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Testi integrali degli Atti Parlamentari della XII Legislatura

Documento


98292
SMC0152-0032
Bollettino Giunte e Commissioni n. 152 del 5 aprile 1995 - edizione definitiva - (SMC12-152)
(suddiviso in 67 Unità Documento)
Unità Documento n.32 (che inizia a pag.35 dello stampato)
                             Pag. 35
 
                  VII COMMISSIONE PERMANENTE
               (Cultura, scienza e istruzione)
 
 
IN SEDE REFERENTE
C1551; C2111; C2176; C2184; C2189; C2195; C2206; C2213; C2220; C2221; C2222. LAVCOMM
C1551; C2111; C2176; C2184; C2189; C2195; C2206; C2213; C2220; C2221; C2222.
Disegno e proposte di legge: Delega per il riordino del procedimento di nomina del consiglio di amministrazione della RAI-Spa (1551). (Parere della I Commissione). STORACE: Nuove norme sulla composizione e sulla elezione del consiglio di amministrazione della società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo (2111). (Parere della I e della V Commissione). SELVA: Modifica dell'articolo 2 della legge 25 giugno 1993, n. 206, relativo alla composizione del consiglio di amministrazione della società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo (2176). (Parere della I e della V Commissione). MORSELLI: Modifica all'articolo 2 della legge 25 giugno 1993, n. 206, concernente la nomina del consiglio di amministrazione della società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo (2184). (Parere della I e della V Commissione). ROSITANI: Modifiche all'articolo 2 della legge 25 giugno 1993, n. 206, relativo alla composizione del consiglio di amministrazione della società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo (2189). (Parere della I e della V Commissione). LANDOLFI: Modifiche all'articolo 2 della legge 25 giugno 1993, n. 206, relativo alla composizione del consiglio di amministrazione della società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo (2195). (Parere della I e della V Commissione). Senatori MANCINO ed altri: Nuove norme sulla nomina e sulla revoca del consiglio di amministrazione della RAI-TV Spa (Approvato dal Senato) (2206). (Parere della I e della V Commissione). GASPARRI: Modifiche all'articolo 2 della legge 25 giugno 1993, n. 206, relativo alla composizione del consiglio di amministrazione della società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo (2213). (Parere della I e della V Commissione). CARRARA ed altri: Nuove norme per la nomina del consiglio di amministrazione della società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo (2220). (Parere della I e della V Commissione). AMORUSO ed altri: Nuove norme sulla composizione e sulle procedure di nomina ed elezione del consiglio di amministrazione della società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo (2221). (Parere della I e della V Commissione). Pag. 36 FALVO ed altri: Nuove norme sulla composizione e sulle procedure di nomina ed elezione del consiglio di amministrazione della società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo (2222). (Parere della I e della V Commissione).
(Seguito dell'esame e rinvio).
Luciana SBARBATI, presidente. Francesco STORACE, relatore. Fiordelisa CARDELLI. Fabrizio Felice BRACCO. Fiordelisa CARTELLI. Giovanna GRIGNAFFINI. Pag. 44
Mercoledì 5 aprile 1995. - Presidenza del Vicepresidente Luciana SBARBATI. - Interviene il sottosegretario di Stato per le poste e le telecomunicazioni Alessandro Frova.
ZZSMC ZZRES ZZSMC050495 ZZSMC950405 ZZSMC000495 ZZSMC000095 ZZSMC152 ZZ12 ZZD ZZC7 ZZRE ZZHH ZZII ZZFF
     La Commissione prosegue l'esame del disegno di legge e
  delle proposte di legge abbinati.
 
     Luciana SBARBATI,  presidente,  avverte che è stato
  chiesto che la pubblicità dei lavori sia assicurata anche
  mediante le trasmissione audiovisiva a circuito chiuso.
     Non essendovi obiezioni, rimane così stabilito.
 
     Francesco STORACE,  relatore,  premette che alle
  16,30 inizierà la seduta della Commissione parlamentare per
  l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi
  radiotelevisivi, della quale sono membri alcuni componenti
  della Commissione cultura, tra cui egli stesso; pertanto, per
  consentire a coloro che lo vorranno di partecipare a tale
  seduta, chiede di sospendere l'esame dei progetti di legge
  all'ordine del giorno alle 16,30.
     Ricorda che nelle precedenti sedute aveva illustrato le
  posizioni delle varie forze politiche durante i lavori della
  legge n. 206 del 1993.  Continuando la sua relazione, osserva
  che dopo il varo della citata legge si aprì un'aspra polemica
  sui contenuti di quella legge che pure era stata approvata da
  una larga maggioranza.
     Eppure, che c'era qualcosa da cambiare, lo aveva notato
  persino Stefano Rodotà; legge, in proposito, il seguente
  articolo del deputato Vittorio Sgarbi presidente della
  Commissione dell'8 luglio 1994, pubblicato dall' Italia
  settimanale:
     "E' indifendibile questa Rai, è figlia dei metodi
  spertitori fatti in nome di un pluralismo distorto.  E chi fino
  a ieri l'ha criticata non può dimenticarsene.  Il servizio
  pubblico deve diventare uno spazio di confronto, quello che la
  Rai oggi non è.  Il Tg1 è stato un Tg partigiano che almeno
  salvava le apparenze e come ogni cosa ipocrita era l'omaggio
  che il vizio renderva alla virtù.  Il Tg2 negli anni del
  craxismo è stato l'esempio della falsificazione delle notizie
  e dell'aggessione politica (ma uno dei suoi direttori, La
  Volpe, è diventato parlamentare progressista, n.d.r.).  Il Tg3
  ha sgominato molto per ritagliarsi un proprio spazio e
  inseguire un pubblico di sinistra e per questo è stato
  anch'esso fazioso.  Quando sembrava che la sinistra avrebbe
  vinto le elezioni ci fu la corsa da Saxa Rubra a Botteghe
  Oscure; ora fanno fatica a riciclarsi con i nuovi vincitori,
  quelli che oggi protestano farebbero bene ad andare a casa,
  perché con la loro fallosità e la loro beceraggine sono stati
  corresponsabili del discredito della Rai.  Eppoi la Rai è stata
  l'emblema della cattiva amministrazione: chi può dimenticare
  la concorrenza mortale con la Fininvest di qualche anno fa?  E
  le sacche di parassitismo?  E le nomina di decine e decine di
  vicedirettori e capiredattori?  I progressisti sapevano che
  prima delle elezioni bisognava mettere la Costituzione in
  sintonia con la legge maggioritaria, riformare i regolamenti
  parlamentari. il Csm, la Carta costituzionale, il sistema
  radiotelevisivo.  Ma il Pds non l'ha fatto perché le elezioni
  pensava di vincerle.  E dietro questa logica c'è la
  sottovalutazione del problema costituzionale subordinato al
  puro interesse pubblico.
     Potrei averle dette io queste parole, visto che riflettono
  perfettamente la mia opinione sull'ente radiotelevisivo di
  Stato.  Non sono mie.  Chi è allora che ha usato intaccare
  l'onorabilità della Rai istigando al liberticidio, così come
  vorrebbero farci credere i diretti interessati?  E' forse
  Taradash o il famelico Storace-vestito-d'orbace?  Oppure è
  qualche berlusconiano peggio di loro, un Ferrara, un Letta o
  un Fede?  Chi è l'infame aguzzino che approfitta della
  situazione per tirare l'acqua al mulino (bianco, come i suoi
  spot  c'insegnano) di Sua Emittenza?  E' un comunista di
  ferro, ex presidente del Pds, con Cacciari e Manconi, una
  delle poche teste pensanti del partito della Quercia, (sarà
  per questo che al suo interno non conta più niente): Stefano
  Rodotà.
 
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     Forse in nessun altro paese gli interessi corporativi di
  una singola categoria di privilegiati vengono camuffati con
  tanta sfacciataggine come interessi dell'intera comunità.
  Forse nessun altra categoria come quella dei giornalisti
  televisivi conosce altra morale dell'opportunismo più bieco ed
  egoista.  Ricordiamo un conduttore molto conosciuto, prima
  fustigatore del sistema proporzionale, poi alle scorrettezze
  operate da chi in campagna elettorale usufruiva delle proprie
  tre reti televisive?  Ebbene, questo ha finalmente coronato le
  proprie ambizioni diventando parlamentare europeo.  E sapete
  come?  Beneficiando scaltramente tanto del sistema
  proporzionale (non sarebbe stato mai eletto con quello
  maggioritario) come della sua infinita campagna elettorale
  televisiva (tra Rai e Tmc ha raccolto in questi ultimi sei
  mesi più presenze di quante Berlusconi, Fini e Bossi non
  abbiano fatto in tre).  Avrebbe potuto fare altrettanto anche
  Funari, avendo l'assoluta certezza di essere eletto anche col
  sistema maggioritario.  Troppi signori della Rai difendono solo
  il servizio pubblico televisivo al loro servizio: altro che
  libertà d'espressione o dei diritti dei cittadini!  La Rai e
  l'intero sistema televisivo italiano, che piaccia o no a
  questi signori, necessitano di un riordinamento radicale.  La
  delicatezza della questione richiede piuttosto il concorso al
  dibattito di tutti coloro - politici, uomini di cultura,
  soprattutto uomini di televisione - che possano offrire un
  contributo davvero onesto e propositivo.  Per una volta tanto
  senza cercare una tessera amica o senza guardarsi nelle
  tasche".
     Un'altra conferma del clima all'epoca esistente in RAI, la
  offre il deputato Gustavo Selva nel seguente articolo
  pubblicato il 5 agosto 1994 su  Il Giornale:
     "Il nuovo direttore generale della Rai, Gianni Billia, ha
  cominciato bene.  A poche ore dalla ratifica dell'incarico da
  parte dell'Iri, ha preso subito una decisione: congelare la
  valanga di promozioni e nomine di giornalisti che il suo
  predecessore, Locatelli, aveva firmato proprio all'ultimo
  momento, a mandato praticamente scaduto.  Non riuscirà ad
  annullare il provvedimento perché ormai il guaio è fatto, ma
  il segnale è comunque positivo.
     Secondo Locatelli, quelle nomine erano atti dovuti dal
  momento che gli interessati avevano maturato diritti
  legittimi.  Si è dimenticato di aggiungere che il tutto era
  stato predisposto accuratamente, in piena sintonia con l'ex
  presidente De Mattè, il capo del personale, Celli, i direttori
  delle varie testate e con il consenso del sindacato dei
  giornalisti, l'Usigrai, il modo da creare le condizioni perché
  quei diritti nascessero.  In effetti, tutti i promossi o i
  nominati erano stati immessi nelle funzioni, il che ha avviato
  i meccanismi contrattuali e portato inevitabilmente al fatto
  compiuto.  Insomma un gioco piuttosto scoperto, voluto dalla
  gestione precedente e reso esecutivo dall'ex direttore
  generale che anche in questo si è dimostrato degno erede dei
  manager  che prima di lui avevano occupato la poltrona
  più importante della disastrata azienda radiotelevisiva.
     Le scelte risalgono al febbraio scorso, al tempo della
  grande rivoluzione della Rai e in vista delle elezioni.  Dato
  per scontato il risultato in favore dei progressisti, si
  voleva offrire ai nuovi padroni, su un piatto d'argento,
  l'informazione del servizio pubblico.  Con gli occhi puntati
  verso questo obiettivo, il direttore generale e il capo del
  personale avevano fatto e disfatto stroncando rispettabili
  carriere e inventandone altre di sana pianta con la
  benedizione dell'Usigrai gestita, dietro il paravento del
  segretario Balzoni, da Beppe Giulietti, comunista dichiarato
  tanto che adesso è deputato del Pds.  Si era trattato di una
  vera 'pulizia etnica", che qualcuno aveva denunciato senza,
  però, trovare ascolto.  Con il pretesto della riduzione del
  personale, l'accoppiata Locatelli-Celli aveva dichiarato
  guerra ai sessantenni, salvo mantenere in servizio molti
  personaggi ormai ben oltre l'età massima della pensione.
  Nascondendosi dietro l'autonomia dei direttori di testata,
  direttore generale e capo del personale si erano preoccupati
  di emarginare professionisti di sicura esperienza per far
  posto ai lottizzati di turno.  Avevano anche lanciato proclami
 
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  contro i giornalisti con incarichi esterni all'azienda,
  condividendo il sacro sdegno del sindacato, salvo poi lasciare
  le cose sostanzialmente al punto di prima.  Adesso il sindacato
  dei giornalisti protesta per il congelamento delle nomine, che
  considera una violazione contrattuale.  Ma in febbraio non
  aveva alzato un dito per ostacolare in qualche modo
  l'operazione, che era stata, anzi, apertamente favorita.
     Billia vuol vederci chiaro e ha ragione.  Quel che è
  avvenuto in Rai nell'ultimo anno non è certo un modello di
  trasparenza.  La pioggia di nomine non contribuisce a risanare
  i conti dell'azienda, candidata alla bancarotta se non fosse
  intervenuto il Governo con il paracadute del discusso decreto
  'salva Rai" ancora in ballo perché non convertito dal
  Parlamento.
     Su una cosa, almeno, Locatelli e Celli sono stati bravi:
  nell'aggiustare la propria situazione personale.  Il nuovo
  direttore generale troverà che Locatelli si era assicurato un
  contratto di due anni e Celli di tre.  Ora che sono stati
  rimossi dai rispettivi incarichi, dopo un anno di servizio,
  gli stipendi continueranno a correre?  La gente che paga il
  canone vorrebbe saperlo".
     Si tratta, quindi, del tempo delle nomine, vera pietra
  dello scandalo per il sistema che un tempo le dettava.  Al
  Corriere della sera  del 27 agosto, Enzo Biagi rispondeva
  così al giornalista che lo intervistava chiedendogli se al Tg1
  arrivasse Mentana:
     "Non mi scandalizzerei.  Possiede ottime qualità".
  Proseguiva l'intervistatore:
     "Il direttore del primo Tg Fininvest alla guida del primo
  Tg Rai: forse è troppo...".  E Biagi:
     "Io giudico Mentana per quel che fa.  E' un ottimo
  professionista: come Mimun, come Sposini.  Conoscono il
  mestiere.  Un loro passaggio alla Rai non sarebbe scandalo.
  Vengono dalla Fininvest, e allora?  Meglio loro di tanti che
  alla Rai sono pronti per scattare dalla parte di
  Berlusconi".
     Rispetto a tali dichiarazioni vi sarebbe da chiedersi se è
  un "Epurator" anche Biagi.  Evidentemente non lo è.
     Le nomine dei direttori scatenano un mare di polemiche.  La
  legge per cambiare il Consiglio di amministrazione della Rai è
  l'occasione per la vendetta.  Eppure, il seguente articolo di
  Vittorio Feltri, sul  Giornale  del 18 settembre, se letto
  con attenzione e senza pregiudizio, appare incontestabile:
     "Naturalmente le nomine Rai non vanno bene a nessuno.  E
  quando mai sono state gradite, se non ai nominati?  Un tempo,
  abbastanza recente, vigeva la legge della lottizzazione e la
  spartizione avveniva nelle segreterie dei partiti, che erano
  spesso consultati anche dalle aziende private bisognose di
  direttori.  Non vi siete chiesti perché Enzo Biagi, che è un
  giovanotto dalla precaria salute di ferro (chiunque avesse
  lavorato tanto quanto lui sarebbe morto a trentadue anni), non
  è mai diventato padrone della poltrona numero uno del
  Corriere della Sera,  benché sia considerato
  all'unanimità un maestro?  Se volete togliervi la curiosità,
  telefonate a Craxi.
     Qualcuno sostiene che anche stavolta, nonostante il nuovo
  Consiglio di amministrazione dell'ente radiotelevisivo non
  abbia forti colorazioni politiche, si è proceduto col vecchio
  sistema: una sedia a Forza Italia, una agli amici di
  Berlusconi, una ad Alleanza nazionale, una ai cattolici e via
  di seguito.  Non me la sento di giurare che la signora Moratti
  non abbia tenuto conto di determinate opportunità, ma se
  lottizzazione c'è stata, a quale logica si ispirava?  Quali
  soni i gruppi parlamentari favoriti?  Carlo Rossella (Tg1) ex
  vicedirettore vicario di  Panorama,  è un eccellente
  professionista.  Quando era soltanto caposervizio degli esteri
  di quel settimanale, ed ero da poco stato nominato direttore
  dell' Europeo,  gli offrii invano di fare il mio vice.  Non
  mi era stato raccomandato, lo conoscevo soltanto attraverso i
  suoi scritti, ottimi.  Ignoro se sia di sinistra, di certo non
  è di destra.  E
 
                              Pag. 39
 
  allora perché appiccicargli un'etichetta?  E poi, quale
  etichetta?
     Daniela Brancati (Tg3), mi assicurano, è pidiessina:
  ditemi voi, che interesse ha il Governo a tenersi una così a
  capo di un telegiornale?  O i neolottizzatori non sono
  lottizzatori o sono deficienti, oppure entrambe le cose, ma è
  improbabile.  E veniamo a Clemente Mimun (Tg2), il quale mi
  perdonerà, ma non sapevo neanche che esistesse.  Lavorava a
  Canale 5 e, si sussurra, piace a Berlusconi.  Può darsi.  Ma
  sarebbe curioso che i giornalisti Fininvest fossero esclusi
  dal servizio pubblico.
     Quanto ai direttori di rete, il discorso non cambia,
  Brando Giordani (Rete 1) nel suo ramo è fra gli assi.  Se abbia
  o no simpatie politiche mi pare secondario, se non
  ininfluente, rispetto alle sue capacità.  Franco Iseppi (Rete
  2) è piccolo, brutto e più democristiano di De Mita, ma
  talmente democristiano da fare orrore.  Però come dirigente
  televisivo è un fuoriclasse.  Ho lavorato con lui e posso
  testimoniare della sua bruttezza quanto del resto: bravura e
  correttezza.  Pur con tutta la malizia di cui dispongo, e non è
  poca, non riesco a vedere in tutta la manovra l'impronta del
  manuale Cencelli, sia pure riveduto dalla manina di un
  Letta.
     Un ultimo cenno sul tormentone Rai.  Molti colleghi si sono
  scandalizzati perché i neo-direttori dei Tg, per quanto
  rispettabili, non hanno lo spessore e la notorietà necessari
  per ricoprire incarichi tanto delicati.  A parte che non vedo
  lo scandalo, vorrei rammentare che, prima di arrivare alle
  soluzioni criticate, il consiglio di amministrazione ha
  tentato di ingaggiare personaggi più importanti di quelli
  assunti.  Ma non c'è riuscito.  Proposte sono state fatte a
  Paolo Mieli, direttore del  Corrierone,  Ezio Mauro,
  direttore della  Stampa,  Ferruccio De Bortoli,
  vicedirettore del  Corriere,  e perfino a me, che
  importante non sono.  Proposte respinte, con garbo, con
  commossa gratitudine per il gentile pensiero, ma respinte.  A
  quel punto che dovevano fare i consiglieri e la presidente?
  Interpellare Scalfari, Montanelli, lo stesso Biagi?  Ovvio che
  questi avrebbero rifiutato.  Quindi, il reclutamento è avvenuto
  in altri pascoli.  Non c'erano alternative.  Ciò nonostante la
  Lega è furibonda e minaccia sfracelli perché nella rosa manca
  il nome di un suo uomo.  Il Carroccio ha ragione?  Ha torto?  Per
  rispondere bisognerebbe conoscere i nomi dei candidati di
  Bossi.  Ma è sicuro Bossi di averne almeno uno all'altezza?
     Via, Umberto, meglio coprirsi le vergogne col sospetto di
  lottizzazione che coprirsi di ridicolo.  E' un suggerimento
  amichevole, gratis".
     Un'altra analisi non conformista appare il 19 settembre
  1994 sul  Corriere della Sera  a firma di Saverio
  Vertone:
     "Non può essere Daniele Vimercati la pietra dello scandalo
  e neppure il pomo della discordia.  Prima di tutto perché non è
  una pietra né un pomo, ma un bravo giornalista.  E poi perché
  non sarà uno scandalo (ma un piacere) continuare a leggere sui
  giornali grazie alla sua esclusione dalla rosa della signora
  Moratti.  Bossi però pensa che senza Vimercati, vale a dire
  senza un amico, senza un leghista, alla Rai sia ricominciata
  la lottizzazione.  Giudizio strano ma quasi inevitabile dopo
  decenni di dosaggi farmaceutici nella spartizione delle
  cariche pubbliche.  E' però doppiamente sbagliato perché, se è
  per questo, alla Rai la lottizzazione non è mai finita, e non
  finirà tanto presto.
     Il pensiero inconsapevole che si nasconde sotto gli
  strepiti degli esclusi (come dimostra il comportamento dei
  comunisti in un passato recente) è d'altronde ingenuo ma
  irresistibile. 'Non è lottizzata solo quella rosa di nomi
  nella quale figuri anche il nostro"; e dunque (estendendo il
  regionamento come è naturale che si faccia in politica)
  nessuna rosa è legittima se non contiene i petali di tutte le
  rose possibili.  In altri termini solo una lottizzazione
  integrale, solo il catalogo totale e totalitario di ciò che
  esiste e pigola per farsi sentire, ci mette al sicuro dal
  manuale Cencelli.  Meglio ancora: solo la cencellizzazione
  dell'universo ci libera dal manuale.  Che, a quanto pare, ha un
  unico difetto: di essere un'abbreviazione.
 
                              Pag. 40
 
     In questa scomposizione aritmetica di enti, problemi,
  istituzioni, e dello stesso Paese, affiora l'effetto perverso
  della proporzionale, anzi della sua interiorizzazione nella
  nostra coscienza e nella nostra cultura profonda.  Niente e
  nessuno potrà mai occuparsi di un problema, dirigere un ente,
  rappresentare la nazione, perché l' intero  non esiste se
  non come congerie di  parti,  a loro volta scomponibili
  all'infinito.  Solo la somma, una somma naturalmente infinita,
  ci libera dalla parzialità.  Solo le spartizioni microscopiche
  ci difendono dalle spartizioni macroscopiche, solo
  l'inventario completo (e impossibile) dei lotti ci mette al
  sicuro dalla lottizzazione.  Questa è la cosiddetta complessità
  del Paese, così lodata e rimpianta da chi vorrebbe tornare
  alla legge elettorale che ne ha fatto un carattere profondo e
  minuto della nostra psicologia, e che ci spinge a cercare
  l'uscita dalla prima repubblica inoltrandoci nei suoi
  labirinti aritmetici.
     Se questa inafferrabile complessità non si riduce,
  continueremo a lottizzare in odio alla lottizzazione e a
  condannare ogni lottizzazione in nome di una lottizzazione
  migliore, che scomponga più a fondo, più minutamente, tritando
  e arrivando agli atomi che formano il nostro universo sociale
  e al niente eventuale che ci sta dietro.  Temo, ad esempio, che
  nella rosa della Rai non siano rappresentati i mancini, i
  filodrammatici, gli assicuratori e i tranvieri, categorie che
  possono vantare percentuali non inferiori alla Lega.  Ma non
  ignoro che per Bossi il problema è, come si dice, politico,
  non aritmetico.  E dunque capisco che la Rai debba fare i conti
  con lui e non con i filatelici.  Però anche Bossi deve capire
  che la sua forza contrattuale riposa su una sproporzione
  numerica, la quale può essere a sua volta una forza o una
  debolezza, a seconda delle circostanze.
     La sproporzione numerica è presto detta: la Lega ha
  raccolto l'8 per cento dei voti nel Paese ma ha ottenuto la
  maggioranza relativa dei seggi nel Parlamento.  Bossi ha
  giocato su questo divario, presentandolo come una voragine che
  potrebbe inghiottire da un momento all'altro la maggioranza.  E
  ha potuto farlo solo finché ha trovato qualcuno disposto a
  credere che l'abisso non si raprirebbe immediatamente anche
  dall'altra parte dopo il cambiamento di fronte.  Ma appena le
  opposizioni, di centro e di sinistra, hanno smesso di puntare
  su un immediato e rabbioso ribaltamento del risultato
  elettorale, e hanno cominciato a lavorare per il lungo
  termine, questa sproporzione è tornata a essere quello che è:
  un crepaccio in cui il primo a cadere dovrebbe essere lui,
  Bossi.
     Proprio in occasione delle nomine Rai, che hanno
  scontentato tutti, lo stesso D'Alema si è voltato dall'altra
  parte ignorando la mano tesa della Lega, e sottraendole la
  sponda, pur chiedendo a gran voce le dimissioni del consiglio.
  Il Pds ha preferito lavorare a solo.  E' la prima volta che
  succede ed è un buon segno: per il Governo, per le opposizioni
  e dunque per il Paese, che aspira modestamente a essere
  trattato ancora come un  intero,  magari di poco conto, e
  non come un prosciutto, magari pregiato ma da affettare".
     Ma ce ne è anche per il PDS.  Infatti  Il Giornale  del
  21 settembre 1994 ospita il seguente intervento di Maurizio
  Marchesi:
     "Tuonano da Botteghe Oscure e dintorni, vomitano insulti
  sul Consiglio di amministrazione della Rai, che avrebbe fatto,
  con le recenti nomine ai vertici di reti e tigì, scelte non
  solo lottizzate, ma volgari e addirittura di serie B.
     Hanno ragione di protestare: ai bei tempi, infatti, quando
  i comunisti si sono impadroniti della Terza rete, la
  lottizzazione che praticavano non era né di serie A né di
  serie B, né volgare né elegante perché era una lottizzazione
  familiare.
     Guardate ancora oggi il tigi-tre: può persino succedere
  che si cominci, la sera alle 19, con la figlia di un ex
  segretario del Pci, si prosegua alle 22,30 con la figlia della
  compagna di un ex capo storico del Pci, e qualche volta, la
  notte, si chiuda con la rassegna stampa della figlia di un ex
  direttore del Manifesto ed ex deputato del Pci.
 
                              Pag. 41
 
     Fa quasi tenerezza Luigi Berlinguer, attuale capogruppo
  dei deputati progressisti, quando definisce 'insaziabili"
  quanti avrebbero organizzato le nuove nomine badando agli
  appetiti dei nuovi padroni del vapore.  Parla di corda in casa
  dell'impiccato.
     Infatti, sempre al Tigi-tre, i servizi in video sono
  spesso affidati ad altri parenti di uomini vicini alle
  Botteghe Oscure.  E quando i consanguinei restano dietro le
  quinte, ecco spuntare gli ex impiegati del Bottegone e gli ex
  funzionari parlamentari dei gruppi comunisti.
     Quando non compaiono in video, è soltanto perché dirigono
  le redazioni regionali più forti, come quella toscana,
  affidata, guarda caso, all'ex capo ufficio stampa del Pci.  E
  non certo perché è nato a Livorno.  Tutti bravissimi, ma, fino
  a prova contraria, selezionati non in base a concorsi che
  abbiano dato anche ai figli degli italiani qualsiasi la
  possibilità di tentare l'avventura del giornalismo
  televisivo.
     Anche Walter Veltroni si commuove e si indigna quando
  denuncia le scelte del Consiglio di amministrazione e lo
  accusa di voler affossare la Rai.  Si potrebbe parlare, in
  questo caso, di interesse privato in atti d'ufficio.  Non
  c'entra niente, con certe polemiche, la libertà di
  informazione e la tutela del servizio pubblico.
     Si rimpiange soltanto un privilegio che nessun servizio
  pubblico al mondo dovrebbe garantire: la possibilità di
  sistemare i propri cari e di garantire un posto di lavoro ai
  propri clienti, ottenendo in cambio la garanzia di
  un'informazione addomesticata ai voleri del partito che ha
  loro assicurato assunzione e stipendio.
     Un problema che, per quanto riguarda la Rai, è stato
  consegnato irrisolto dai Professori ai loro successori.  Non è
  detto che con le sue scelte il Consiglio di Amministrazione
  abbia contribuito a superarlo, anzi è di rigore tenere ben
  alta la riserva del dubbio.
     Ma sarebbe bene, soprattutto per chi si è reso
  protagonista di sfacciate lottizzazioni in passato - tutte a
  carico del contribuente, e a discapito del servizio pubblico,
  radiotelevisivo - attendere la verifica dei fatti e i
  comportamenti di quanti sono stati chiamati a dirigere reti,
  tigì e gierre.  Non saranno figli di Berlinguer o di altre
  stelle rosse, ma almeno la gavetta l'hanno fatta nei
  giornali".
     Passando all'illustrazione del contenuto dei progetti di
  legge all'ordine del giorno e in particolare della proposta di
  legge approvata dal Senato, fa presente che il testo di
  quest'ultima è composto di tre articoli.  L'articolo 1 prevede
  la modifica della composizione e delle modalità di nomina del
  consiglio di amministrazione della RAI-radiotelevisione
  italiana s.p.a. e detta disposizioni per la prima applicazione
  delle nuove norme; al riguardo ricorda che la normativa in
  materia, compresa la vigente legge n. 206 del 1993, è sempre
  stata riferita in astratto alla "società concessionaria del
  servizio pubblico radiotelevisivo"; l'individuazione come tale
  della RAI s.p.a. discende infatti da un atto amministrativo di
  concessione.
     Il potere di nomina dei consiglieri di amministrazione,
  trasferito dalla Commissione Parlamentare di vigilanza ai
  Presidenti delle Camere con la legge n. 206 del 1993, viene
  adesso attribuito direttamente alle Assemblee parlamentari.
  Conseguentemente, il numero complessivo dei consiglieri viene
  elevato da cinque a sei, in maniera da garantire la
  partecipazione paritaria dei due rami del Parlamento al
  procedimento di nomina: tre membri dovrebbero essere eletti
  dalla Camera dei Deputati e tre dal Senato.  Il procedimento di
  elezione è basato sul meccanismo del voto limitato a dei
  candidati, in modo da garantire la rappresentanza delle
  minoranze; a parità di voti prevarrebbe il più anziano
  d'età.
     Il consiglio di amministrazione così formato elegge al
  proprio interno e a maggioranza il presidente; in mancanza di
  ulteriori specificazioni, la maggioranza richiesta non può che
  essere la maggioranza semplice dei votanti, mentre la legge
  206 prescrive al riguardo la maggioranza assoluta.  Per la
  validità delle sedute del consiglio è richiesta la presenza di
  almeno tre
 
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  componenti; in caso di parità prevale il voto del
  Presidente.
     Il comma 2 dell'articolo in esame detta disposizioni sulla
  prima applicazione delle nuove norme di cui al precedente
  comma, in modo da consentirne l'attuazione entro il termine
  massimo di trenta giorni dalla entrata in vigore delle norme
  stesse.  Le Camere dovrebbero infatti essere convocate per
  l'elezione dei consiglieri di amministrazione della RAI entro
  quindici giorni dalla entrata in vigore (evidentemente della
  nuova legge; il testo fa riferimento all'entrata in vigore
  "della presente disposizione") e i consiglieri così eletti
  dovrebbero assumere la carica entro i successivi quindici
  giorni.
     Si segnala che né l'articolo in esame né i successivi
  recano alcuna disposizione sui requisiti dei consiglieri e
  sulla loro durata in carica, salvo quanto previsto
  all'articolo 3 in ordine alla possibilità di revoca del
  Consiglio stesso da parte della Commissione di vigilanza.
     Si tratta, quindi, di un meccanismo che consegna il potere
  di nomina dei membri del consiglio di amministrazione della
  RAI ai partiti; ritiene che in sede di presentazione degli
  emendamenti sarà importante valutare se debba essere
  prevalente l'aspetto della gestione o quella della
  rappresentanza o ancora se i due aspetti possano essere in
  qualche modo conciliati.  Essendo il consiglio di
  amministrazione un organismo ristretto, potrebbe essere
  percorribile la soluzione di prevedere che esso decida
  all'unanimità e non a maggioranza; in tal modo si sgancerebbe
  il consiglio stesso dalla maggioranza parlamentare che lo ha
  espresso.
 
     Luciana SBARBATI,  presidente,  chiede al relatore
  come la soluzione da lui ora proposta possa conciliare gli
  aspetti della rappresentanza e della gestione.
 
     Francesco STORACE,  relatore,  risponde al quesito
  formulato dal presidente, precisando che l'esigenza relativa
  alla rappresentanza verrebbe soddisfatta dalle norme sulle
  procedure di nomina del consiglio di amministrazione, mentre
  quella inerente alla gestione è affidata, ovviamente, alla
  correttezza dei singoli.
 
     Luciana SBARBATI,  presidente,  osserva che
  l'esigenza della rappresentanza non dovrebbe essere rapportata
  ai partiti.
 
     Francesco STORACE,  relatore,  ribatte
  all'osservazione del Presidente che se si intende garantire
  che la rappresentanza sia sganciata dai partiti, allora si
  deve abbandonare la soluzione prevista dalla proposta di legge
  Mancino n. 2206.
 
     Fiordelisa CARDELLI (gruppo lega nord), parlando per un
  richiamo al regolamento, ricorda che nell'ultima riunione
  dell'Ufficio di Presidenza integrato dai rappresentanti dei
  gruppi, è stato formulato, con riferimento all'esame dei
  progetti di legge sulla nomina del consiglio di
  amministrazione della RAI, un quesito in ordine
  all'applicazione dell'articolo 39 del regolamento; a fronte di
  tale richiesta il Presidente di turno Benedetti Valentini, ha
  ritenuto non rientrare nelle sue facoltà, ma in quelle del
  Presidente della Commissione, decidere sull'applicazione di
  tale articolo.  Chiede, quindi, quando sarà presente il
  Presidente della Commissione per poter sottoporre a lui la
  questione.
 
     Luciana SBARBATI,  presidente,  osserva che chi
  presiede la seduta ha in quel momento i poteri di conduzione
  dei lavori che spettano al Presidente.  L'articolo 39 del
  regolamento prevede che la durata degli interventi in una
  discussione non possa eccedere i trenta minuti; tuttavia
  ritiene possa trattarsi di una norma relativa ai lavori
  dell'Assemblea e delle Commissioni in sede legislativa.  Il
  problema si pone forse in termini diversi per la sede
  referente e comunque verrà affrontato nel momento in cui si
  aprirà il dibattito.
 
     Francesco STORACE,  relatore,  osserva che coloro
  che si richiamano al regolamento dovrebbero innanzitutto
  conoscerne le norme.  L'articolo 39, come ha testé rilevato il
  presidente non sembra riferirsi alla sede referente; chiede,
  comunque, che il problema sollevato dal
 
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  deputato Cartelli venga affrontato nelle sedi opportune, e dal
  Presidente della Camera, previo esame di tutti gli eventuali
  precedenti.  Non pare che nella sede referente siano stati mai
  applicati limiti di tempo agli interventi.  Comunque, se il
  richiamo all'articolo 39 del regolamento del deputato Cartelli
  era polemicamente riferito alla sua relazione, fa presente che
  ormai sta per concluderla.
 
     Fabrizio Felice BRACCO (gruppo progressisti-federativo)
  osserva che il presidente non ha correttamente interpretato il
  richiamo del deputato Cartelli all'articolo 39: esso, infatti,
  andava riferito non al comma 1, bensì al comma 4, in base al
  quale nessun discorso può essere interrotto o rimandato per la
  continuazione da una seduta all'altra.
 
     Luciana SBARBATI,  presidente,  con riferimento
  all'intervento ora svolto dal deputato Bracco, ricorda che
  all'avvio dell'esame dei progetti di legge non vi erano state
  obiezioni alla richiesta del relatore di dedicare allo
  svolgimento della relazione quattro sedute.
 
     Fiordelisa CARTELLI precisa che, con il suo precedente
  intervento, non intendeva in alcun modo porre dei limiti di
  tempo alla relazione del relatore, bensì rivolgere al
  presidente di turno un quesito al quale non era stata data
  risposta.
 
     Giovanna GRIGNAFFINI (gruppo progressisti-federativo)
  ricorda che al quesito concernente l'articolo 39 del
  regolamento, formulato nel corso dell'ultima riunione
  dell'Ufficio di Presidenza, il presidente allora di turno
  aveva dichiarato in sostanza di non poter rispondere, mentre
  il vicepresidente Sbarbati che attualmente presiede la seduta
  ha fornito una risposta.
 
     Luciana SBARBATI,  presidente,  rinvia, quindi, il
  seguito dell'esame ad altra seduta.
 
     La seduta termina alle 16,45.
 
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