore
  consolidato del militare, evitando quindi di lanciarsi in
  ricerche e produzioni a carattere civile che in tempi medi
  potrebbero risultare concorrenziali rispetto al militare,
  giungendo sino a rendere inevitabile una diversa allocazione
  delle risorse interne aziendali.
 
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    Da quanto detto finora risulta evidente che la conversione
  dell'industria produttrice di armamenti è un problema
  soprattutto di carattere politico.
    E' lo Stato, che fornisce le risorse economiche per la
  ricerca e sviluppo, che decide quale importanza dare, sia in
  termini politici che economici, alla difesa militare, che
  risulta essere il principale acquirente della "merce" armi,
  che può dare alcuni importanti segnali della sua volontà di
  elaborare una strategia che miri a mettere a fuoco soluzioni
  alternative di utilizzazione delle risorse destinate agli
  armamenti e a far in modo che queste soluzioni vengano
  correttamente applicate.
    Il "disarmo strutturale", implicito in una prospettiva di
  conversione dell'industria bellica, contiene aspetti e
  problematiche che mettono in discussione la sicurezza
  nazionale e internazionale.  Ne consegue che la conversione non
  può venire considerata indipendentemente dall'insieme delle
  relazioni internazionali.
    Anche tali assunti confermano l'importanza della volontà
  politica dello Stato e del suo desiderio di assumere misure
  concrete di riduzione degli armamenti e di disarmo, idonee a
  consolidare la sicurezza internazionale.
    Ciò nonostante riconoscere l'aspetto politico della
  conversione non deve condurre a trascurare gli aspetti
  economici, tecnologici, occupazionali.  Piani concreti ed
  esperienze reali di conversione favoriranno la
  credibilità della "corsa al disarmo", ridurranno le tensioni
  internazionali, convinceranno le opinioni pubbliche ed i
  nostri potenziali avversari o controparti della possibilità
  reale di ridurre gli armamenti.
    Sono appunto gli aspetti economici, tecnologici ed
  occupazionali che vengono affrontati dalla presente proposta
  di legge.
    All'articolo 1 si individua la necessità della
  predisposizione di un piano decennale di conversione,
  individuando i settori produttivi su cui intervenire e gli
  interventi di riqualificazione del personale.
    L'articolo 2 istituisce un'apposita Commissione per la
  conversione, con il compito di entrare nel dettaglio del piano
  decennale, sia a livello di azienda che di periodo temporale,
  oltre a realizzare un osservatorio permanente dell'attività
  produttiva impegnata nella costruzione di materiali di
  armamento.
    L'articolo 3 stabilisce le risorse finanziarie necessarie
  per la conversione, mentre l'articolo 4 specifica le misure
  protettive a favore degli occupati nel settore, sia nel caso
  che compiano scelte di "obiezione alla produzione militare"
  sia nel caso in cui si rendano necessarie misure di cassa
  integrazione a protezione del salario.
    L'articolo 6, infine, stabilisce i tempi e i modi per la
  presentazione al Parlamento di un rapporto inerente alle
  risorse impiegate per la difesa ed alle possibilità di
  passaggio ad un modello di difesa sempre meno aggressivo ed
  armato.
 
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