| La Commissione prosegue l'esame del disegno di legge e
delle proposte di legge abbinati.
Luciana SBARBATI, presidente, avverte che è stato
chiesto che la pubblicità dei lavori sia assicurata anche
mediante le trasmissione audiovisiva a circuito chiuso.
Non essendovi obiezioni, rimane così stabilito.
Francesco STORACE, relatore, premette che alle
16,30 inizierà la seduta della Commissione parlamentare per
l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi
radiotelevisivi, della quale sono membri alcuni componenti
della Commissione cultura, tra cui egli stesso; pertanto, per
consentire a coloro che lo vorranno di partecipare a tale
seduta, chiede di sospendere l'esame dei progetti di legge
all'ordine del giorno alle 16,30.
Ricorda che nelle precedenti sedute aveva illustrato le
posizioni delle varie forze politiche durante i lavori della
legge n. 206 del 1993. Continuando la sua relazione, osserva
che dopo il varo della citata legge si aprì un'aspra polemica
sui contenuti di quella legge che pure era stata approvata da
una larga maggioranza.
Eppure, che c'era qualcosa da cambiare, lo aveva notato
persino Stefano Rodotà; legge, in proposito, il seguente
articolo del deputato Vittorio Sgarbi presidente della
Commissione dell'8 luglio 1994, pubblicato dall' Italia
settimanale:
"E' indifendibile questa Rai, è figlia dei metodi
spertitori fatti in nome di un pluralismo distorto. E chi fino
a ieri l'ha criticata non può dimenticarsene. Il servizio
pubblico deve diventare uno spazio di confronto, quello che la
Rai oggi non è. Il Tg1 è stato un Tg partigiano che almeno
salvava le apparenze e come ogni cosa ipocrita era l'omaggio
che il vizio renderva alla virtù. Il Tg2 negli anni del
craxismo è stato l'esempio della falsificazione delle notizie
e dell'aggessione politica (ma uno dei suoi direttori, La
Volpe, è diventato parlamentare progressista, n.d.r.). Il Tg3
ha sgominato molto per ritagliarsi un proprio spazio e
inseguire un pubblico di sinistra e per questo è stato
anch'esso fazioso. Quando sembrava che la sinistra avrebbe
vinto le elezioni ci fu la corsa da Saxa Rubra a Botteghe
Oscure; ora fanno fatica a riciclarsi con i nuovi vincitori,
quelli che oggi protestano farebbero bene ad andare a casa,
perché con la loro fallosità e la loro beceraggine sono stati
corresponsabili del discredito della Rai. Eppoi la Rai è stata
l'emblema della cattiva amministrazione: chi può dimenticare
la concorrenza mortale con la Fininvest di qualche anno fa? E
le sacche di parassitismo? E le nomina di decine e decine di
vicedirettori e capiredattori? I progressisti sapevano che
prima delle elezioni bisognava mettere la Costituzione in
sintonia con la legge maggioritaria, riformare i regolamenti
parlamentari. il Csm, la Carta costituzionale, il sistema
radiotelevisivo. Ma il Pds non l'ha fatto perché le elezioni
pensava di vincerle. E dietro questa logica c'è la
sottovalutazione del problema costituzionale subordinato al
puro interesse pubblico.
Potrei averle dette io queste parole, visto che riflettono
perfettamente la mia opinione sull'ente radiotelevisivo di
Stato. Non sono mie. Chi è allora che ha usato intaccare
l'onorabilità della Rai istigando al liberticidio, così come
vorrebbero farci credere i diretti interessati? E' forse
Taradash o il famelico Storace-vestito-d'orbace? Oppure è
qualche berlusconiano peggio di loro, un Ferrara, un Letta o
un Fede? Chi è l'infame aguzzino che approfitta della
situazione per tirare l'acqua al mulino (bianco, come i suoi
spot c'insegnano) di Sua Emittenza? E' un comunista di
ferro, ex presidente del Pds, con Cacciari e Manconi, una
delle poche teste pensanti del partito della Quercia, (sarà
per questo che al suo interno non conta più niente): Stefano
Rodotà.
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Forse in nessun altro paese gli interessi corporativi di
una singola categoria di privilegiati vengono camuffati con
tanta sfacciataggine come interessi dell'intera comunità.
Forse nessun altra categoria come quella dei giornalisti
televisivi conosce altra morale dell'opportunismo più bieco ed
egoista. Ricordiamo un conduttore molto conosciuto, prima
fustigatore del sistema proporzionale, poi alle scorrettezze
operate da chi in campagna elettorale usufruiva delle proprie
tre reti televisive? Ebbene, questo ha finalmente coronato le
proprie ambizioni diventando parlamentare europeo. E sapete
come? Beneficiando scaltramente tanto del sistema
proporzionale (non sarebbe stato mai eletto con quello
maggioritario) come della sua infinita campagna elettorale
televisiva (tra Rai e Tmc ha raccolto in questi ultimi sei
mesi più presenze di quante Berlusconi, Fini e Bossi non
abbiano fatto in tre). Avrebbe potuto fare altrettanto anche
Funari, avendo l'assoluta certezza di essere eletto anche col
sistema maggioritario. Troppi signori della Rai difendono solo
il servizio pubblico televisivo al loro servizio: altro che
libertà d'espressione o dei diritti dei cittadini! La Rai e
l'intero sistema televisivo italiano, che piaccia o no a
questi signori, necessitano di un riordinamento radicale. La
delicatezza della questione richiede piuttosto il concorso al
dibattito di tutti coloro - politici, uomini di cultura,
soprattutto uomini di televisione - che possano offrire un
contributo davvero onesto e propositivo. Per una volta tanto
senza cercare una tessera amica o senza guardarsi nelle
tasche".
Un'altra conferma del clima all'epoca esistente in RAI, la
offre il deputato Gustavo Selva nel seguente articolo
pubblicato il 5 agosto 1994 su Il Giornale:
"Il nuovo direttore generale della Rai, Gianni Billia, ha
cominciato bene. A poche ore dalla ratifica dell'incarico da
parte dell'Iri, ha preso subito una decisione: congelare la
valanga di promozioni e nomine di giornalisti che il suo
predecessore, Locatelli, aveva firmato proprio all'ultimo
momento, a mandato praticamente scaduto. Non riuscirà ad
annullare il provvedimento perché ormai il guaio è fatto, ma
il segnale è comunque positivo.
Secondo Locatelli, quelle nomine erano atti dovuti dal
momento che gli interessati avevano maturato diritti
legittimi. Si è dimenticato di aggiungere che il tutto era
stato predisposto accuratamente, in piena sintonia con l'ex
presidente De Mattè, il capo del personale, Celli, i direttori
delle varie testate e con il consenso del sindacato dei
giornalisti, l'Usigrai, il modo da creare le condizioni perché
quei diritti nascessero. In effetti, tutti i promossi o i
nominati erano stati immessi nelle funzioni, il che ha avviato
i meccanismi contrattuali e portato inevitabilmente al fatto
compiuto. Insomma un gioco piuttosto scoperto, voluto dalla
gestione precedente e reso esecutivo dall'ex direttore
generale che anche in questo si è dimostrato degno erede dei
manager che prima di lui avevano occupato la poltrona
più importante della disastrata azienda radiotelevisiva.
Le scelte risalgono al febbraio scorso, al tempo della
grande rivoluzione della Rai e in vista delle elezioni. Dato
per scontato il risultato in favore dei progressisti, si
voleva offrire ai nuovi padroni, su un piatto d'argento,
l'informazione del servizio pubblico. Con gli occhi puntati
verso questo obiettivo, il direttore generale e il capo del
personale avevano fatto e disfatto stroncando rispettabili
carriere e inventandone altre di sana pianta con la
benedizione dell'Usigrai gestita, dietro il paravento del
segretario Balzoni, da Beppe Giulietti, comunista dichiarato
tanto che adesso è deputato del Pds. Si era trattato di una
vera 'pulizia etnica", che qualcuno aveva denunciato senza,
però, trovare ascolto. Con il pretesto della riduzione del
personale, l'accoppiata Locatelli-Celli aveva dichiarato
guerra ai sessantenni, salvo mantenere in servizio molti
personaggi ormai ben oltre l'età massima della pensione.
Nascondendosi dietro l'autonomia dei direttori di testata,
direttore generale e capo del personale si erano preoccupati
di emarginare professionisti di sicura esperienza per far
posto ai lottizzati di turno. Avevano anche lanciato proclami
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contro i giornalisti con incarichi esterni all'azienda,
condividendo il sacro sdegno del sindacato, salvo poi lasciare
le cose sostanzialmente al punto di prima. Adesso il sindacato
dei giornalisti protesta per il congelamento delle nomine, che
considera una violazione contrattuale. Ma in febbraio non
aveva alzato un dito per ostacolare in qualche modo
l'operazione, che era stata, anzi, apertamente favorita.
Billia vuol vederci chiaro e ha ragione. Quel che è
avvenuto in Rai nell'ultimo anno non è certo un modello di
trasparenza. La pioggia di nomine non contribuisce a risanare
i conti dell'azienda, candidata alla bancarotta se non fosse
intervenuto il Governo con il paracadute del discusso decreto
'salva Rai" ancora in ballo perché non convertito dal
Parlamento.
Su una cosa, almeno, Locatelli e Celli sono stati bravi:
nell'aggiustare la propria situazione personale. Il nuovo
direttore generale troverà che Locatelli si era assicurato un
contratto di due anni e Celli di tre. Ora che sono stati
rimossi dai rispettivi incarichi, dopo un anno di servizio,
gli stipendi continueranno a correre? La gente che paga il
canone vorrebbe saperlo".
Si tratta, quindi, del tempo delle nomine, vera pietra
dello scandalo per il sistema che un tempo le dettava. Al
Corriere della sera del 27 agosto, Enzo Biagi rispondeva
così al giornalista che lo intervistava chiedendogli se al Tg1
arrivasse Mentana:
"Non mi scandalizzerei. Possiede ottime qualità".
Proseguiva l'intervistatore:
"Il direttore del primo Tg Fininvest alla guida del primo
Tg Rai: forse è troppo...". E Biagi:
"Io giudico Mentana per quel che fa. E' un ottimo
professionista: come Mimun, come Sposini. Conoscono il
mestiere. Un loro passaggio alla Rai non sarebbe scandalo.
Vengono dalla Fininvest, e allora? Meglio loro di tanti che
alla Rai sono pronti per scattare dalla parte di
Berlusconi".
Rispetto a tali dichiarazioni vi sarebbe da chiedersi se è
un "Epurator" anche Biagi. Evidentemente non lo è.
Le nomine dei direttori scatenano un mare di polemiche. La
legge per cambiare il Consiglio di amministrazione della Rai è
l'occasione per la vendetta. Eppure, il seguente articolo di
Vittorio Feltri, sul Giornale del 18 settembre, se letto
con attenzione e senza pregiudizio, appare incontestabile:
"Naturalmente le nomine Rai non vanno bene a nessuno. E
quando mai sono state gradite, se non ai nominati? Un tempo,
abbastanza recente, vigeva la legge della lottizzazione e la
spartizione avveniva nelle segreterie dei partiti, che erano
spesso consultati anche dalle aziende private bisognose di
direttori. Non vi siete chiesti perché Enzo Biagi, che è un
giovanotto dalla precaria salute di ferro (chiunque avesse
lavorato tanto quanto lui sarebbe morto a trentadue anni), non
è mai diventato padrone della poltrona numero uno del
Corriere della Sera, benché sia considerato
all'unanimità un maestro? Se volete togliervi la curiosità,
telefonate a Craxi.
Qualcuno sostiene che anche stavolta, nonostante il nuovo
Consiglio di amministrazione dell'ente radiotelevisivo non
abbia forti colorazioni politiche, si è proceduto col vecchio
sistema: una sedia a Forza Italia, una agli amici di
Berlusconi, una ad Alleanza nazionale, una ai cattolici e via
di seguito. Non me la sento di giurare che la signora Moratti
non abbia tenuto conto di determinate opportunità, ma se
lottizzazione c'è stata, a quale logica si ispirava? Quali
soni i gruppi parlamentari favoriti? Carlo Rossella (Tg1) ex
vicedirettore vicario di Panorama, è un eccellente
professionista. Quando era soltanto caposervizio degli esteri
di quel settimanale, ed ero da poco stato nominato direttore
dell' Europeo, gli offrii invano di fare il mio vice. Non
mi era stato raccomandato, lo conoscevo soltanto attraverso i
suoi scritti, ottimi. Ignoro se sia di sinistra, di certo non
è di destra. E
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allora perché appiccicargli un'etichetta? E poi, quale
etichetta?
Daniela Brancati (Tg3), mi assicurano, è pidiessina:
ditemi voi, che interesse ha il Governo a tenersi una così a
capo di un telegiornale? O i neolottizzatori non sono
lottizzatori o sono deficienti, oppure entrambe le cose, ma è
improbabile. E veniamo a Clemente Mimun (Tg2), il quale mi
perdonerà, ma non sapevo neanche che esistesse. Lavorava a
Canale 5 e, si sussurra, piace a Berlusconi. Può darsi. Ma
sarebbe curioso che i giornalisti Fininvest fossero esclusi
dal servizio pubblico.
Quanto ai direttori di rete, il discorso non cambia,
Brando Giordani (Rete 1) nel suo ramo è fra gli assi. Se abbia
o no simpatie politiche mi pare secondario, se non
ininfluente, rispetto alle sue capacità. Franco Iseppi (Rete
2) è piccolo, brutto e più democristiano di De Mita, ma
talmente democristiano da fare orrore. Però come dirigente
televisivo è un fuoriclasse. Ho lavorato con lui e posso
testimoniare della sua bruttezza quanto del resto: bravura e
correttezza. Pur con tutta la malizia di cui dispongo, e non è
poca, non riesco a vedere in tutta la manovra l'impronta del
manuale Cencelli, sia pure riveduto dalla manina di un
Letta.
Un ultimo cenno sul tormentone Rai. Molti colleghi si sono
scandalizzati perché i neo-direttori dei Tg, per quanto
rispettabili, non hanno lo spessore e la notorietà necessari
per ricoprire incarichi tanto delicati. A parte che non vedo
lo scandalo, vorrei rammentare che, prima di arrivare alle
soluzioni criticate, il consiglio di amministrazione ha
tentato di ingaggiare personaggi più importanti di quelli
assunti. Ma non c'è riuscito. Proposte sono state fatte a
Paolo Mieli, direttore del Corrierone, Ezio Mauro,
direttore della Stampa, Ferruccio De Bortoli,
vicedirettore del Corriere, e perfino a me, che
importante non sono. Proposte respinte, con garbo, con
commossa gratitudine per il gentile pensiero, ma respinte. A
quel punto che dovevano fare i consiglieri e la presidente?
Interpellare Scalfari, Montanelli, lo stesso Biagi? Ovvio che
questi avrebbero rifiutato. Quindi, il reclutamento è avvenuto
in altri pascoli. Non c'erano alternative. Ciò nonostante la
Lega è furibonda e minaccia sfracelli perché nella rosa manca
il nome di un suo uomo. Il Carroccio ha ragione? Ha torto? Per
rispondere bisognerebbe conoscere i nomi dei candidati di
Bossi. Ma è sicuro Bossi di averne almeno uno all'altezza?
Via, Umberto, meglio coprirsi le vergogne col sospetto di
lottizzazione che coprirsi di ridicolo. E' un suggerimento
amichevole, gratis".
Un'altra analisi non conformista appare il 19 settembre
1994 sul Corriere della Sera a firma di Saverio
Vertone:
"Non può essere Daniele Vimercati la pietra dello scandalo
e neppure il pomo della discordia. Prima di tutto perché non è
una pietra né un pomo, ma un bravo giornalista. E poi perché
non sarà uno scandalo (ma un piacere) continuare a leggere sui
giornali grazie alla sua esclusione dalla rosa della signora
Moratti. Bossi però pensa che senza Vimercati, vale a dire
senza un amico, senza un leghista, alla Rai sia ricominciata
la lottizzazione. Giudizio strano ma quasi inevitabile dopo
decenni di dosaggi farmaceutici nella spartizione delle
cariche pubbliche. E' però doppiamente sbagliato perché, se è
per questo, alla Rai la lottizzazione non è mai finita, e non
finirà tanto presto.
Il pensiero inconsapevole che si nasconde sotto gli
strepiti degli esclusi (come dimostra il comportamento dei
comunisti in un passato recente) è d'altronde ingenuo ma
irresistibile. 'Non è lottizzata solo quella rosa di nomi
nella quale figuri anche il nostro"; e dunque (estendendo il
regionamento come è naturale che si faccia in politica)
nessuna rosa è legittima se non contiene i petali di tutte le
rose possibili. In altri termini solo una lottizzazione
integrale, solo il catalogo totale e totalitario di ciò che
esiste e pigola per farsi sentire, ci mette al sicuro dal
manuale Cencelli. Meglio ancora: solo la cencellizzazione
dell'universo ci libera dal manuale. Che, a quanto pare, ha un
unico difetto: di essere un'abbreviazione.
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In questa scomposizione aritmetica di enti, problemi,
istituzioni, e dello stesso Paese, affiora l'effetto perverso
della proporzionale, anzi della sua interiorizzazione nella
nostra coscienza e nella nostra cultura profonda. Niente e
nessuno potrà mai occuparsi di un problema, dirigere un ente,
rappresentare la nazione, perché l' intero non esiste se
non come congerie di parti, a loro volta scomponibili
all'infinito. Solo la somma, una somma naturalmente infinita,
ci libera dalla parzialità. Solo le spartizioni microscopiche
ci difendono dalle spartizioni macroscopiche, solo
l'inventario completo (e impossibile) dei lotti ci mette al
sicuro dalla lottizzazione. Questa è la cosiddetta complessità
del Paese, così lodata e rimpianta da chi vorrebbe tornare
alla legge elettorale che ne ha fatto un carattere profondo e
minuto della nostra psicologia, e che ci spinge a cercare
l'uscita dalla prima repubblica inoltrandoci nei suoi
labirinti aritmetici.
Se questa inafferrabile complessità non si riduce,
continueremo a lottizzare in odio alla lottizzazione e a
condannare ogni lottizzazione in nome di una lottizzazione
migliore, che scomponga più a fondo, più minutamente, tritando
e arrivando agli atomi che formano il nostro universo sociale
e al niente eventuale che ci sta dietro. Temo, ad esempio, che
nella rosa della Rai non siano rappresentati i mancini, i
filodrammatici, gli assicuratori e i tranvieri, categorie che
possono vantare percentuali non inferiori alla Lega. Ma non
ignoro che per Bossi il problema è, come si dice, politico,
non aritmetico. E dunque capisco che la Rai debba fare i conti
con lui e non con i filatelici. Però anche Bossi deve capire
che la sua forza contrattuale riposa su una sproporzione
numerica, la quale può essere a sua volta una forza o una
debolezza, a seconda delle circostanze.
La sproporzione numerica è presto detta: la Lega ha
raccolto l'8 per cento dei voti nel Paese ma ha ottenuto la
maggioranza relativa dei seggi nel Parlamento. Bossi ha
giocato su questo divario, presentandolo come una voragine che
potrebbe inghiottire da un momento all'altro la maggioranza. E
ha potuto farlo solo finché ha trovato qualcuno disposto a
credere che l'abisso non si raprirebbe immediatamente anche
dall'altra parte dopo il cambiamento di fronte. Ma appena le
opposizioni, di centro e di sinistra, hanno smesso di puntare
su un immediato e rabbioso ribaltamento del risultato
elettorale, e hanno cominciato a lavorare per il lungo
termine, questa sproporzione è tornata a essere quello che è:
un crepaccio in cui il primo a cadere dovrebbe essere lui,
Bossi.
Proprio in occasione delle nomine Rai, che hanno
scontentato tutti, lo stesso D'Alema si è voltato dall'altra
parte ignorando la mano tesa della Lega, e sottraendole la
sponda, pur chiedendo a gran voce le dimissioni del consiglio.
Il Pds ha preferito lavorare a solo. E' la prima volta che
succede ed è un buon segno: per il Governo, per le opposizioni
e dunque per il Paese, che aspira modestamente a essere
trattato ancora come un intero, magari di poco conto, e
non come un prosciutto, magari pregiato ma da affettare".
Ma ce ne è anche per il PDS. Infatti Il Giornale del
21 settembre 1994 ospita il seguente intervento di Maurizio
Marchesi:
"Tuonano da Botteghe Oscure e dintorni, vomitano insulti
sul Consiglio di amministrazione della Rai, che avrebbe fatto,
con le recenti nomine ai vertici di reti e tigì, scelte non
solo lottizzate, ma volgari e addirittura di serie B.
Hanno ragione di protestare: ai bei tempi, infatti, quando
i comunisti si sono impadroniti della Terza rete, la
lottizzazione che praticavano non era né di serie A né di
serie B, né volgare né elegante perché era una lottizzazione
familiare.
Guardate ancora oggi il tigi-tre: può persino succedere
che si cominci, la sera alle 19, con la figlia di un ex
segretario del Pci, si prosegua alle 22,30 con la figlia della
compagna di un ex capo storico del Pci, e qualche volta, la
notte, si chiuda con la rassegna stampa della figlia di un ex
direttore del Manifesto ed ex deputato del Pci.
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Fa quasi tenerezza Luigi Berlinguer, attuale capogruppo
dei deputati progressisti, quando definisce 'insaziabili"
quanti avrebbero organizzato le nuove nomine badando agli
appetiti dei nuovi padroni del vapore. Parla di corda in casa
dell'impiccato.
Infatti, sempre al Tigi-tre, i servizi in video sono
spesso affidati ad altri parenti di uomini vicini alle
Botteghe Oscure. E quando i consanguinei restano dietro le
quinte, ecco spuntare gli ex impiegati del Bottegone e gli ex
funzionari parlamentari dei gruppi comunisti.
Quando non compaiono in video, è soltanto perché dirigono
le redazioni regionali più forti, come quella toscana,
affidata, guarda caso, all'ex capo ufficio stampa del Pci. E
non certo perché è nato a Livorno. Tutti bravissimi, ma, fino
a prova contraria, selezionati non in base a concorsi che
abbiano dato anche ai figli degli italiani qualsiasi la
possibilità di tentare l'avventura del giornalismo
televisivo.
Anche Walter Veltroni si commuove e si indigna quando
denuncia le scelte del Consiglio di amministrazione e lo
accusa di voler affossare la Rai. Si potrebbe parlare, in
questo caso, di interesse privato in atti d'ufficio. Non
c'entra niente, con certe polemiche, la libertà di
informazione e la tutela del servizio pubblico.
Si rimpiange soltanto un privilegio che nessun servizio
pubblico al mondo dovrebbe garantire: la possibilità di
sistemare i propri cari e di garantire un posto di lavoro ai
propri clienti, ottenendo in cambio la garanzia di
un'informazione addomesticata ai voleri del partito che ha
loro assicurato assunzione e stipendio.
Un problema che, per quanto riguarda la Rai, è stato
consegnato irrisolto dai Professori ai loro successori. Non è
detto che con le sue scelte il Consiglio di Amministrazione
abbia contribuito a superarlo, anzi è di rigore tenere ben
alta la riserva del dubbio.
Ma sarebbe bene, soprattutto per chi si è reso
protagonista di sfacciate lottizzazioni in passato - tutte a
carico del contribuente, e a discapito del servizio pubblico,
radiotelevisivo - attendere la verifica dei fatti e i
comportamenti di quanti sono stati chiamati a dirigere reti,
tigì e gierre. Non saranno figli di Berlinguer o di altre
stelle rosse, ma almeno la gavetta l'hanno fatta nei
giornali".
Passando all'illustrazione del contenuto dei progetti di
legge all'ordine del giorno e in particolare della proposta di
legge approvata dal Senato, fa presente che il testo di
quest'ultima è composto di tre articoli. L'articolo 1 prevede
la modifica della composizione e delle modalità di nomina del
consiglio di amministrazione della RAI-radiotelevisione
italiana s.p.a. e detta disposizioni per la prima applicazione
delle nuove norme; al riguardo ricorda che la normativa in
materia, compresa la vigente legge n. 206 del 1993, è sempre
stata riferita in astratto alla "società concessionaria del
servizio pubblico radiotelevisivo"; l'individuazione come tale
della RAI s.p.a. discende infatti da un atto amministrativo di
concessione.
Il potere di nomina dei consiglieri di amministrazione,
trasferito dalla Commissione Parlamentare di vigilanza ai
Presidenti delle Camere con la legge n. 206 del 1993, viene
adesso attribuito direttamente alle Assemblee parlamentari.
Conseguentemente, il numero complessivo dei consiglieri viene
elevato da cinque a sei, in maniera da garantire la
partecipazione paritaria dei due rami del Parlamento al
procedimento di nomina: tre membri dovrebbero essere eletti
dalla Camera dei Deputati e tre dal Senato. Il procedimento di
elezione è basato sul meccanismo del voto limitato a dei
candidati, in modo da garantire la rappresentanza delle
minoranze; a parità di voti prevarrebbe il più anziano
d'età.
Il consiglio di amministrazione così formato elegge al
proprio interno e a maggioranza il presidente; in mancanza di
ulteriori specificazioni, la maggioranza richiesta non può che
essere la maggioranza semplice dei votanti, mentre la legge
206 prescrive al riguardo la maggioranza assoluta. Per la
validità delle sedute del consiglio è richiesta la presenza di
almeno tre
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componenti; in caso di parità prevale il voto del
Presidente.
Il comma 2 dell'articolo in esame detta disposizioni sulla
prima applicazione delle nuove norme di cui al precedente
comma, in modo da consentirne l'attuazione entro il termine
massimo di trenta giorni dalla entrata in vigore delle norme
stesse. Le Camere dovrebbero infatti essere convocate per
l'elezione dei consiglieri di amministrazione della RAI entro
quindici giorni dalla entrata in vigore (evidentemente della
nuova legge; il testo fa riferimento all'entrata in vigore
"della presente disposizione") e i consiglieri così eletti
dovrebbero assumere la carica entro i successivi quindici
giorni.
Si segnala che né l'articolo in esame né i successivi
recano alcuna disposizione sui requisiti dei consiglieri e
sulla loro durata in carica, salvo quanto previsto
all'articolo 3 in ordine alla possibilità di revoca del
Consiglio stesso da parte della Commissione di vigilanza.
Si tratta, quindi, di un meccanismo che consegna il potere
di nomina dei membri del consiglio di amministrazione della
RAI ai partiti; ritiene che in sede di presentazione degli
emendamenti sarà importante valutare se debba essere
prevalente l'aspetto della gestione o quella della
rappresentanza o ancora se i due aspetti possano essere in
qualche modo conciliati. Essendo il consiglio di
amministrazione un organismo ristretto, potrebbe essere
percorribile la soluzione di prevedere che esso decida
all'unanimità e non a maggioranza; in tal modo si sgancerebbe
il consiglio stesso dalla maggioranza parlamentare che lo ha
espresso.
Luciana SBARBATI, presidente, chiede al relatore
come la soluzione da lui ora proposta possa conciliare gli
aspetti della rappresentanza e della gestione.
Francesco STORACE, relatore, risponde al quesito
formulato dal presidente, precisando che l'esigenza relativa
alla rappresentanza verrebbe soddisfatta dalle norme sulle
procedure di nomina del consiglio di amministrazione, mentre
quella inerente alla gestione è affidata, ovviamente, alla
correttezza dei singoli.
Luciana SBARBATI, presidente, osserva che
l'esigenza della rappresentanza non dovrebbe essere rapportata
ai partiti.
Francesco STORACE, relatore, ribatte
all'osservazione del Presidente che se si intende garantire
che la rappresentanza sia sganciata dai partiti, allora si
deve abbandonare la soluzione prevista dalla proposta di legge
Mancino n. 2206.
Fiordelisa CARDELLI (gruppo lega nord), parlando per un
richiamo al regolamento, ricorda che nell'ultima riunione
dell'Ufficio di Presidenza integrato dai rappresentanti dei
gruppi, è stato formulato, con riferimento all'esame dei
progetti di legge sulla nomina del consiglio di
amministrazione della RAI, un quesito in ordine
all'applicazione dell'articolo 39 del regolamento; a fronte di
tale richiesta il Presidente di turno Benedetti Valentini, ha
ritenuto non rientrare nelle sue facoltà, ma in quelle del
Presidente della Commissione, decidere sull'applicazione di
tale articolo. Chiede, quindi, quando sarà presente il
Presidente della Commissione per poter sottoporre a lui la
questione.
Luciana SBARBATI, presidente, osserva che chi
presiede la seduta ha in quel momento i poteri di conduzione
dei lavori che spettano al Presidente. L'articolo 39 del
regolamento prevede che la durata degli interventi in una
discussione non possa eccedere i trenta minuti; tuttavia
ritiene possa trattarsi di una norma relativa ai lavori
dell'Assemblea e delle Commissioni in sede legislativa. Il
problema si pone forse in termini diversi per la sede
referente e comunque verrà affrontato nel momento in cui si
aprirà il dibattito.
Francesco STORACE, relatore, osserva che coloro
che si richiamano al regolamento dovrebbero innanzitutto
conoscerne le norme. L'articolo 39, come ha testé rilevato il
presidente non sembra riferirsi alla sede referente; chiede,
comunque, che il problema sollevato dal
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deputato Cartelli venga affrontato nelle sedi opportune, e dal
Presidente della Camera, previo esame di tutti gli eventuali
precedenti. Non pare che nella sede referente siano stati mai
applicati limiti di tempo agli interventi. Comunque, se il
richiamo all'articolo 39 del regolamento del deputato Cartelli
era polemicamente riferito alla sua relazione, fa presente che
ormai sta per concluderla.
Fabrizio Felice BRACCO (gruppo progressisti-federativo)
osserva che il presidente non ha correttamente interpretato il
richiamo del deputato Cartelli all'articolo 39: esso, infatti,
andava riferito non al comma 1, bensì al comma 4, in base al
quale nessun discorso può essere interrotto o rimandato per la
continuazione da una seduta all'altra.
Luciana SBARBATI, presidente, con riferimento
all'intervento ora svolto dal deputato Bracco, ricorda che
all'avvio dell'esame dei progetti di legge non vi erano state
obiezioni alla richiesta del relatore di dedicare allo
svolgimento della relazione quattro sedute.
Fiordelisa CARTELLI precisa che, con il suo precedente
intervento, non intendeva in alcun modo porre dei limiti di
tempo alla relazione del relatore, bensì rivolgere al
presidente di turno un quesito al quale non era stata data
risposta.
Giovanna GRIGNAFFINI (gruppo progressisti-federativo)
ricorda che al quesito concernente l'articolo 39 del
regolamento, formulato nel corso dell'ultima riunione
dell'Ufficio di Presidenza, il presidente allora di turno
aveva dichiarato in sostanza di non poter rispondere, mentre
il vicepresidente Sbarbati che attualmente presiede la seduta
ha fornito una risposta.
Luciana SBARBATI, presidente, rinvia, quindi, il
seguito dell'esame ad altra seduta.
La seduta termina alle 16,45.
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